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INVESTIMENTI STRUTTURALI E INTERVENTO PUBBLICO di Claudio De Vincenti-Nel merito.it

 

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I limiti del Piano Nazionale di Riforma varato dal governo sono stati già messi in evidenza su nelMerito.com dagli interventi di Gianfranco Viesti e di Michele Grillo: obiettivi poco ambiziosi, assenza di un progetto sistematico e carenza di linee di azione incisive per sciogliere i nodi irrisolti che ostacolano la crescita.

 

In questa nota propongo alcune riflessioni su una delle azioni necessarie, non l’unica ovviamente, ma di sicuro rilievo: come attivare una ripresa degli investimenti infrastrutturali, un campo in cui particolarmente accentuato è il gap tra l’Italia e i principali paesi partner. Come cercherò di argomentare, i tre tasselli di una strategia che prenda finalmente “il toro per le corna” sono: (i) rilanciare il processo di liberalizzazione e regolazione dei servizi di pubblica utilità, per costruire un ambiente di mercato entro cui le capacità e le risorse imprenditoriali possano operare al meglio in un quadro di convenienze orientato al perseguimento di obiettivi di pubblici; (ii) rivalutare la funzione di programmazione dello Stato, attrezzando le pubbliche amministrazioni con le competenze tecniche necessarie a selezionare i progetti e razionalizzando i processi decisionali, in modo che le risorse pubbliche facciano da volano al coinvolgimento di risorse private; (iii) attivare gli investitori istituzionali di lungo termine di origine pubblica - come, in primo luogo, CDP – per un verso come azionisti delle grandi società di gestione delle reti nazionali e, per altro verso, come investitori nei progetti infrastrutturali che intervengono per strutturarne, in una logica di mercato, il finanziamento in modo da renderne il profilo temporale compatibile con l’apporto prevalente di risorse finanziarie da parte degli altri intermediari di mercato e dei risparmiatori. Ma andiamo con ordine.

Sulla necessità di una ripresa degli investimenti infrastrutturali, non mancano ripetute affermazioni di principio e “liste” di opere da realizzare, naturalmente assai lunghe dati i molti fronti dove il nostro paese segna ritardi preoccupanti. Manca invece una strategia che chiarisca come realizzare gli investimenti necessari in un quadro di finanza pubblica che nei prossimi anni risulterà inevitabilmente restrittivo, condizionato come è dall’elevato debito pubblico e dal tormentato contesto dei mercati finanziari. L’affermazione diffusa che le limitate risorse pubbliche andranno utilizzate come volano per il coinvolgimento di risorse private è condivisibile, e non solo per le ristrettezze del bilancio pubblico ma anche per motivi di principio su cui tornerò alla fine di questa nota. Ma raramente a questa affermazione si accompagna la consapevolezza, da parte del governo e dell’insieme delle forze politiche, delle innovazioni che essa comporta nella definizione e attuazione degli interventi di politica economica. Proviamo a chiarirle.

Il primo fondamentale tassello necessario a sbloccare la realizzazione di investimenti che colmino il ritardo infrastrutturale italiano sta nella costruzione di un ambiente di mercato entro cui le capacità e le risorse imprenditoriali possano operare al meglio in un quadro di convenienze orientato al perseguimento di obiettivi di interesse generale individuati e sorretti dalle istituzioni pubbliche di governo nazionale e locale. E’ questo il senso delle riforme avviate dal centrosinistra nella seconda metà degli anni novanta quando, pur attraverso un processo segnato da contraddizioni, vennero impostate le liberalizzazioni dei settori dell’energia e delle telecomunicazioni, nel quadro di una riforma degli strumenti e delle istituzioni di regolazione (costituzione dell’Autorità dell’energia elettrica e del gas e di quella delle comunicazioni): l’obiettivo era la costruzione di un quadro forte e credibile di regole in cui le imprese, pressate dalla concorrenza e dalla regolazione, fossero spinte a guadagnare efficienza e a programmare investimenti di sviluppo delle reti. I passi avanti nei settori energetici e delle TLC non sono mancati, anche se condizionati da un limite di cui dirò fra breve. Sta di fatto però che negli ultimi dieci anni il processo di riforma si è sostanzialmente fermato, con conseguenze pesanti specie nei settori che meno sono stati investiti dalle liberalizzazioni e in cui non sono state costituite Autorità indipendenti di regolazione: trasporti, idrico, rifiuti. Qui le rendite, nelle varie forme in cui queste si manifestano, non sono state toccate e il quadro di regole è rimasto indeterminato, al punto che costituisce ormai un ostacolo paralizzante per lo sviluppo degli investimenti infrastrutturali.

