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DL su sovraindebitamento e processo civile: un primo commento-Altalex.it

 

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 (Maria Morena Ragone, Fabrizio Sigillò)

 

L’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza ha prodotto, nel corso degli ultimi anni, una graduale riforma del processo civile e la contestuale sovrapposizione di innumerevoli - e a volte confliggenti - interventi normativi, spesso rispondenti ad esigenze totalmente estranee a quelle - migliore esercizio della dfesa, riduzione dei costi, accelerazione del processo - con cui essi vengono, invece, pubblicizzati.

 

Al termine di un quinquiennio costellato da approssimative modifiche, improvvisate revisioni e ristrutturazioni parziali del codice (rivelatesi poi pressochè integrali), tutte perseguite con gli ormai periodici decreti(ni), inspiegabilmente inserite in leggi di stabilità o in decreti milleproroghe, quand’anche non rivelatosi appannaggio esclusivo del tradizionale e fantasioso estro italico, pare possa pacificamente affermarsi che nessuno di questi sistemi abbia sortito utile effetto ai fini dell'accelerazione del processo civile, fermo tra ruoli sovraccarichi, croniche carenze di personale amministrativo e disponibilità di giudicanti, solo parzialmente mitigata dai temporanei palliativi affidati alla magistratura onoraria, o dall’estensione delle competenze ai giudici di pace e dall’applicazione, tendenzialmente arbitraria, dei sistemi di mediazione.

 

Anche il governo Monti, apparentemente intenzionato ad astenersi dal ricorso a quel sistema di decretazione a cui quello precedente aveva fatto pressochè quotidiano ricorso, procede, invece, solerte all’adozione dell’ennesimo provvedimento correlato alla - mai provata - connessione tra sorte del processo civile e crisi economica, e che viene, questa volta, legittimato dalla “ ...straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e sulla disciplina del processo civile, al fine di assicurare una maggiore funzionalita' ed efficienza della giustizia civile”.

 

Il provvedimento in oggetto è il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212 pubblicato in GU 22 dicembre 2011, n. 297 recante, come sopra detto, “disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile” e distribuito in 17 articoli.

 

La prima parte - Capo I, articoli da 1 ad 11 - si occupa delle “Disposizioni in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, ed è dedicata alle definizioni generali ed, in particolare, all’individuazione della casistica e dei soggetti interessati al provvedimento legislativo, finalizzato a trovare una soluzione alle numerose situazioni di indebitamento di soggetti a cui non sono applicabili le disposizioni vigenti in materia di procedure concorsuali (debitori e imprenditori non fallibili).

 

A questi ultimi, così, viene offerta la possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei debiti, con estinzione finale delle poste debitorie.

 

Il sistema, in prospettiva, si ripropone di attivare un circolo virtuoso preordinato alla diminuzione del contenzioso relativo al recupero dei crediti e, di conseguenza, alla riduzione del contenzioso civile.

 

L’articolo 1 delinea finalità e definizioni delle situazioni di sovraindebitamento ed introduce il dettaglio della procedura, poi disciplinata negli articoli seguenti.

 

Significativa, in questa fase, la preliminare equiparazione, ai fini della nuova procedura, delle fattispecie di sovraindebitamento del debitore e di sovraindebitamento del consumatore, quale definito dal Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005).

 

L’articolo 2 determina i presupposti oggettivi per l’ammissibilità dell’accordo, individuandoli

 

    nel mancato ricorso dell’istante alla medesima procedura nei precedenti tre anni;

    nella non assoggettabilità del debitore alle procedure concorsuali.

 

Ad essi si associano quelli di natura soggettiva, rimessi cioè alla valutazione ed alla determinazione del debitore e consistenti:

 

    nella sussistenza di uno stato di sovraindebitamento quale delineato all’articolo 1, comma 2 (“..perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte... ed “incapacità... di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”;

    nell’elaborazione di un progetto “di rientro” che assicuri “...la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma (articolo 3, comma 1), comprensivo anche di cessione crediti futuri e/o di affidamento del patrimonio ad un fiduciario per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori.

 

Contenuto dell'accordo

 

Ai sensi dell’articolo 2, la proposta deve contenere:

 

    il pagamento integrale dei creditori privilegiati;

    il regolare pagamento degli eventuali creditori estranei all’accordo;

    l’indicazione di termini e modalità di pagamento, garanzie prestate e previsione dei modi di liquidazione dei beni indicati nella proposta.

 

Ai sensi del successivo articolo 3, la proposta deve mirare alla ristrutturazione dei debiti e alla soddisfazione dei creditori, anche mediante cessione di crediti futuri. In caso di beni insufficienti, la proposta può essere integrata da beni o crediti apportati da terzi che, a tal fine, sottoscrivono l’istanza.

