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CRESCITA ECONOMICA, DISTRIBUZIONE DEI REDDITI E STANDARD DI VITA DELLE FAMIGLIE ITALIANE –Nel merito.it

 

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di Vincenzo Lombardo

 

La crisi economica mondiale esplosa nel 2007 ha costretto anche i Paesi ad alto livello di reddito pro-capite a confrontarsi con il brusco peggioramento delle condizioni di vita di larghe fasce della popolazione. L’Italia non fa eccezione.


La contrazione del PIL degli ultimi anni ha accentuato il deterioramento delle condizioni di vita delle famiglie italiane e impone oggi di mettere in atto strategie per difendere e migliorare i loro standard di vita. Un indicatore sommario del grado di svantaggio relativo di una famiglia o individuo è l’incidenza della povertà relativa che indica la percentuale di famiglie – sul totale della popolazione – che ha un reddito disponibile inferiore al 60%1 del reddito medio (o mediano) disponibile nazionale. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’ISTAT, l’incidenza della povertà relativa in Italia ha raggiunto, soprattutto per le famiglie più numerose e per quelle residenti nel Mezzogiorno, livelli paragonabili ai paesi più poveri d’Europa. Dati dell’ufficio statistico Europeo mostrano che, nel 2009, la percentuale di famiglie italiane relativamente povere è risultata superiore di quella dell’Europa a 27 Stati (di circa il 15%), di quella dei 12 paesi Europei di ultima entrata (di circa l’8%), come anche di quella della Germania (di circa il 20%) e di quella della Francia (di circa il 42%). Sul piano nazionale, inoltre, la forbice tra Nord e Sud del paese ha continuato ad allargarsi negli ultimi quattro anni. Non solo l’incidenza della povertà relativa è da decenni enormemente più bassa nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali, ma le prime hanno recuperato più velocemente delle seconde una porzione dell’incremento nei tassi di povertà avvenuto all’inizio della crisi economica. I dati dell’ISTAT certificano che nel 2007 il 22,5% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno si trovava al di sotto della linea di povertà relativa, a fronte del 5,7% delle famiglie settentrionali. Al 2009, nel pieno della crisi economica, il tasso d’incidenza della povertà relativa scende al 5,2% nelle regioni settentrionali, mentre resta stabile al 22,7% in quelle meridionali, rispetto a una media nazionale pari al 10,9%.
Queste dinamiche sono in parte riconducibili ai differenziali nei tassi di crescita tra l’Italia e le sue controparti Europe, e, all’interno del paese, tra le due macro-aree. In un altro articolo è stato evidenziato che le previsioni di crescita del PIL Italiano per il 2011 (0,6%) sono molti inferiori a quelle dei principali Paesi Europei (Germania: +2,7%, Francia: +1,7%, Spagna: +0,8%), mentre il differenziale di crescita effettivo del 2010 tra Mezzogiorno e Centro-Nord si è attestato all’1,5% (Centro-Nord: 1,7%; Sud: 0,2%). Una parte rilevante delle differenze osservate nelle condizioni di vita delle famiglie italiane va, però, attribuita anche alla più ineguale distribuzione dei redditi all’interno delle stesse aree economiche, con il Mezzogiorno che presenta tassi d’ineguaglianza maggiori di quelli del Centro-Nord.
Se è generalmente riconosciuto che la crescita economica è necessaria per ridurre i tassi di povertà, l’efficienza con cui un aumento del PIL o del reddito nazionale delle famiglie li riduce dipende fortemente dall’iniziale distribuzione dei redditi. Maggiore è l’ineguaglianza, minore è l’impatto che tassi di crescita positivi hanno sul miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie. La distribuzione iniziale del reddito influenza la dinamica dei tassi di povertà anche attraverso un effetto indiretto sui tassi di crescita del PIL. Soprattutto quando i mercati mostrano bassi gradi di competitività e diffuse sono le posizioni monopolistiche, una maggiore ineguaglianza iniziale nei redditi è correlata con minori prospettive di crescita sostenuta dell’economia, e quindi con tassi di povertà relativa più alti. Per decenni, invece, il faro dello sviluppo economico e sociale italiano è stato rappresentato dalla cosiddetta “politica dei due tempi”, fondata sull’idea che la crescita economica potesse essere indipendente dalle questioni redistributive. Tali politiche prevedevano che fosse prima necessario aumentare la torta, stimolando la crescita del PIL, e poi si potesse pensare a dividerla. Le questioni redistributive sono così state relegate solo al campo dell’etica, senza alcuna considerazione per l’efficacia anche economica, e non solo sociale, di una minore ineguaglianza nella distribuzione dei redditi.
Un’indicazione concreta degli effetti dell’interazione e del peso che queste due forze, crescita del PIL e distribuzione dei redditi, hanno sulle condizioni di vita delle famiglie italiane, e quindi sui tassi di povertà relativa, si può ottenere, invece, guardando al recente passato. Già prima di quest’ultima crisi economica, un rinnovato processo d’impoverimento delle famiglie italiane si era innescato dall’inizio degli anni Novanta a seguito di un’altra crisi economica. Dopo un quindicennio (dal 1977 al 1991) di forti riduzioni nei tassi di povertà relativa, all’inizio degli anni Novanta si osserva un’inversione con un incremento, più sostenuto nel Mezzogiorno, della percentuale di famiglie al di sotto della linea di povertà relativa. Se si considera il periodo 1977-2004, dai dati dell’indagine storica sui “Bilanci delle Famiglie Italiane” della Banca d’Italia emerge che le divergenze osservate nella dinamica della povertà dipendono marcatamente da come i benefici della crescita economica si siano distribuiti tra le diverse classi di reddito. Nella Figura 1 si presentano le cosiddette “growth incidence curves” (curve d’incidenza della crescita), che indicano come vengono redistribuiti i benefici delle crescita economica. Esse evidenziano quanta parte percentuale della crescita del PIL o del reddito nazionale affluisce alle diverse classi, o percentili, di reddito.

