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IL "GIUSTO PREZZO" DELL'IMMOBILE DEVOLUTO ALLO STATO - Giancarlo GIUSTI- Corte Cost. 28 ottobre 2001, n. 281-Giancarlo GIUSTI

 

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Afferma la Corte che: (...) la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato ed è, per tale ragione, improntata a criteri di semplicità e speditezza della procedura (sentenze n. 351 del 1998, n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994; ordinanze n. 158 del 2008, n. 217 del 2002 e n. 455 del 2000). Coerentemente con tale finalità di tempestiva riscossione dei crediti tributari, il legislatore, nel caso in cui sia risultato impossibile vendere l’immobile esecutato nel corso di tre incanti – conclusisi con esito negativo nonostante gli elevati ribassi di legge (art. 81, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602 del 1973: un terzo rispetto al prezzo base del primo incanto; un terzo rispetto al prezzo base del secondo incanto) –, ha previsto, con l’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973, che il bene sia assegnato allo Stato. Questa soluzione – piú di altre astrattamente ipotizzabili, quali lo svolgimento di ulteriori incanti o l’amministrazione giudiziaria del bene (nella prospettiva di una futura vendita o di una assegnazione a condizioni piú favorevoli) – risponde alla ratio di accelerare il procedimento di riscossione coattiva, assicurando che l’espropriazione possa ugualmente avere termine in modo rapido con la realizzazione di un ricavo, anche nel caso di incollocabilità dell’immobile sul mercato. La norma censurata, prevedendo che l’immobile sia assegnato allo Stato per il prezzo costituito dalla somma per la quale si procede, soddisfa certamente tale esigenza di speditezza, ma pone una disciplina palesemente irragionevole. L’irragionevolezza discende dal fatto che la norma, nello stabilire il prezzo del trasferimento immobiliare, fissa un ammontare che prescinde da qualsiasi collegamento con il valore del bene e che può essere anche irrisorio; e ciò nonostante che il trasferimento immobiliare abbia la finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente. L’ammontare del credito tributario per cui si procede – sia esso superiore o inferiore al prezzo base del terzo incanto – dipende, in effetti, da circostanze contingenti e meramente casuali, non correlate al valore dell’immobile, e non può essere assunto, pertanto, quale criterio di determinazione del prezzo da corrispondere in sede di espropriazione forzata. La volontà del legislatore di svincolare tale prezzo dall’effettivo valore dell’immobile è, del resto, dimostrata anche dall’esiguità della soglia minima prevista dal vigente art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 per consentire all’agente della riscossione di procedere all’espropriazione immobiliare (ottomila euro, innalzata a ventimila euro, «qualora la pretesa iscritta a ruolo sia contestata in giudizio ovvero sia ancora contestabile in tale sede ed il debitore sia proprietario dell’unità immobiliare dallo stesso adibita a propria abitazione principale»). Né la facoltà, attribuita al debitore o ad un terzo dall’art. 61 del d.P.R. n. 602 del 1973, di estinguere il procedimento di espropriazione pagando il debito vale ad escludere l’indicata irragionevolezza della norma denunciata. L’esercizio di tale facoltà presuppone, infatti, una capacità economica del debitore che può anche non sussistere. 4.3. – Per quanto sopra osservato, al fine di porre rimedio all’irragionevolezza della disposizione censurata, è necessario eliminare la possibilità che l’immobile esecutato sia assegnato allo Stato al prezzo corrispondente alla somma per la quale si procede. L’unica via percorribile a tal fine da questa Corte, senza superare i limiti della propria giurisdizione, è quella – indicata dai giudici a quibus e ricavabile dal complessivo assetto normativo disegnato dal legislatore – di far venir meno il cosiddetto “criterio del minor prezzo” e di estendere a tutte le ipotesi di assegnazione dell’immobile allo Stato (nel caso di deserzione del terzo incanto) l’applicazione dell’altro parametro di determinazione del prezzo di assegnazione previsto dallo stesso art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, cioè quello del prezzo base del terzo incanto. Tale prezzo, infatti, ove si tenga conto anche dell’esito negativo dei tre esperimenti d’asta, si pone in rapporto non irragionevole con il valore dell’immobile; e ciò ancorché sia notevolmente inferiore a quello del primo incanto (due ribassi di un terzo ciascuno rispetto alla precedente base d’asta) e muova da una base d’asta originaria di valore assai contenuto (in quanto determinata, come visto, con riferimento al triplo della valutazione catastale aggiornata con i coefficienti di legge). Del resto, è lo stesso legislatore che ha individuato nel prezzo base del terzo incanto il prezzo di assegnazione dell’immobile (art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973), sia pure limitatamente all’ipotesi in cui il credito tributario sia superiore alla base d’asta del terzo incanto. Né può obiettarsi – come, invece, fa l’Avvocatura generale dello Stato, richiamando un passaggio della motivazione dell’ordinanza di questa Corte n. 383 del 1988 − che «l’accoglimento della questione di costituzionalità nei termini prospettati dal giudice a quo comporterebbe […] per lo Stato l’acquisto (coattivo) di un immobile al prezzo base del terzo incanto concluso con esito negativo e, quindi, ad un valore risultato non appetibile sul mercato, ossia un esito che non potrebbe reputarsi congruo e ragionevole». L’obiezione sarebbe pertinente ove fosse riferita al previgente istituto della devoluzione di diritto dell’immobile allo Stato (art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alla sua sostituzione ad opera dell’art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999), ma non si attaglia al vigente istituto dell’assegnazione allo Stato del bene previsto dalla disposizione censurata. Nell’ipotesi di devoluzione di diritto, l’automatica acquisizione dell’immobile al patrimonio statale (per effetto della mancata autorizzazione del terzo incanto o del suo esito negativo) operava a prescindere da una manifestazione di volontà dell’acquirente e non consentiva di evitare l’effetto traslativo. Ciò non avviene, invece, con riferimento all’istituto dell’assegnazione dell’immobile regolato dal vigente art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973. L’attuale disciplina consente, infatti, allo Stato – come visto – di valutare la convenienza dell’acquisizione dell’immobile al prezzo base del terzo incanto e, nel caso di esito negativo di tale valutazione, di provocare l’estinzione del processo esecutivo non versando il prezzo di assegnazione nel termine stabilito (a meno che l’agente della riscossione, nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento del prezzo, non dichiari, su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo incanto: art. 85, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973). Deve quindi negarsi che, per effetto dell’accoglimento della questione di legittimità sollevata, l’acquisto dell’immobile per il prezzo pari alla base d’asta del terzo incanto sia imposto allo Stato. L’accoglimento della questione di legittimità nei termini indicati non esclude, come è ovvio, che il legislatore possa, nell’esercizio della sua discrezionalità, stabilire parametri di determinazione del prezzo di assegnazione dell’immobile allo Stato diversi rispetto al prezzo base del terzo incanto, purché essi siano in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato.

 

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