 

L’accordo dovrà poi menzionare le eventuali limitazioni all’accesso al credito da parte del debitore.

 

Possibile, ai sensi del comma 4, anche una moratoria di 1 anno, sempre che questa non renda impossibile il pagamento alla nuova scadenza pattuita.

 

Deposito della proposta

 

La proposta di accordo, ai sensi dell’articolo 4, va depositata presso il Tribunale in cui il debitore ha la residenza ovvero la sede, e comprende una serie di allegazioni documentali attestanti:

 

    le movimentazioni contabili alla data del deposito;

    l’elenco dei creditori con relativi crediti;

    il riepilogo degli atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;

    le scritture contabili (in caso di esercizio di impresa).

 

La fase introduttiva sembrerebbe ispirata alla massima semplificazione, attestata anche dalle considerazioni sull’ammissibilità della proposta, apparentemente limitate ad un mero riscontro formale sulla ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge, ma priva di qualsivoglia approfondimento sulla preliminare valenza della proposta od anche della garanzia eventualmente offerta dal terzo, al quale viene richiesta solamente - come già detto - la sottoscrizione all’istanza (articolo 3, comma 2).

 

La semplificazione del procedimento viene ulteriormente asseverata dalla certificazione di conformità all’originale delle scritture contabili prodotte dal debitore che svolge attività d’impresa, e che viene affidata ad una sua semplice dichiarazione (articolo 4,comma 3).

 

Fissazione dell'udienza di trattazione del procedimento

 

L’instaurazione della procedura prosegue con la fissazione dell’udienza, assunta dal giudice delegato con apposito decreto da comunicare ai creditori secondo un sistema apparentemente anomalo rispetto a quello delineato dalla più recente normativa in tema di processo civile telematico.

 

Il comma 1 dell’articolo 5, prevede, infatti, che l’invio ai creditori della proposta di accordo e del pedissequo decreto del giudice possa essere realizzato “...anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata”, individuando, così, una molteplicità di strumenti fors’anche idonei ad assicurare il raggiungimento dello scopo, ma in aperto contrasto con la più recente regolamentazione del processo civile telematico che affida invece in via esclusiva alla posta elettronica certificata tutte le comunicazioni e notificazioni (cfr, art. 4, co. 2, L. 24/2010; artt. 16 e 17 D.M. 21 febbraio 2011, n. 44).

 

La disposizione si rivela eccessiva anche se confrontata con la recente modifica all’articolo 136 c.p.c. operata dalla L. 183/2011, che ha previsto, proprio per le comunicazioni, la sola possibilità del telefax in alternativa alla p.e.c., e solo qualora non sia possibile utilizzare quest’ultima.

 

A tale univoco riferimento legislativo fa riscontro la scarsissima affidabilità della comunicazione effettuata a mezzo telefax, notoriamente inidonea ad offrire certezza in termini di data, ora della spedizione e della ricezione, effettiva ricezione dell’atto e/o sua sottoscrizione.

 

Può ritenersi che l’elaborazione di questo passo del decreto sia indice della natura vetero stragiudiziale della procedura.

 

Sebbene la disposizione sembrerebbe affidare l’adempimento della comunicazione alla cancelleria (“...fissa con decreto l'udienza, disponendo la comunicazione ai creditori presso la residenza o la sede legale...”.) deve ritenersi che, in ossequio al tradizionale sistema predisposto per i procedimenti introdotti con ricorso, sia la parte a dover provvedere all’acquisizione delle copie da comunicare ai destinatari degli atti.

 

Ben più affidabile, sul piano della pubblicità, l’annotazione nel registro delle imprese della fissazione dell’udienza di discussione della proposta, che il Giudice delegato dispone nel decreto.

 

All’udienza indicata dal Giudice, questi, valutata l’assenza di iniziative o atti in frode ai creditori (articolo 5, comma 3), dispone che “...per non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di nullita', essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne' disposti sequestri conservativi ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.”

 

Questa disposizione realizza, di fatto, un effetto analogo a quello previsto per l’esazione dei crediti nei confronti degli enti pubblici, beneficiati dalla moratoria di 120 giorni tra la data di notificazione del titolo esecutivo e la successiva instaurazione della procedura esecutiva. Al pari di quella previsione infatti, questa determina, di fatto, una rilevante limitazione al recupero del credito, ulteriormente aggravata dal carattere tradizionalmente ordinatorio dei termini previsti dal decreto, e che rendono incerta la quantificazione della durata del procedimento.

