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EMU E DEBITO GRECO: OCCORRE AGIRE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI di Marcello Messori-Nel merito.it

 

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Premessa - La risposta dell’Unione europea (EU) e dell’Unione monetaria europea (EMU) alla crisi finanziaria del 2007-’09 e alla conseguente crisi ‘reale’ è stata, per molti versi, positiva. Dall’aprile del 2009, il Parlamento e la Commissione europea hanno operato per estendere l’area di regolamentazione e per limitare gli eccessi speculativi nei mercati finanziari.

 

Inoltre, riprendendo i risultati del gruppo de Larosière (2009), essi hanno realizzato un nuovo assetto europeo di vigilanza macro- e micro-prudenziale dei mercati finanziari che è diventato operativo a inizio 2011. Infine, nella riunione di fine marzo 2011, il Consiglio europeo ha portato a compimento vari processi di riforma fiscale e macroeconomica e ha gettato, così,  le basi per una nuova governance dell’EMU1.  Il risultato è che, se ancora nell’autunno del 2010 si avevano buone ragioni per stigmatizzare la fragilità dell’area dell’euro in quanto fondata sulle sole variabili monetarie, oggi - in questa stessa area - sono stati costruiti presidi di armonizzazione fiscale e di coordinamento macroeconomico.

Nonostante ciò, l’EMU sta attraversando la fase di più grave difficoltà della sua pur giovane storia. I più importanti Stati membri non sembrano rendersi conto che, anche se la nuova governance europea è compatibile con “equilibri multipli”2, la realizzazione di tale governance presuppone adeguati tassi di crescita. Sebbene denunci ancora molte fragilità, dal secondo semestre del 2010 la ripresa internazionale è diventata più rapida delle attese. Eppure, l’EMU ha realizzato una performance media modesta che è il risultato di una crescente divergenza fra il robusto tasso di crescita di quasi tutti i Paesi ‘forti’ (in primis, la Germania) e la recessione di quasi tutti i Paesi periferici3. L’accentuarsi di una simile frattura, che rischia di diventare irreversibile, è – almeno nel breve termine – soprattutto da imputarsi all’inefficiente gestione europea della crisi dei debiti sovrani di molti Stati membri periferici. 

Nonostante il varo delle sue recenti riforme, l’EMU rischia così di rimanere intrappolata in un circolo vizioso. Il maggiore ostacolo immediato alla crescita è rappresentato dalla crisi dei debiti sovrani di alcuni degli Stati membri periferici. D’altro canto il sostegno finanziario, offerto con ritardo e in modo discrezionale dagli altri Paesi dell’EU a quelli in difficoltà, si è accompagnato all’imposizione di processi di aggiustamento e di termini contrattuali così onerosi da risultare recessivi nel breve-medio termine ed economicamente e socialmente insostenibili nel lungo termine. Ne risulta che la recessione dei Paesi in difficoltà impedisce di superare la crisi del debito sovrano e la crisi del debito sovrano impedisce a questi Paesi di ricollocarsi su un sentiero di crescita.

 

2. I limiti di quel che è stato fatto 

Sarebbe ingeneroso sostenere che, nell’ultimo anno, non si siano compiuti passi avanti anche nella gestione del debito sovrano europeo.

Ancora a marzo del 2010, i Paesi aderenti all’euro pensavano che qualsiasi intervento, concordato all’interno dell’area per fronteggiare la crisi del debito pubblico greco, avrebbe compromesso il Trattato europeo. A metà 2010, l’Ecofin e l’Eurogruppo hanno invece varato due meccanismi temporanei di sostegno per gli Stati membri dell’EMU, che si trovano in difficoltà per ragioni eccezionali e al di fuori del loro controllo; e a dicembre del 2010, previa una piccola modifica del Trattato europeo, il Consiglio europeo ha varato un meccanismo permanente di stabilizzazione dei debiti sovrani degli Stati membri in difficoltà, denominato ESM, che diventerà operativo dal giugno 2013 sostituendo l’attività dei due attuali meccanismi temporanei. Il Consiglio europeo di fine marzo 2011 ha consentito all’ESM di acquistare direttamente titoli pubblici di nuova emissione da parte dei Paesi in difficoltà appartenenti all’EMU (ossia, di operare sul mercato primario anche se non su quello secondario).

