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CONSAPEVOLI DI ESSERE NELL’UNIONE EUROPEA: LA FORMAZIONE DEL GOVERNO MONTI NEGLI ATTI DEL QUIRINALEdi Alessandro Sterpa-federalismi.it

 

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(Ricercatore di istituzioni di Diritto pubblico –

Università di Roma “La Sapienza”)

 

La cronaca di questi giorni ha consegnato agli studiosi un interessante susseguirsi di atti

istituzionali e di azioni politiche che meritano di essere ricostruiti con riguardo, in particolare,

ad alcuni profili analizzando i quali si definisce almeno una parte delle ragioni che hanno

determinato il corso degli eventi.

Il primo aspetto è il (così spesso citato) “eterocondizionamento” del processo politicoistituzionale

italiano ad opera di soggetti ritenuti esterni alla Repubblica quali i “mercati

finanziari” e i “partner europei”.

I termini tra virgolette non sono impiegati casualmente, ma sono tratti dai comunicati del

Quirinale. Nella nota del primo novembre, è proprio il Presidente della Repubblica a fare

riferimento al contesto dell’“ulteriore aggravarsi della posizione italiana nei mercati

finanziari”, agli “impegni” nei confronti delle “autorità europee”, nonché alle “scelte che

l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con

urgenza dall’Italia”. Nello stesso testo si fa inoltre riferimento all’“aggravarsi della crisi” e al

“così critico momento”.

Dello stesso segno la dichiarazione-nota del 3 novembre allorché si richiama il “momento di

diffusa e acuta preoccupazione per le difficoltà e i rischi cui l’Italia è esposta nel quadro della

grave crisi dell’Eurozona” ed è lo stesso Capo dello Stato a rivolgersi in prima persona

precisando: “credo di poter dire ai nostri partner europei, agli osservatori internazionali, e al

www.federalismi.it 2

mondo degli investitori finanziari, che le forze politiche fondamentali, sia di maggioranza sia

di opposizione, sono consapevoli della portata dei problemi che l’Italia deve affrontare con

urgenza e attraverso sforzi coerenti e costanti nel tempo. Gli obbiettivi di risanamento

finanziario e di rilancio della crescita economica e sociale assunti dalle autorità italiane nelle

sedi europee - da ultimo, nelle riunioni del 26 ottobre - sono seriamente riconosciuti come

impegnativi dal più ampio arco delle parti politiche e sociali”.

Nel medesimo senso muove la nota dell’8 novembre della Presidenza della Repubblica che fa

espresso riferimento alla “urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner

europei” anche alla luce del “recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione

europea”. Ancora, nella dichiarazione del Presidente della Repubblica del giorno successivo

(il 9 novembre) - con la quale si forniscono alcuni “chiarimenti” - si specifica di essere “di

fronte alla pressione dei mercati finanziari sui titoli del debito pubblico italiano che oggi ha

toccato livelli allarmanti”. Ciò solamente attenendosi agli atti dotati di una espressa formalità

e senza voler riprendere le dichiarazioni del Presidente della Repubblica rilasciate in altre

occasioni.

Che un condizionamento esterno abbia influenzato la vita politica e istituzionale del nostro

Paese appare essere un dato non solo di tutta evidenza ma finanche formalizzato in atti

istituzionali. Va però al tempo stesso ricordato che si tratta di un condizionamento frutto delle

scelte, in primis normative, compiute dall’Italia in questi anni allorché ha aderito al duplice

processo di integrazione europea (attraverso “limitazioni di sovranità” ex art. 11 della

Costituzione e finanche con l’istituzione di una moneta unica e, come prevedono i trattati,

“stabile”) e di adesione nelle sedi internazionali alla creazione di mercati finanziari aperti e

globali. Si tratta insomma di un condizionamento che abbiamo “sovranamente” determinato

allorché si è deciso di far parte dell’Unione (anche economica e monetaria) europea alla quale

“gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni” (art. 1

TUE).

Come noto, sulla base del principio di attribuzione, l’Unione europea è competente nelle

materie espressamente previste dai trattati, ma sappiamo bene che oltre al principio di

proporzionalità opera anche, ed in senso “pro-comunitario”, quello di sussidiarietà per cui al

fine di giustificare l’intervento comunitario può prevalere l’obiettivo comune da perseguire

rispetto alla mera assegnazione di competenza.

