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FONDI STRUTTURALI: POSSIBILI LEZIONI DA INVESTITORI PUBBLICI E FONDI SOVRANI ESTERI-Nel merito.it

 

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di Andrea Nuzzi

 

L’oggetto di analisi - Il dibattito sulla riduzione delle risorse disponibili per misure di sostegno allo sviluppo, a causa dei crescenti vincoli di finanza pubblica, è di grande attualità.

 

Pur essendo innegabile che, come conseguenza della crisi internazionale, siano state apportate riduzioni alle risorse previste dalla programmazione nazionale (principalmente al FAS: Fondo per le Aree Sottoutilizzate), non può essere dimenticato come gli ingenti fondi strutturali previsti dalla programmazione comunitaria per soddisfare gli obiettivi di coesione e sviluppo economico e sociale (FESR: Fondo europeo di sviluppo regionale e FSE : Fondo sociale europeo) siano rimasti intatti e, nonostante ciò, le Amministrazioni assegnatarie fatichino a raggiungere soddisfacenti performance di spesa

Considerandone l’entità, questi potrebbero costituire, se impiegati in modo opportuno, il volano su cui imperniare una nuova stagione di crescita nelle aree del Mezzogiorno. Il panorama generale è reso ancor più complicato dal vincolo esistente tra rispetto del patto di stabilità interno e possibilità di attingere ai fondi: con il vigente sistema, le Amministrazioni che non rispettano il patto di stabilità non possono impiegare le risorse previste dai fondi strutturali. Anche in virtù della difficile situazione economica attuale, tale previsione è oggetto di forti discussioni.

Al di là degli aspetti congiunturali, il cuore del problema è comprendere se, più che un tema di risorse, i problemi principali siano piuttosto  nella governance e nei meccanismi di impiego dei fondi. 

Assumendo la presenza di un contesto di vincolo di bilancio, ci si dovrebbero attendere percentuali di impegno dei fondi assegnati e velocità di spesa molto elevate: le Amministrazioni assegnatarie dovrebbero infatti avere tutto l’interesse a spendere in modo rapido (ed efficace) tali fondi. In realtà, l’evidenza empirica contraddice quanto sopra: le Amministrazioni che hanno diritto a più risorse si caratterizzino per performance di spesa più limitate.

A titolo di esempio, per tutte le Regioni obiettivo convergenza – disponibilità di circa 28 miliardi per FESR e FSE tra quota UE e cofinanziamento – il rapporto tra fondi spesi e totale dei fondi stanziati per il periodo di programmazione è, a fine 2010, inferiore al 10% (Calabria 9%, Puglia 8,8%, Sicilia 7,7%, Campania 6,6%).  

Sorprende a questo proposito, approfondendo il dibattito circa le risorse disponibili, che l’unico criterio per valutare la performance delle Amministrazioni assegnatarie sia la loro capacità spesa e non l’impatto generato mediante l’utilizzo e/o la qualità dei progetti selezionati; a rigor di logica, la capacità di spendere i fondi dovrebbe essere un requisito-base e non IL criterio di valutazione dei risultati delle Amministrazioni.

In un’ottica più ampia di sistema-Paese, l’esigenza di impiegare tali fondi dovrebbe essere ancor più sentita poiché l’Italia è stabilmente nel gruppo dei contributori netti al bilancio comunitario (tra il 2000 e il 2008 ha versato circa 20 miliardi di euro in più di quelli ricevuti dall’UE).

 

Efficacia e rapidità: questioni di merito e di metodo

La scelta del criterio di governance effettuata per la gestione dei fondi strutturali è coerente con il principio di sussidiarietà e con un’impostazione finalizzata a responsabilizzare le Amministrazioni assegnatarie dei fondi. Il processo decisionale alla base delle attività di pianificazione e di assegnazione delle risorse ad imprese e progetti è pertanto fortemente decentrato: le competenze di programmazione, elaborazione delle strategie e decisioni di spesa, sono delegate ad organi caratterizzati da elevata vicinanza territoriale al target degli interventi. Volendo sintetizzare, sono cinque gli elementi di peculiare criticità desumibili dall’osservazione delle esperienze degli ultimi cicli di programmazione caratterizzanti il sistema ideato:

