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Reati contro l'amministrazione della giustizia-Il tempus commissi delicti nella corruzione in atti giudiziari-Nicola Corea Avvocato, (Lex24)

 

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Come opera il principio nella corruzione in atti giudiziari.

 

Tale problematica diventa piuttosto pregnante nel reato di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), relativamente al quale dottrina e giurisprudenza hanno intrapreso numerose disamine, tanto sui criteri determinativi del tempus commissi delicti, tanto sulle conseguenze della sua individuazione.

Occorre evidenziare come la corruzione in atti giudiziari rivesta oggi un ruolo di primo piano nel sistema penale, oltre ad essere una fattispecie di grande attualità. Non è stato però sempre così. Prima del 1990, infatti, la corruzione in atti giudiziari non era una figura autonoma di reato, essendo configurata solo come circostanza aggravante della corruzione semplice (artt. 318-319 c.p.). In sostanza, la pena prevista risultava aggravata dall’aver commesso il fatto corruttivo nel corso di un processo, compromettendo l’imparzialità della funzione giudiziaria. Ebbene, con l’entrata in vigore della Lg. n. 86/1990, quella che era una semplice aggravante si è emancipata a figura autonoma di reato ed ha trovato collocazione nel disposto dell’art. 319-ter c.p. Le ragioni del cambiamento sono state essenzialmente due: conformare la normativa italiana a quella degli altri paesi europei, che già da tempo accordavano autonomia alla corruzione in atti giudiziari; l’esigenza di proteggere in modo pregnante l’esercizio della funzione giudiziaria, valutando con particolare rigore le ipotesi di sua compromissione. Ebbene il delitto in questione ricorre attualmente in presenza di fatti di corruzione (artt. 318-319 c.p.) posti in essere “per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”. È poi aggravato ove, in conseguenza dei predetti fatti, taluno abbia subito un’ingiusta condanna alla reclusione non superiore a cinque anni (si parla in tal caso di delitto aggravato dall’evento). Ulteriore aggravamento di pena è connesso alla comminatoria di un’ingiusta condanna superiore a cinque anni di reclusione. Nella versione originaria della Lg. 86/1990, l’art. 321 c.p. non applicava tuttavia sanzioni al corruttore, punendo il solo pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che veniva corrotto. Di seguito la Lg. 181/1992 ha modificato la norma in questione, estendendo le suddette pene anche al corruttore. Ne consegue che oggi rispondono del delitto entrambi i soggetti: si tratta infatti, come per le altre ipotesi di corruzione, di un reato plurisoggettivo o a concorso necessario (perché sussista è necessaria la presenza di almeno due soggetti, essi devono integrare il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice). Per quanto riguarda i profili di tipicità della fattispecie in questione, il nucleo centrale del fatto di reato è identico alle altre ipotesi di corruzione: l’art. 319-ter c.p. richiama infatti sia la corruzione impropria ex art. 318 c.p., che quella propria ex art. 319 c.p.

 

Omissis

 

 

 

3.    Individuazione del tempus commissi delicti.

 

(...)

 