La “politica monetaria per gli Stati membri” è competenza esclusiva dell’Unione europea

tant’è che, ai sensi dell’art. 119 TUE, “l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende,

alle condizioni previste dai trattati, l’adozione di una politica economica che è fondata sullo

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stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e

sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di

mercato aperta e in libera concorrenza”. Detta azione “comprende una moneta unica, l’euro,

nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio

uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo

questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell’Unione conformemente al

principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”. Infine, queste azioni

degli Stati membri e dell’Unione “implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi

stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti

sostenibile”.

Come è stato sottolineato, le nuove previsioni dei trattati “pur con cautele e incertezze”

appaiono “orientate al rafforzamento del sistema di governo economico europeo ed al suo

adattamento al contesto globalizzato”1. I trattati prevedono procedure, anche sulla base del

principio di leale collaborazione, per governare il rapporto Stati-Unione in materia economica

e monetaria, ma è evidente che la situazione finanziaria di un Paese membro può essere

sottoposta a momenti di stress la cui velocità e incisività possono pretendere decisioni

nazionali rapide e radicali2.

L’Italia, con i titoli di Stato a sempre maggior rendimento, avrebbe potuto sovranamente

decidere di resistere o meno al rischio finanziario qualora non fosse stata nella moneta unica.

L’adesione all’Unione europea comporta di per sé l’indisponibilità di questa scelta e

l’imposizione allo Stato di adottare tutte le misure necessarie per garantire la politica

economica e monetaria europea ed evitare shock all’euro (ricordiamo nuovamente che la

“stabilità” della moneta è prevista dallo stesso trattato).

Questa crisi di governo ha così plasticamente mostrato cosa significa far parte di ordinamento

giuridico politico sovranazionale che limita la nostra autonomia (o la nostra sovranità se si

preferisce) politica. La dichiarazione-nota del 1 novembre del Quirinale, non a caso, parla

proprio – contemporaneamente – di “interessi generali dell’Italia e dell’Europa, in una crisi

finanziaria gravida di incognite”.

D’altronde, il trattato prevede che “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri

davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica

e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni

1 G. P. MANZELLA, La politica economica e il governo della moneta unica, in F. BASSANINI, G. TIBERI, Le nuove

istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 301.

2 B. CARAVITA, Will Germany save the euro? What is the prize?, in federalismi.it, n. 19 del 2011.

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essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di

mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la

sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro” (art. 4). Con un

linguaggio che ricorda lo schema delle funzioni fondamentali che lo Stato italiano prevede per

gli enti locali ex art. 117,comma secondo, Cost., il trattato sembra da un lato nascondere un

qualunque rapporto concreto tra lo Stato e le politiche economiche e monetarie, dall’altro

appare solerte nel dichiarare il rispetto dell’Unione per la “struttura fondamentale, politica e

costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali” degli Stati membri.

Veniamo così al secondo punto: questa condizione esterna che si è (legittimamente) imposta

all’Italia ha avuto effetti sulla “struttura fondamentale, politica e costituzionale” del Paese?

Non è questa la sede per rispondere, in particolare, al tema se il sistema delle autonomie locali

e regionali ne sia stato investito; tuttavia, per questo aspetto, ci limitiamo a ricordare non solo

la capacità delle norme comunitarie di derogare addirittura al riparto costituzionale delle

competenze tra Stato e autonomie (come riconosciuto dalla Corte costituzionale3) e la forte

invasività del diritto comunitario, ma anche che la stessa attuazione dell’art. 119 della

Costituzione ha assunto gli indiscussi tratti dello strumento per il controllo della spesa

pubblica più che dell’incremento dell’autonomia politica e finanziaria degli enti territoriali

autonomi, come ha sottolineato la dottrina più attenta4. Basti inoltre pensare all’incisività del

titolo di intervento del legislatore statale di cui al “coordinamento della finanza pubblica”.

Sulla restante “struttura fondamentale” vale invece la pena riflettere pur nella rapidità di

queste prime osservazioni.

La procedura per la formazione del Governo Monti è stata influenzata dal fatto che i mercati

finanziari e i partner europei ponessero una condizione esterna che si imponeva all’Italia,

ossia evitare il rischio di un’insolvenza del debito pubblico che avrebbe avuto effetti sulla

stabilità dell’Euro?