Il limite cui accennavo nei settori energetici e delle TLC è stato principalmente costituito dalla mancata separazione proprietaria del soggetto gestore della rete dal soggetto in posizione dominante nella erogazione del servizio. Solo nel settore elettrico si è arrivati, a metà del decennio appena trascorso, alla separazione proprietaria di TERNA da ENEL, condizione per sbloccare gli investimenti di potenziamento della rete. Qualcosa di analogo andrebbe fatto per la rete nazionale del gas e per la futura rete a banda larga nelle TLC. L’esperienza di TERNA - in cui, dopo la recente cessione delle quote azionarie del Tesoro, Cassa Depositi e Prestiti (CDP) detiene una quota prossima al 30% - deve indurci a rivalutare il ruolo strategico che per lo sviluppo delle reti può svolgere la partecipazione azionaria di una società di diritto privato a maggioranza pubblica: un soggetto, come CDP, la cui mission consiste nel tradurre gli obiettivi di interesse generale in linee di azione calate entro le regole del mercato1.

Il secondo tassello riguarda la capacità programmatoria delle amministrazioni pubbliche. Un limite rilevante delle riforme degli anni novanta, pur nella giusta enfasi allora posta sulla costruzione di un nuovo quadro di regole per i mercati, fu la “sordina” messa sulla funzione di programmazione che lo Stato è chiamato a svolgere2. Si è trattato di una contrapposizione fuorviante tra regolazione e programmazione, che ha perso di vista il fatto che esse sono ambedue funzioni essenziali che rispondono a due distinte tipologie di “fallimento del mercato”: la regolazione si misura con le ragioni che ostacolano l’operare della concorrenza nei mercati delle utilities, simulandone i risultati laddove essa non può operare e promuovendola ovunque possibile; la programmazione si misura a sua volta con la limitatezza dell’orizzonte temporale e spaziale entro cui gli operatori di mercato effettuano le loro scelte e con le esternalità di produzione e consumo che il mercato non internalizza.

La “sordina” sui compiti di programmazione ha lasciato, e lascia tuttora, il campo aperto a un utilizzo dei fondi pubblici disorganico, pressato dalle mille richieste provenienti da amministrazioni centrali e locali e da gruppi di interesse. E’ urgente uscire da questa situazione, tanto più che nella fase attuale di ristrettezza delle risorse di bilancio i compiti della programmazione sono quanto mai impegnativi. Si tratta di superare la prassi deleteria di programmi assemblati come sommatoria di interventi disparati, di selezionare e dimensionare correttamente le opere di cui c’è bisogno sottoponendole a una analisi costi-benefici (essenziale per valutarne la sostenibilità economica e fare dei fondi pubblici il volano di un ampio coinvolgimento di capitali privati), di dare certezza di risorse ai progetti di cui si avvia la realizzazione superando la prassi di distribuirle su una miriade di progetti di cui si avviano lavori che resteranno incompiuti. Purtroppo siamo ancora lontani da tutto ciò: gli esercizi programmatori allegati ai documenti di finanza pubblica del governo sono tuttora caratterizzati dall’assemblaggio di progetti non selezionati e dalla dispersione delle poche risorse disponibili.

Last but not least, sul fronte della programmazione è urgente rivedere il processo decisionale, stabilendo procedure di confronto tra governo e autonomie locali vincolate nei tempi e fissando  in anticipo a livello centrale tetti di spesa per le “varianti” e per le “opere compensative”, i primi essenziali per evitare comportamenti opportunistici delle imprese in sede di gara, i secondi per evitare il continuo “rilancio” delle richieste degli enti locali nel cui territorio l’opera è localizzata3. E’ giusto segnalare che su questo terreno il recente Decreto sullo sviluppo contiene (art. 4) prime misure che vanno in questa direzione, purtroppo accanto ad altre meno condivisibili.