 

Non vi è, infatti, alcuna definizione circa i tempi decorrenti tra la data di deposito del ricorso e l’adozione del provvedimento di fissazione dell’udienza, e, allo stesso modo, non si conoscono neanche i tempi entro cui dovrebbe concludersi la fase del procedimento e l’omologazione dell’accordo, salvo farli coincidere con il limite dei sopra richiamati 120 giorni il cui inutile decorso determinerebbe la riattivazione delle procedure esecutive, rimaste in fase di stallo in virtù della preliminare sospensione disposta in occasione della prima udienza. E’, al proposito, da precisare come, a norma dell’articolo 5, comma 3 il termine richiamato non sia ulteriormente prorogabile, con l’effetto che risulterebbe inutile la prosecuzione del procedimento, in pendenza della riattivazione delle azioni esecutive individiali nei confronti del debitore.

 

La mancanta indicazione della durata delle varie fasi, oltre a complicare il calcolo sulla durata stimata dell’intera procedura, collide palasemente con le finalità del procedimento, dichiaratamente preordinato a velocizzare il contenzioso civile.

 

Pur volendo prescindere dalla durata del procedimento, vi è un altro profilo, non meno rilevante, che si delinea nella fase intercorrente tra la proposizione del ricorso e la data fissata per l’udienza di discussione. Dato che la sospensione coincide - come detto - con la prima udienza, è lecito ritenere che, prima di quella udienza, i creditori siano pienamente abilitati alla proposizione di azioni individuali ed all’acquisizione di eventuali diritti di prelazione.

 

Il procedimento si svolge nelle forme dell’udienza camerale, ove compatibili, in composizione monocratica, ed il provvedimento è reclamabile ai sensi e con le modalità di cui all’art. 737 c.p.c.

 

L’approvazione dell'accordo

 

Dalla lettura del decreto sembrerebbe che la partecipazione dei creditori alla fase di approvazione e di omologazione dell’accordo si perfezioni in due fasi e con due differenti modalità.

 

La prima è quella indicata all’articolo 6, ed è preordinata al raggiungimento dell’accordo. E’ in questa occasione che viene richiesta la manifestazione del consenso sull’accordo originario o eventualmente modificato. La relativa comunicazione può pervenire all’organismo di conciliazione della crisi previsto dall’articolo 10 con le medesime modalità alternative previste per la comunicazione della fissazione dell’udienza.

 

Il decreto dispone, sin da questa fase, della sorte dell’accordo nel caso in cui non si adempia, nel termine previsto, al pagamento dei debiti vantati dalle pubbliche amministrazioni o dagli enti previdenziali (“L'accordo e' revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie” - articolo 6, comma 5)

 

L’omologazione dell'accordo

 

Anche nella successiva fase di omologazione - che comprende la redazione di un parere elaborato sulla scorta delle risultanze della precedente approvazione - si prevede la partecipazione dei creditori, abilitati a sollevare contestazioni sulla relazione dell’organismo di conciliazione della crisi, in mancanza delle quali, e previo raggiungimento delle maggioranze prescritte dall’articolo 6, comma 2 (70% dei creditii, 50% in caso di sovraindebitamento del consumatore) la proposta viene omologata con gli effetti di cui al comma 3 dell’art. 7 (“dalla data di omologazione ai sensi del comma 2 e per un periodo non superiore a un anno, l'accordo produce gli effetti di cui all'articolo 5, comma 3”).

 

L’effetto sospensivo si aggiunge, quind,i a quello di massimo 120 giorni inizialmente predisposto dal giudice delegato in occasione delle prima udienza, ai sensi dell’art. 5, comma 3 del decreto (...per non oltre centoventi giorni) e dei suoi effetti (non possono, sotto pena di nullita', essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne' disposti sequestri conservativi ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore …).

 

Esso ingenera analoghe preoccupazioni sui tempi della procedura, la cui durata manca di precisi termini nella sua fase iniziale (dalla proposizione del ricorso all’adozione del decreto di fissazione dell’udienza), risente della prima sospensione di 120 giorni sopra richiamata, si prolunga fino alla data di omologazione dell’accordo e si estende ulteriormente per la durata massima di un anno, rendendo difficoltosa la quantificazione temporale della sua durata complessiva.

 

Per chi opera quotidianamente nel contesto giudiziario i termini appaiono eccessivi, così come preoccupante è l’effetto pratico che questa sospensione può produrre anche sulla sorte delle garanzie dei beni di cui il debitore dispone.