Anche in questo caso, gli atti del Quirinale ci vengono in soccorso e ci forniscono importanti

elementi di formale riscontro, in particolare quando sottolineano l’urgenza che le istituzioni

nazionali (Parlamento e Governo) siano in grado di decidere (oltre che di decidere nel senso

delle indicazioni europee e delle attese internazionali).

3 Corte costituzionale sentt. nn. 224 del 1994 e n. 126 del 1996; cfr. T. GROPPI, L’incidenza del diritto

comunitario sui rapporti Stato-regioni in Italia dopo la riforma del Titolo V, in www.unisi.it.

4 B. CARAVITA, Federalismi, federalismo europeo, federalismo fiscale, in federalismi.it, n. 9 del 2011.

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Nelle note e nelle dichiarazioni del Quirinale è presente un costante riferimento alla necessità

di garantire una adeguata capacità di decisione delle istituzioni italiane. Così, nella nota del

1 novembre si qualifica come “improrogabile l’assunzione di decisioni efficaci nell’ambito

della lettera di impegni indirizzata dal governo alle autorità europee” e si connette questa

considerazione sia al fatto che il Presidente del Consiglio abbia “confermato il proprio

intendimento di procedere in tal senso”, sia al fatto che le opposizioni abbiamo “manifestato

la disponibilità a prendersi le responsabilità necessarie”.

L’“urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei” è richiamata

nella nota dell’8 novembre, mentre la dichiarazione del 9 novembre è tutta tesa a rassicurare

riguardo la capacità dell’Italia di “provvedere” comunque ad adottare le decisioni necessarie.

Si tratta di un vero “manifesto” a sostegno della capacità dell’Italia di assumere le scelte di

merito opportune, garantendo certezza e rapidità dei passaggi istituzionali della crisi (notizia

sicura delle dimissioni del Governo Berlusconi dopo la altrettanto certa e rapidissima

approvazione della legge di stabilità, immediatezza e massima rapidità delle consultazioni)

per garantire che “entro breve tempo o si formerà un nuovo governo che possa con la fiducia

del Parlamento prendere ogni ulteriore necessari decisione o si scioglierà il Parlamento per

dare subito inizio a una campagna elettorale da svolgere entro i tempi più ristretti”.

Nella dichiarazione, il Presidente della Repubblica, non a caso, conclude rassicurando che

“sono pertanto infondati i timori che possa determinarsi in Italia un prolungato periodo di

inattività governativa e parlamentare”; ciò non solo per la velocità dei passaggi istituzionali

di cui sopra, ma anche perché – una sottolineatura che dice molto rispetto a questo secondo

punto di analisi – è “comunque sempre possibile in ogni momento adottare, se necessario,

provvedimenti di urgenza”. Una riflessioni di chiusura che, tradotta, significa che anche se

non si formasse un nuovo governo (quindi non si arrivasse al giuramento e si restasse con il

dimissionario) o se si formasse ma non ottenesse la fiducia, rimarrebbe pur sempre possibile

impiegare lo strumento del decreto-legge per adottare queste decisioni.

Il punto relativo all’impiego del decreto-legge, ma non in questa sede, meriterebbe di essere

approfondito. Tuttavia, appare evidente che, nella dichiarazione di chiarimento del 9

novembre, l’ipotesi dell’impiego di provvedimenti di urgenza rappresentava il minimum della

capacità decisionale che l’Italia avrebbe potuto (e dovuto) garantire nella situazione di crisi ai

mercati finanziari e ai partner europei. D’altronde il maximum era già stato in qualche modo

individuato il 1 novembre allorché nella nota del Quirinale si era espressamente fatto

riferimento al largo spazio di consenso delle forze politiche di maggioranza e di opposizione a

convergere sulle decisioni da adottare per rispondere all’aggravarsi della crisi con assunzione

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comune di responsabilità: quella che era definita “una nuova prospettiva” che il Capo dello

Stato riteneva espressamente suo “dovere” verificare.

Arriviamo così al terzo punto di analisi, ossia il ruolo del Presidente della Repubblica nella

gestione istituzionale per garantire - per di più in tempi rapidi - una adeguata capacità

decisionale della Repubblica.