Il terzo tassello di una strategia di ripresa degli investimenti infrastrutturali riguarda il finanziamento. Si tratta qui di attivare forme di intervento che, in presenza di un quadro coerente di regolazione e di una programmazione efficace da parte dei poteri pubblici, facilitino il coinvolgimento di risorse private in investimenti caratterizzati da ritorni economici in tempi lunghi. A questo riguardo, possono giocare un ruolo importante investitori istituzionali di lungo termine di origine pubblica, come CDP, al fine di strutturare il finanziamento in modo da renderlo attrattivo per gli altri intermediari finanziari e per i risparmiatori: si tratta di offrire finanziamenti che abbiano una durata o un profilo di ammortamento in grado di rafforzare la fattibilità finanziaria dei progetti rendendola, sul versante dei tempi di rientro, compatibile con l’apporto di capitali privati. Va in questa direzione la costituzione della cosiddetta Gestione Separata 2 di CDP, con cui la Cassa può finanziare, in forma complementare agli altri intermediari finanziari, le imprese che realizzano progetti di investimento promossi da enti pubblici – è il caso degli investimenti nei servizi di pubblica utilità – od offrire garanzie per conto dell’ente pubblico promotore. Va in direzione analoga la proposta di project bonds recentemente avanzata dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI): si tratta di un meccanismo di condivisione del rischio tra Commissione e BEI volto a migliorare il merito di credito dei progetti infrastrutturali.

Il ruolo di CDP e BEI ora richiamato rappresenta un importante completamento della funzione di programmazione dal lato delle forme di finanziamento delle infrastrutture. La differenza di principio, rispetto alla programmazione che le amministrazioni pubbliche svolgono (o dovrebbero svolgere) direttamente attraverso le scelte di allocazione delle risorse di bilancio, sta nel fatto che qui abbiamo a che fare con soggetti di mercato che, in base a una mission di natura pubblica, operano come investitori di lungo termine. Il loro compito è di contribuire, con risorse raccolte sul mercato, al finanziamento di progetti che, una volta promossi dai soggetti pubblici competenti, devono essere valutati in relazione alla loro sostenibilità economica e alla loro fattibilità finanziaria. Nel caso della programmazione da parte delle amministrazioni pubbliche, il compito è quello di definire i progetti di investimento di cui il paese ha bisogno e di stabilire l’eventuale apporto di risorse di bilancio che dovesse risultare necessario a rendere sostenibile il progetto. Nel caso degli investitori di lungo termine con mission pubblica, il compito è quello di contribuire a una strutturazione del finanziamento che, ove il progetto sia sostenibile, ne renda il profilo temporale compatibile con l’apporto prevalente di risorse private.

Per concludere, vorrei tornare su una questione accennata all’inizio di questa nota, la desiderabilità o meno del coinvolgimento di risorse private negli investimenti infrastrutturali. Accennavo sopra come questa, oltre a derivare dalle esigenze di rientro del debito pubblico, abbia ai miei occhi anche una giustificazione di principio. Intendo dire che è interesse della collettività orientare l’allocazione complessiva delle risorse verso obiettivi di interesse pubblico, ossia costruire un sistema di convenienze che porti il mercato a servire gli interessi della collettività. In altri termini, la questione del coinvolgimento di risorse private negli investimenti infrastrutturali fa emergere una questione più generale: il governo pubblico dei mercati.

 

1. Questa valutazione positiva fa riferimento alla partecipazione azionaria di CDP in società di rete. Non affronto invece il tema controverso, cui nelMerito ha già dedicato diversi interventi, dell’estensione dell’intervento di CDP ad altre società disposta dall’art. 7 del DL 34 del 31 marzo scorso.

2. Per una ricostruzione dell’evoluzione del rapporto tra Stato programmatore, Stato regolatore e Stato imprenditore in Italia, si veda l’ampia disamina condotta in E. Barucci e F. Pierobon, Stato e mercato nella Seconda Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2010.

3. Per una organica proposta di riforma delle procedure di programmazione e localizzazione delle opere pubbliche si rinvia ad Astrid, Programmazione, decisione e localizzazione degli impianti e delle infrastrutture strategiche, www.astrid.eu. Sul tema della semplificazione amministrativa, si veda l’intervento di Giuseppe Coco su nelMerito.com del 6 maggio scorso.

 

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