Secondo dottrina e giurisprudenza dominanti, infatti, l’elemento che in concreto caratterizza il delitto di corruzione è il pactum sceleris riguardante le attribuzioni del pubblico ufficiale: le condotte del privato e del pubblico funzionario non sono separate, né distinte, ma speculari, indissolubilmente connesse e convergenti nell’unico accordo inerente il mercimonio della funzione pubblica e di quella giudiziaria (per questo si definisce la corruzione delitto plurisoggettivo bilaterale o a concorso necessario). Quanto detto è attestato dal perfetto sincronismo tra il dare del privato ed il ricevere del pubblico funzionario (connessione logica tra la corruzione attiva, che anima la vicenda, e la corruzione passiva) e dal dato normativo dell’art. 321 c.p., che estende al corruttore le pene previste per il corrotto, senza considerare autonomamente il comportamento del primo. Se dunque il pactum sceleris è elemento essenziale della fattispecie corruttiva, sarà in relazione ad esso, e non ad altri momenti, che andrà identificato il tempus commissi delicti del reato. Dalla lettura degli art. 318 e 319 c.p. emerge come l’accordo corruttivo può perfezionarsi in due modi: 1) con la contestuale ricezione della retribuzione indebita da parte del pubblico ufficiale; 2) con l’accettazione della promessa, non essendo necessaria l’esecuzione dell’impegno o la consegna del compenso (ciò in quanto l’accettazione della promessa di denaro o di altra utilità integra comunque un compromesso illecito inerente la funzione pubblica). Il dato legislativo suggerisce altresì come l’accordo corruttivo possa scorrere avanti e indietro nel tempo, collocandosi ora precedentemente all’esecuzione dell’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio (corruzione impropria e propria antecedente), ora successivamente al compimento di quell’atto (corruzione impropria e propria susseguente). Orbene, nella corruzione antecedente, sia ordinaria, che in atti giudiziari, il compimento dell’atto esecutivo della stessa è estraneo alla fattispecie criminosa e non va ad incidere sul tempo della consumazione (eventualmente rileva in sede di verifica dell’elemento soggettivo che anima i protagonisti della vicenda).

 

(...)

 

 

4.    La corruzione in atti giudiziari susseguente.

 

Ebbene, se questi sono i criteri generali che orientano l’individuazione del tempus commissi delicti nelle ipotesi di corruzione in atti giudiziari antecedente, ben più complessa è la questione riguardante la corruzione susseguente. In particolare, in merito alla collocazione temporale “successiva” del pactum sceleris, buona parte di dottrina e giurisprudenza ne ha di recente escluso la conciliabilità con la fattispecie ex art. 319-ter c.p. Ciò ha prodotto conseguenze non trascurabili, se si pensa che l’esclusione della sussistenza della corruzione in atti giudiziari determina la reviviscenza delle forme ordinarie di corruzione, con sanzioni più tenui e termini di prescrizione differenti. In particolare, come evidenziato da autorevoli opinioni, il nocciolo della critica consta nell’inconciliabilità tra i fatti corruttivi commessi allo scopo di mutare in peius o in melius la posizione di una parte processuale e la mera retribuzione o promessa di retribuzione di atti funzionali già compiuti: il tutto in assenza di un preventivo accordo idoneo a compromettere la terzietà ed imparzialità della funzione giudiziaria. La giurisprudenza, dapprima di merito poi di legittimità, ha rafforzato tale critica precisando che la corruzione in atti giudiziari, caratterizzata dalla proiezione finalistica verso l’obiettivo futuro (“per favorire o danneggiare una parte…”), non è compatibile con la tensione verso il passato e con l’interesse già soddisfatto, che caratterizzano il modello della corruzione susseguente. Ivi infatti, la retribuzione o promessa di retribuzione riguardano un atto funzionale (dell’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio) pregresso, mentre dalla fattispecie ex art. 319-ter c.p. emerge chiaramente come la dazione dell’utilità o l’accettazione della relativa promessa rilevino solo riguardo ad un atto ancora da adottare o alla cui adozione il pubblico ufficiale s’impegna. Contro tali argomentazioni si è scagliata tuttavia l’opinione favorevole all’interpretazione letterale dell’art. 319ter c.p.: la norma in questione richiama infatti, espressamente, entrambe le fattispecie corruttive ex artt. 318 e 319 c.p., sia in forma antecedente che in quella susseguente, non prevedendo limitazioni in tal senso. Ne deriva che il legislatore ha già risolto positivamente i problemi di compatibilità tra corruzione in atti giudiziari e schema susseguente, senza che residuino dubbi di configurabilità di tale tipologia delittuosa. Peraltro, nella fattispecie di corruzione in atti giudiziari susseguente si ha una causalità invertita rispetto alla corruzione in atti giudiziari antecedente, nel senso che l’atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio costituisce presupposto strutturale indispensabile della condotta, la quale assume rilievo penale solo in forza del contributo causale dell’atto stesso. All’argomento letterale, dottrina e giurisprudenza favorevoli all’inconciliabilità, hanno obiettato che il richiamo apparentemente indiscriminato dell’art. 319-ter c.p. a tutte le ipotesi di corruzione, è in realtà circoscritto alla sola corruzione antecedente. Ciò poiché l’espressione “per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale amministrativo” non anche seguita dall’espressione “per aver favorito o danneggiato (...)” suggerisce espressamente che nell’ambito di tipicità dell’art. 319-ter c.p. non rientra la retribuzione o la promessa di retribuzione di atti funzionali già compiuti (la suddetta tecnica di redazione normativa è utilizzata anche dall’art. 319 c.p. che, relativamente alla corruzione propria, richiama tanto l’atto già compiuto che quello ancora da compiere - cfr. “per omettere o ritardare (…) o per aver omesso o ritardato (…) per compiere o per aver compiuto”). Dunque, se non si vuole violare il principio di tassatività, si dovrà concludere per l’inconciliabilità della corruzione in atti giudiziari con lo schema susseguente. A ritenere il contrario si rischierebbe di forzare in malam partem il dato normativo, creando una fattispecie delittuosa di per sé non prevista e più grave di quella configurabile in concreto (corruzione semplice ex artt. 318 co. 2 o 319 c.p.). Compatibilmente con le considerazioni svolte, la Suprema Corte di Cassazione nel 2006, è arrivata a circoscrivere l’ambito applicativo della corruzione in atti giudiziari alle sole ipotesi antecedenti propria ed impropria, precisando come il solo patto corruttivo anteriore all’atto sia idoneo ad incidere sull’imparzialità e la trasparenza della funzione giudicante e ad integrare il disvalore del reato ex art. 319-ter c.p. Il modello susseguente è al contrario, assolutamente incapace di influenzare un’attività giudiziaria già esercitata ed esaurita. Tuttavia, per la gravità del loro comportamento, i protagonisti della vicenda corruttiva saranno comunque suscettibili di punizione nelle forme ordinarie (art. 318, 319 c.p.).