In primo luogo, rileva l’apertura formale della crisi. Essa non si è consumata con il voto della

Camera di martedi 8 novembre a seguito del fatto che il rendiconto dello Stato avesse avuto

solamente 308 voti favorevoli. Quel voto aveva dimostrato formalmente non tanto che il

Governo non avesse la maggioranza assoluta dei voti in quel ramo del Parlamento (cosa che

poco rileva visto che il Governo deve avere la maggioranza semplice dei voti nei

provvedimenti dove si sostanzia il rapporto fiduciario), quanto piuttosto che il Parlamento e il

Governo non fornivano alcuna garanzia decisionale con riguardo agli impegni da assumere

per correggere la crisi finanziaria nazionale che rischiava di travolgere anche l’euro,

nonostante le rassicurazione del Presidente del Consiglio.

A quel punto è sorta la doppia “anomalia” di una crisi parlamentare (nel senso del locus) ma

non formalmente tale (nel senso dell’atto e dell’obbligo di dimissioni) per di più aperta nella

sostanza non dalle dimissioni del Presidente del Consiglio ma dall’annuncio delle dimissioni

sub condicione dell’approvazione della legge di stabilità.

In questo passaggio si annida la peculiarietà della crisi di governo di questi giorni. Per

garantire in tempi rapidi una adeguata capacità decisionale del Paese e scongiurare “un

prolungato periodo di inattività governativa e parlamentare” (sono sempre parole del

Quirinale) che sarebbe potuto realizzarsi con l’apertura immediata di una crisi di governo

formale, si è operato al fine di garantire che un governo “pre-dimissionario” approvasse uno

degli atti politici per antonomasia nel rapporto tra Parlamento e esecutivo (quale è la legge di

stabilità) e, parallelamente, sono stati impiegati questi giorni per realizzare in modi e forme

particolari delle vere e proprie “pre-consultazioni” tra le forze politiche e tra esse e il

Quirinale, se non forse un vero e proprio “pre-incarico”.

D’altronde, incontri istituzionali in questo senso si erano svolgi già prima delle dimissioni

dell’8 novembre: il Presidente della Repubblica tra il 2 e il 3 novembre aveva ricevuto “una

delegazione” di rappresentanti di Pdl, Pd, Lega Nord e Terzo Polo.

Non a caso, nella dichiarazione-nota del 3 novembre scorso, con la quale il Quirinale ha

fornito alcune osservazioni, si evince che “non si è trattato di consultazioni protocollari - di

cui non esistevano i presupposti”, ma di “colloqui informali” con la maggior parte delle forze

www.federalismi.it 7

politiche. Proprio sulla base di detti colloqui, il Capo dello Stato precisa di “poter dire ai

nostri partner europei agli osservatori internazionali, e al mondo degli investitori finanziari,

che le forze politiche fondamentali, sia di maggioranza sia di opposizione, sono consapevoli

della portata dei problemi che l’Italia deve affrontare con urgenza e attraverso sforzi coerenti

e costanti nel tempo. Gli obbiettivi di risanamento finanziario e di rilancio della crescita

economica e sociale assunti dalle autorità italiane nelle sedi europee - da ultimo, nelle riunioni

del 26 ottobre - sono seriamente riconosciuti come impegnativi dal più ampio arco delle parti

politiche e sociali”.

Il punto chiave della nota del 3 novembre è quello in cui il Presidente della Repubblica

precisa che, pur essendo tutto il sistema politico consapevole della necessità di dover adottare

dette misure urgenti, vi è una divisone tra chi ritiene che ciò debba avvenire con l’attuale

maggioranza politica che sostiene il Governo e chi, invece, richiede che ciò avvenga con una

nuova compagine parlamentare e di governo.

In questo contesto, il Presidente della Repubblica non ha ovviamente assunto alcuna

posizione tra le due soluzioni possibili, specificando che “alle une e alle altre forze appartiene

interamente la libertà di assumere le rispettive determinazioni in Parlamento e le

responsabilità che ne conseguono rispetto agli interessi generali dell’Italia e dell’Europa, in

una crisi finanziaria ancora gravida di incognite. I prossimi sviluppi dell’attività

parlamentare mi consentiranno di valutare concretamente la effettiva evoluzione del quadro

politico-istituzionale”.

Con una impeccabile correttezza istituzionale, il Capo dello Stato ha fatto riferimento agli

sviluppi dell’attività parlamentare quale unica fonte di informazioni utile a “valutare

concretamente la effettiva evoluzione del quadro politico-istituzionale.”