 

    complessità di procedure di assegnazione e rendicontazione con conseguente allungamento del time-to-market degli investimenti;

    qualità nella selezione di progetti: la limitata presenza di competenze specifiche nella valutazione del merito industriale e creditizio può produrre risultati non ottimali sotto il profilo della selezione dei progetti imprenditoriali;

    forma tecnica delle risorse disponibili: la gran parte dei fondi stanziati sono assegnati “a fondo perduto”. Tale scelta comporta l’esaurimento strutturale dei fondi disponibili (assenza di rotatività) e potrebbe generare un messaggio che, sotto il profilo culturale, potrebbe rivelarsi contraddittorio con il normale approccio di mercato. In uno scenario caratterizzato da contributi a fondo perduto continuativi, le imprese potrebbero infatti “assuefarsi” alla loro presenza: si rischierebbe pertanto di generare incentivi verso comportamenti opportunistici in base ai quali le imprese investono solo se ricevono tale sostegno;

    appellabilità delle graduatorie redatte dalle Autorità di gestione da parte dei partecipanti con conseguente allungamento dei tempi: l’assegnazione dei fondi avviene a conclusione dei ricorsi;

    criterio di impiego dei fondi: il modello di governance prevedente che le decisioni di spesa siano decentrate e prese sul territorio potrebbe generare come effetto inintenzionale quello di privilegiare la numerosità delle iniziative (massimizzazione dell’effetto distributivo) piuttosto che la loro dimensione con conseguente allocazione dei fondi su progetti di ridotta massa critica e scarsa rilevanza sistemica.

 

 

Modelli alternativi di impiego di risorse pubbliche: il caso di investitori istituzionali pubblici e fondi sovrani esteri

Oltre al modello adottato in ambito comunitario, ne esiste uno alternativo che demanda a operatori privati alcune funzioni tradizionalmente adempiute dal settore pubblico (ad es., valutazione di merito dei progetti)

Questa è l’impostazione seguita da investitori istituzionali pubblici e fondi sovrani stranieri i quali adottano criteri e strumenti privatistici nell’impiego delle risorse statali amministrate. Le caratteristiche che emergono dall’analisi delle condotte di questa categoria di operatori sono così sintetizzabili:

 

    concentrazione delle risorse su progetti di carattere sistemico (rilevante massa critica);

    ridotto time-to-market (elevata rapidità delle decisioni di investimento);

    selezione degli investimenti demandata ad operatori dotati di expertise specifico e consolidato (in genere operatori con solido track record nella selezione degli investimenti e/o attori pubblici con profili manageriali assunti da questi operatori);

    governance decisionale accentrata e prevedente il rispetto del criterio di indipendenza tra funzione di indirizzo (area politica) e funzione di gestione dei fondi/ selezione dei progetti (area tecnica);

    limitati costi nella gestione delle risorse (società di gestione dei fondi snelle).

 

 

In genere, lo Stato fa gestire le risorse pubbliche ad un veicolo terzo creando management company che adottano logiche comportamentali simili a quelle di operatori di mercato ma mantenendo un approccio di investimento di mercato ispirato al conseguimento di un mix rendimento/ rischio sostenibile nel medio-lungo termine.

 

Alcune lezioni apprese

Anche con vincoli di finanza pubblica particolarmente stringenti, sarebbero disponibili ancora ingenti risorse per lo sviluppo del Mezzogiorno. Il problema è che esistono fattori che inibiscono la capacità di spesa: l’approccio con competenze polverizzate sul territorio e adozione delle procedure ad evidenza pubblica per ogni singolo investimento da approvare ha storicamente generato lentezza e il rischio di disimpegno dei fondi stanziati.

In un contesto in cui l’Europa richiede – con cadenza quotidiana – impegni finalizzati al contenimento del deficit pubblico e lo Stato risponde con misure che impongono rilevanti sacrifici ai cittadini, un disimpegno dei fondi avrebbe effetti (concreti e “comunicativi-simbolici”) particolarmente negativi.