Figura 1 – Distribuzione della crescita economica
fig1

Una curva inclinata negativamente indica che la crescita del reddito ha beneficiato maggiormente le classi più povere contribuendo alla riduzione dei tassi di povertà relativa e quindi del divario tra le code più alte e più basse della distribuzione. Se tra il 1977 e il 1991 la crescita economica ha sicuramente favorito le parti più povere della distribuzione favorendo la riduzione dei tassi di povertà relativa, nel quindicennio successivo la dinamica si è drasticamente invertita. La crescita economica di questo secondo periodo, anche se bassa, ha avvantaggiato maggiormente le classi più ricche della distribuzione del reddito, alimentando il processo d’impoverimento.
Questi trend si confermano anche sul piano territoriale, con maggiori distorsioni nelle regioni Meridionali dove i tassi di crescita economica, anche se bassi, sono stati distribuiti in modo molto più ineguale tra le classi di reddito rispetto alle regioni settentrionali. Queste differenze regionali derivano non tanto da diversità innate nella sensibilità con cui nelle due macro-aree i tassi di povertà relativa rispondono alla crescita del PIL, ma dipendono dal più alto grado d’ineguaglianza iniziale nella distribuzione dei redditi all’interno del Mezzogiorno. Nel corso del periodo, infatti, è aumentato il peso che le variazioni nei tassi d’ineguaglianza, rispetto a quelle nel PIL, hanno avuto nel plasmare la velocità con cui si modificano i tassi di povertà. Nella misura in cui un aumento del PIL e una riduzione dell’ineguaglianza insistono nel determinare la loro riduzione, le variazioni nella distribuzione del reddito hanno assunto un peso relativamente maggiore a causa dell’incremento nella distanza tra le classi più povere e più ricche della distribuzione.
Politiche economiche rivolte, esclusivamente o primariamente, all’incremento del PIL hanno sicuramente contribuito a ridurre i tassi di povertà. Tuttavia, la scarsa attenzione posta alla dinamica dell’ineguaglianza è una delle cause dell’ancora elevato differenziale negli standard di vita tra l’Italia e i principali Paesi Europei, e tra le due macro-aree del Paese.
Il rischio attuale è di continuare a considerare di residuale importanza, o a relegare solo al campo dell’etica, il modo in cui vengono redistribuiti gli eventuali incrementi nel PIL. Alla luce di queste dinamiche, è invece necessario concentrarsi meno su presunte gerarchie nella scelta tra crescita o distribuzione, e tenere maggiormente in considerazione la rilevanza economica di politiche attente alla dinamica dell’ineguaglianza.

1. A seconda degli scopi si usano benchmark differenti, come il 40% o il 50%.

 

 

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