Proprio il voto di martedi 8 novembre 2009 con i 308 voti a favore del rendiconto ha

permesso al Capo dello Stato (e alle forze politiche) la concreta valutazione dell’effettiva

evoluzione del quadro politico-istituzionale.

D’altronde, nella nota del 1 novembre il Presidente aveva chiarito di “ritenere suo dovere

verificare le condizioni per il concretizzarsi” della “nuova prospettiva di larga condivisione

delle scelte” attese dall’Unione europea e dagli operatori economici e finanziari. Il

Parlamento, con il voto dell’8 novembre, ha aperto la strada alla potenziale concretizzazione

di questa nuova prospettiva facendo venir meno una delle due ipotesi espresse dalle forze

politiche nelle consultazioni “informali” dei giorni precedenti ossia quella dell’autosufficienza

decisionale della maggioranza politica che sosteneva il Governo nell’ottemperare agli (cosa se

non altro) “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” di

www.federalismi.it 8

cui all’art. 117, comma primo, Cost. (anche se sappiamo come la Corte costituzionale abbia

tentato di distinguere tra i vincoli e gli obblighi)5.

Il Presidente della Repubblica, ci sembra di poter dire, ha in questi giorni svolto nella piena

adesione alle norme costituzionali il ruolo proprio del Capo dello Stato di un ordinamento

giuridico che è parte di un soggetto politico sovranazionale (l’Unione europea) del quale deve

difendere interessi e politiche perché gli interessi e le politiche comunitarie sono tout court gli

interessi e le politiche nazionali (come conferma uno dei passaggi degli atti citati).

Con riguardo al ruolo del Presidente della Repubblica, anche in questo caso, come è stato

sottolineato in via più generale, non dobbiamo confondere i desiderata personali dal contesto

normativo costituzionale che, però, è diverso da quello originario6. Il mandato del Capo dello

Stato di un Paese che aderisce all’Unione europea non può essere lo stesso di un Paese che

non ne è membro. Il Presidente della Repubblica, nel suo ruolo di “Capo dello Stato” e di

“rappresentante dell’unità nazionale” (art. 87, comma primo, Cost.) opera in una sorta di

“contesto costituzionale allargato” rispetto al semplice quadro del 1948.

Di questo “contesto costituzionale allargato”7 non può non far parte l’insieme degli interessi

nazionali connessi a quelli dell’Unione europea e un Presidente della Repubblica che non

custodisse quota parte nazionale anche questa dimensione costituzionale potrebbe venire

meno al proprio ruolo se non addirittura divenire responsabile per alto tradimento o attentato

alla Costituzione ex art. 90 Cost..

In questi giorni, il Presidente della Repubblica ha assunto su di se il ruolo di “garante della

nazione nell’Unione europea”8 nel momento in cui svolgere detta funzione significava

garantire rapidamente che le istituzioni italiane fossero in grado di decidere in modo adeguato

rispetto al contesto di riferimento.

Se muoviamo la nostra analisi da quando detto, più che giustificato appare l’attivismo

relazionale del Capo dello Stato, sostanziatosi nei contatti telefonici e negli incontri con i

Capi di Stato e di governo esteri e con organi dell’Unione europea (Draghi, Van Rompuy,

5 C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed

interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in forumcostituzionale.it.

6 B. CARAVITA, Il Presidente della Repubblica nell’evoluzione della forma di governo: i poteri di nomina e di

scioglimento delle Camere nel convengo di studi “Il Presidente della Repubblica nell’evoluzione della forma di

Governo” tenutosi presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma il 26 novembre 2010; la relazione è

pubblicata negli “Scritti in onore di Franco Modugno”, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, vol. I, p. 473 e ss..

7 Sempre che non si voglia usare l’espressione “spagnola” di “blocco costituzionale” che, non a caso, si riferisce

ai rapporti tra la Costituzione e altre fonti anche degli ordinamenti territoriali autonomi; cfr. Tribunal

Constitucional, sentenze n. 18/82, 76/83, 29/86 e 227/88.