In questa prospettiva, alcune delle migliori pratiche sviluppate dagli investitori istituzionali pubblici potrebbero rivelarsi estremamente utili e fornire un contributo importante, pur nel rispetto di prerogative e ruoli delle Amministrazioni competenti. In particolare, i seguenti principi potrebbero essere applicati in via sperimentale:

 

    coinvolgimento di operatori privati con esperienza specifica nella selezione di investimenti per impiegare le risorse;

    rispetto del principio della compartecipazione al rischio pari passu tra risorse messe a disposizione dalle Amministrazioni pubbliche e quelle raccolte dai privati per non generare incentivi verso comportamenti di azzardo morale di questi ultimi;

    selezione del soggetto gestore mediante procedura ad evidenza pubblica sulla base delle proprie competenze e del suo track record: ciò garantirebbe vantaggi in termini di rilevante semplificazione (si svolge una sola procedura – selezione del gestore – e non un numero elevato numero per l’identificazione delle imprese e dei progetti beneficiari dei fondi), miglioramento della valutazione del merito e incremento di velocità nella selezione;

    predisposizione di presidi di governance per consentire alle Amministrazioni assegnatarie di mantenere inalterati i propri poteri di indirizzo strategico (ad es., comitato di indirizzo costituito dai rappresentanti delle Amministrazioni regionali che indica al gestore i criteri da seguire per la selezione degli investimenti:  focus settoriale, soglie dimensionali delle imprese, tipologia di intervento, per esempio);

    imposizione di vincoli sulla combinazione rischio/ rendimento target delle operazioni per limitare condotte eccessivamente rischiose da parte del gestore dei fondi.

 

Alcuni primi passi nella direzione di potenziare il coinvolgimento di operatori di mercato sono stati compiuti dalle Amministrazioni nel presente periodo di programmazione. Il riferimento è al Fondo di natura rotativa Jeremie (Joint European Resources for Micro to Medium Enterprises): in base a questo modello, la gestione dei fondi strutturali viene affidata con un mandato dall’Amministrazione assegnataria ad un’Istituzione finanziaria esterna e le risorse allocate possono essere utilizzate per erogare garanzie, credito agevolato e capitale di rischio (capitale di rischio/ forme ibride tra debito e capitale di rischio:  mezzanino).

Le esperienze più significative in tal senso sono certamente rappresentate dalla Campania e dalla Sicilia che, a fine 2010, avevano allocato su tale strumento di ingegneria finanziaria rispettivamente 90 e 75 milioni di euro.

Le misure poste in essere si sono focalizzate per entrambe le esperienze sul credito agevolato.

L’elemento di maggior rilievo ai nostri fini è costituito dal fatto che, per come è stato ideato il meccanismo di Jeremie, gli intermediari finanziari coinvolti nell’erogazione dei prestiti devono co-finanziare nella misura del 50% (pari passu) le iniziative delle imprese. In tal modo, questi sono incentivati a selezionare gli investimenti migliori.

Inoltre, il rimborso delle rate da parte delle imprese alimenta nuovamente il Fondo (rotatività) e le risorse, una volta rientrate nella disponibilità dello stesso, potranno essere impiegate nuovamente     

A conti fatti, il sistema va quindi nella direzione giusta.

Tuttavia, alla luce delle difficoltà di impiego dei fondi e di selezione dei progetti riscontrate con il modello attuale e della particolare criticità caratterizzante l’odierna congiuntura economica che rende necessario un cambiamento di ritmo nell’adozione di misure urgenti per lo sviluppo varrebbe la pena adottare in via sperimentale l’impostazione descritta in modo più esteso.

Tale approccio darebbe una prima risposta concreta ed efficace alle raccomandazioni del Consiglio UE Ecofin formulate a luglio 2011 nell’ambito delle procedure del Semestre europeo. In quella sede, si richiedeva all’Italia di “promuovere l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei capitali” (…) e “accelerare le procedure di cofinanziamento della politica di coesione, al fine di incrementare il tasso di assorbimento dei fondi europei e migliorare la qualità del loro impiego”.

 

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