Di recente, l’orientamento giurisprudenziale prevalente tende però a sposare la tesi della compatibilità tra le figure. Sostiene infatti che: 1) se il legislatore avesse voluto lasciar fuori la corruzione in atti giudiziari susseguente l’avrebbe fatto senza mezzi termini, escludendo in modo espresso la fattispecie susseguente dall’ambito operatività dell’art. 319-ter c.p.;

2) ai fini della configurabilità del delitto di corruzione in atti giudiziari ciò che rileva è la natura dell’atto compiuto, nel senso che lo stesso deve essere funzionale ad un procedimento giudiziario e porsi quale mezzo diretto ad vantaggiare o danneggiare una delle parti in un processo civile, penale o amministrativo. Ebbene ciò può valere tanto per un atto che il giudice andrà a compiere, tanto eventualmente per un atto già compiuto, come previsto dall’art. 319-ter c.p., che non crea distinzioni sul punto. Non è dunque rilevante che la retribuzione o la relativa promessa giunga ad attività funzionale esaurita, poiché ciò che conta è la non genuinità dell’atto e l’avvenuta compromissione della funzione giudiziaria (in passato la Corte di Cassazione aveva ritenuto che il delitto di corruzione in atti giudiziari si configurasse anche in caso di ripetuta dazione di utilità economiche al giudice delegato ai fallimenti da parte di singoli professionisti privati, in vista di vantaggi patrimoniali rappresentati dal conferimento di incarichi da curatore nelle successive procedure. Ciò anche ove la dazione risultasse successiva al compimento degli atti del giudice fallimentare). Orbene, per quanto riguarda il tempus commissi delicti v’è da dire che in tema di corruzione in atti giudiziari susseguente valgono le stesse conclusioni esposte per la corruzione antecedente. Il reato, infatti, si colloca temporalmente in corrispondenza del perfezionamento dell’accordo corruttivo. L’unica differenza è che nella fattispecie susseguente la dazione-ricezione del compenso ovvero l’accettazione della promessa avanzano nel tempo e s’inseriscono a seguito dell’esercizio della funzione giudiziaria. Con effetti rilevanti quanto a prescrizione, successione di leggi nel tempo ed altri profili di rilevanza del tempus commissi delicti.

 

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