 

Il decorso di termini così lunghi, infatti, lascia impregiudicata la sorte dell’accordo, che potrebbe risolversi negativamente per una serie di motivi, tra cui il mancato adempimento del debitore. Senonchè, mentre in procedure in qualche modo analoghe a questa (come il concordato preventivo) al mancato adempimento del debitore può seguire la dichiarazione di fallimento e l’acquisizione alla massa attiva di tutti i beni, ciò non pare si verifichi in questo procedimento, che nulla dispone sul destino dei beni in seguito alla risoluzione dell’accordo per inadempimento del debitore.

 

Si potrebbe, forse, ritenere che i beni offerti in garanzia tornino nella disponibilità del debitore e divengano, quindi, nuovamente attaccabili?

 

E, ancora, cosa accadrebbe se nel procedimento in esame il giudice disponesse ai sensi dell’articolo 8, conferendo l’incarico ad un liquidatore di provvedere anche in ordine ai beni pignorati offerti a garanzia dell’accordo?

 

Ultima singolare previsione è quella che mostra un apparente contrasto tra il disposto dell’articolo 2, co. 2 (secondo cui "la proposta è ammissibile quando il debitore non è assoggettabile alle vigenti procedure concorsuali") e quella dell’art. 7 comma 5 che attribuisce alla sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore la risoluzione dell'accordo...”.

 

Sembrerebbe quantomeno difficile che, se il debitore non risulta ammissibile in quanto assoggettabile a procedure concorsuali (a quindi differente dal debitore che può esercitare la procedura prevista dal decreto in esame), lo stesso possa, poi, essere dichiarato fallito e, quindi, veder risolto, a causa dell’intervenuta dichiarazione di fallimento, l’accordo con i creditori.

 

Tra le ipotesi interpretative, oltre ad un possibile aperto contrasto tra le norme (sempre ipotizabile, soprattutto in sede di decretazione d’urgenza...), la possibilità che la proposta del debitore sia stata dichiarata ammissibile in carenza dei presupposti ivi previsti (quindi , per esempio, da debitore assoggettabile a procedura concorsuale), e che, pertanto, possa su di esso intervenire sentenza dichiarativa di fallimento.

 

L’esecuzione dell'accordo

 

“Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall'accordo, il giudice nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate”.Il richiamato articolo 8 delinea una procedura che sembrerebbe rendere inefficace il vincolo discendente dall’apposizione del pignoramento già eseguito, distraendolo per il soddisfacimento dei crediti.

 

Sembra, infatti, che i beni pignorati (o l’assegnazione delle somme incassate) siano destinate alla “...soddisfazione dei crediti...”, e non al soddisfacimento del creditore che lo ha eseguito in singolo pignoramento.

 

La parte del decreto dedicato alla procedura di risoluzione del sovraindebitamento si conclude con l’introduzione degli ‘organismi di composizione della crisi’, figura specialistica appositamente costituita sulla falsariga di quella elaborata per la mediazione civile e commerciale, la cui similitudine è attestata dall’automatica iscrizione di quegli organismi, già costituiti i sensi del a questo fine, nel registro che il ministero andrà ad elaborare e che verrà integrato dalla lista degli enti pubblici che, a norma del comma 1 dell’art. 10, “possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento con adeguate garanzie di indipendenza e professionalita'.”

 

Permangono, in chi scrive, riserve analoghe a quelle già espresse in altre sedi, e relative all’effettiva professionalità di questi organismi, affidata - e qui il riferimento è alla media conciliazione civile e commerciale - ad una formazione eccessivamente breve ed alle risultanze invero non proprio affidabili (si ignora, ad esempio, il numero dei partecipanti ai corsi di formazione che, al termine degli stessi, siano ritenuti inidonei al conseguimento del titolo...).

 

In alternativa, la disposizione transitoria di cui all’articolo 11 comma 1 prevede che “i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possono essere svolti anche da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato”. In caso di mancata costituzione degli organismi di cui all’art. 10 nei tempi previsti, pertanto, le relative funzioni verranno svolte dagli stessi soggetti in possesso dei requisiti per svolgere la funzione di curatore fallimentare.

 

La seconda parte del Decreto-Legge - Capo II - contiene una serie di misure ispirate sempre alla medesima ratio deflattiva del contenzioso, ma che incidono più direttamente sulla specifica disciplina del processo civile.

 

Esso è rubricato “Disposizioni per l’efficienza della giustizia civile” - che, benchè beneficiata dalle innumerevoli recenti riforme in tema di semplificazione, accelerazione e riduzione dei costi, continua, evidentemente, a non essere efficiente.