8 Riflette sul rapporto tra unità nazionale e Unione europea B. CARAVITA, Cosa festeggiano gli italiani? Ovvero

del sottile confine tra ricorrenza civile e ricorrenza politica, in federalismi.it, n. 11 del 2011.

www.federalismi.it 9

Obama, Wulff e Sarkozy); altrettanto giustificate appaiono poi le brevissime consultazioni

nella giornata di domenica 13 novembre (iniziate la mattina e concluse la sera) allorché il

Presidente della Repubblica ha conferito l’incarico a Mario Monti lo stesso giorno alle ore 19

circa; incarico al quale ha fatto seguito l’accettazione con riserva da parte del Presidente

incaricato che ha svolto un ulteriore giro di consultazioni nelle giornate di lunedi 14 e martedi

15 novembre preannunciando di volersi recare al Quirinale la mattina del 16 novembre per

sciogliere la riserva.

Va ricordato che negli interventi pubblici del Presidente del Consiglio incaricato e del

Presidente della Repubblica subito dopo il conferimento dell’incarico si è resa evidente

contezza del quadro economico-finanziario tant’è che il Capo dello Stato ha anche ricordato

che l’Italia dovrà collocare, fino all’aprile 2012, circa 200 miliardi di euro di titoli di stato e

ciò dovrà avvenire in condizioni migliori delle attuali per evitare rischi al sistema finanziario

nazionale e europeo. Una riflessione che ci riporta al primo punto della nostra analisi quasi a

fornire una chiusura del ragionamento.

Infine, le modalità di svolgimento della consultazioni sono meritevoli di alcune brevi

osservazioni visto che si sono svolte con un nome in pectore (per l’appunto quello di Mario

Monti) che a sua volta, già nella giornata di sabato 12 novembre (prima di ricevere l’incarico

formale) aveva incontrato alcuni leader politici e, in particolare, il Presidente del Consiglio

(ancora “quasi-dimissionario”) e il vertice della Banca centrale europea Mario Draghi.

In questo percorso, infatti, il Capo dello Stato aveva nominato il 9 novembre il prof. Mario

Monti senatore a vita ai sensi dell’art. 59, comma secondo, della Costituzione, per “aver

illustrato la Patria per altissimi merito nel campo scientifico e sociale”. Un atto (controfirmato

ovviamente dal Presidente del Consiglio “pre-dimissionario”) che è parso a molti un “preincarico”

di fatto, quasi a voler confermare la necessità di tempi rapidi per arrivare alla

soluzione della crisi che, ricordiamolo, non era allora ancora formalmente aperta. Vale la pena

rammentare che la nomina di Monti a senatore a vita ha seguito di poche ore la dichiarazione

del Capo dello Stato con la quale si era chiarito quanto comunicato il giorno prima ossia che il

Presidente del Consiglio si sarebbe con certezza dimesso appena fosse stata approvata (in

pochi giorni grazie all’intesa delle forze politiche) la legge di stabilità. Si legge nella

dichiarazione che “non esiste alcuna incertezza sulla scelta del Presidente del Consiglio on.

Silvio Berlusconi di rassegnare le dimissioni del governo da lui presieduto. Tale decisione

diverrà operativa con l’approvazione in Parlamento della legge di stabilità per il 2012”.

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Durante le consultazioni, almeno sulla base delle dichiarazioni rese all’uscita dall’incontro

con il Capo dello Stato da parte delle delegazioni consultate, solo in pochi casi si è conservato

l’approccio formale per cui debbono essere le forze parlamentari a fornire al Presidente della

Repubblica (che, per l’appunto, le consulta) delle “proposte” per uscire dalla crisi di governo

(il nuovo premier da incaricare oppure la richiesta di scioglimento delle Camere). In molti tra

i “consultati”, invece, hanno relazionato alla stampa dando per scontato che fosse il prof.

Monti il nome del “presupposto Presidente-incaricato” e sul quale hanno ritenuto di

esprimersi in senso favorevole o meno.

Concludendo queste nostre prime e rapide riflessioni non possiamo non notare come si sia

trattato di una crisi caratterizzata da molti “pre-atti” (“pre-dimissioni”, “pre-consultazioni”,

“pre-incarico”) nella necessità di garantire velocemente il ripristino delle condizioni

decisionali delle istituzioni nazionali; capacità decisionale che ci viene imposta, prima ancora

dei contenuti di merito dei provvedimenti, dal fatto che la Repubblica Italiana è parte di un

ordinamento giuridico “complesso” che ne condiziona la vita istituzionale e politica. Una

situazione nuova da considerare nella conduzione di una crisi di governo e che il Presidente

della Repubblica ha saputo impeccabilmente comprendere e gestire nell’interesse nazionale e

dell’Unione europea.

 

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