 

L’incipit è, in questo caso, affidato al procedimento di pianificazione delle attività giudiziarie che - si dice - comprende ora la previsione di “...ogni iniziativa necessaria a favorire l'espletamento della mediazione su invito del giudice ai sensi del comma 2” (articolo 12).

 

Ma la prima novità importante la troviamo all’articolo 13, comma 1, lett a), con l’estensione del valore delle cause in cui la parte può stare in giudizio personalmente senza l’assistenza dell’avvocato da €. 516,46 ad €. 1.000.

 

Pur senza voler tutelare gli interessi di categoria, la previsione appare insuscettibile di contribuire all’efficienza della giustizia civile, e si rivela, presumibilmente di improbabile applicazione pratica.

 

Pur non disconoscendo, infatti, il carattere meno formalista del processo dinanzi al giudice di pace, esso non manca di quei requisiti di forma e contenuto difficilmente conosciuti dal “non tecnico”; nè va trascurata l’ipotesi che, a fronte del soggetto che si improvvisa ‘legale di sè stesso’ (di ciceroniana memoria), si eriga una qualificata opposizione della controparte costituita a mezzo avvocato, pronto a rispondere sulle ipotizzabili questioni procedurali ravvisabili nell’altrettanto improvvisato atto introduttivo, presumibilmente elaborato su facsimile utilizzabile alla bisogna.

 

Non poche preoccupazioni, poi, desta la previsione riportata al capo sub b) dell’art. 13, secondo cui “...all'articolo 91, e' aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nelle cause previste dall'articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda.».

 

Il dubbio può essere riassunto mediante esempio scolastico.

 

Tizio introduce personalmente - e quindi senza l’assistenza di un avvocato - un procedimento monitorio davanti al Giudice di pace per il recupero di un suo credito di 700 euro oltre interessi.

 

Caio si oppone, costituendosi a mezzo avvocato di fiducia, e risulta vincitore nel giudizio di merito.

 

Quale sarà il criterio di liquidazione delle competenze ?

 

Per la parte costituitasi personalmente lo prevede sicuramente il disposto dell’art. 13 con la singolarità che questi, pur non essendo avvocato, finisce improvvisamente per beneficiare di un sistema tabellare di compensi comprensivo di voci (diritti ed onorari) ordinariamente previsto per una categoria professionale specializzata (gli avvocati).

 

Ancora fresca di pubblicazione, viene modificata la recentissima legge n. 183 del 12 novembre 2011 (c.d. Legge di stabilità), con la rettifica dell’art. 26, dedicato all’adozione di “Misure straordinarie per la riduzione del contenzioso civile pendente davanti alla Corte di cassazione e alle corti di appello”, contenuta nell’articolo 14.

 

La disposizione assunta nel decreto qui esaminato, infatti, estende l’obbligo di richiesta per la fissazione della trattazione per le cause pendenti (rectius congelate) presso le Corti d’Appello non più da due anni (come previsto nell’art. 26 sopra richiamato) ma da tre anni.

 

Al fine di rendere ancora più efficiente il delineato sistema, viene, poi, abrogato l’onere di sollecitazione alle parti costituire, dapprima posto a carico della cancelleria ed ora affidato al procuratore costituito, tenuto del reperimento della parte (o delle parti) che ha conferito la procura alle liti (o dei suoi eredi...sic!) e dell’autenticazione della dichiarazione di persistenza dell'interesse alla trattazione del giudizio, da depositarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto.

 

Si segnala, sul punto, una situazione estremamente importante.

 

Il termine di sei mesi per il deposito della dichiarazione di interesse decorre, a norma dell’articolo 14, dalla data di entrata in vigore della presente legge. Trascurando la terminologia usata, sembra, però, legittimo e corretto ritenere già pendente il sudddetto termine, introdotto con decreto legge, immediatamente vigente dal giorno successivo alla sua pubblicazione (per come d’altra parte riportato nel successivo e finale articolo 17)

 

Il termine di sei mesi non rileva ai fini della richiesta di equa riparazione di cui all articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.

 

Concludono la sezione del decreto l’articolo 15, contenente la proroga dei magistrati onorari, il cui contributo viene ulteriormente prorogato dalla sua ordinaria scadenza al 31 dicembre 2012, unitamente a quello dei giudici di pace; l’articolo 16 modifica l’articolo 14, comma 9, primo periodo, della legge 12 novembre 2011, n. 183, e l’articolo 6, comma 4-bis, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che adegua la normativa con l’introduzione del ‘sindaco unico’ nel sistema di controllo delle società di capitali. L’Articolo 17, infine, che ne dispone l’entrata in vigore.

 

. Articolo di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)

 

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