L’aggravarsi delle tensioni di mercato sui titoli sovrani di alcuni degli Stati membri periferici e le voci ricorrenti di una radicale ristrutturazione del debito pubblico greco mostrano che l’istituzione di tali meccanismi non è stata sufficiente a risolvere il problema. La cosa non è sorprendente. Gli interventi a favore della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo sono stati erogati in ritardo, con modalità discrezionali e a condizioni eccessivamente gravose sotto il profilo sia degli aggiustamenti macroeconomici che degli oneri finanziari imposti. Questi problemi si accentueranno quando l’ESM diventerà operativo. A differenza dei prestiti oggi erogati dai due meccanismi temporanei, i crediti dell’ESM godranno infatti di una posizione di seniority rispetto agli altri titoli del relativo debito pubblico e la loro concessione potrà essere subordinata a una ristrutturazione del debito detenuto dai privati4; il che non incentiva certo gli investitori di mercato ad acquistare o a continuare a detenere titoli pubblici di Stati membri in difficoltà. Inoltre, la scelta di posporre l’inizio dell’attività dell’ESM alla seconda metà del 2013 ha rafforzato le scommesse speculative contro la tenuta dei bilanci pubblici dei Paesi periferici. Infine, la decisione di permettere all’ESM acquisti sul mercato primario ma non su quello secondario ha aggravato i rischi sopportati dall’ECB che, dallo scoppio della crisi greca, ha acquistato titoli del debito sovrano dei Paesi periferici sul mercato secondario e ha accettato tali titoli (al valore nominale) come garanzia per le operazioni di mercato aperto a favore del settore bancario europeo.

   

3. Gli ostacoli a soluzioni più efficaci

Nell’ultimo anno il dibattito economico ha messo in luce che la soluzione della crisi del debito di alcuni Paesi periferici non presenta problemi tecnici irresolubili, ma richiede scelte politiche cooperative da parte degli altri Stati membri dell’EMU5. In particolare, per fare sì che la nuova governance europea possa essere attuata in un quadro generale di crescita, basterebbe che tutti questi altri Stati membri fossero pronti ad assumersi quattro responsabilità: (1) la trasformazione dell’ESM in un meccanismo immediatamente operativo, che effettui finanziamenti senza seniority e a condizioni sostenibili per i Paesi in difficoltà; (2) la concessione al nuovo ESM della facoltà di comprare titoli pubblici di tali Paesi anche nel mercato secondario, sostituendo o affiancando la ECB nella sua funzione di supplenza; (3) l’offerta di garanzie piene e congiunte - anziché pro quota - sulle obbligazioni emesse dal nuovo ESM, in modo da farne coincidere l’indebitamento con il potenziale di finanziamento e acquisto; (4) la concessione agli Stati membri in difficoltà della scelta di procedere a haircut ‘dolci’ del loro debito pubblico.

Se si realizzassero i punti (1)-(4), vi sarebbero almeno tre conseguenze positive: haircut dei debiti sovrani così modesti da non innescare catene di insolvenza e, dunque, da non generare fattori di instabilità nell’area dell’euro e nel settore bancario europeo; una drastica caduta degli oneri finanziari, corrisposti dai Paesi in difficoltà sui loro debiti sovrani, che renderebbe più sostenibile il servizio su questi debiti e il graduale aggiustamento dei relativi bilanci pubblici; di conseguenza, una sensibile diminuzione nelle probabilità di fallimento dei debiti sovrani dei Paesi periferici, che abbasserebbe - anche ex ante – il costo delle garanzie congiunte concesse sulle passività del nuovo ESM. Si noti che i tre risultati detti varrebbero anche per il caso oggi più problematico, ossia quello della Grecia.

Sotto il profilo economico le resistenze, palesate dalla Germania e dai suoi satelliti rispetto ai punti (1)-(4), appaiono quindi paradossali: una ristrutturazione “non pilotata” del debito greco o del debito di uno degli altri Paesi periferici rischierebbe di scatenare gravi effetti “contagio”6. Al riguardo, basti gettare uno sguardo sull’attuale situazione del settore bancario dell’EMU.

Più ancora di quelle statunitensi e britanniche, molte banche dell’area euro denunciano tre debolezze: hanno attivi rischiosi perché ancora gravati da titoli privati problematici e da titoli pubblici dei Paesi periferici, hanno un’insufficiente patrimonializzazione, hanno difficoltà (almeno di costo) nel rinnovare le proprie passività perché troppo dipendenti dai mercati all’ingrosso e dai finanziamenti agevolati dell’ECB. Tale stato di cose non caratterizza solo le banche greche, irlandesi o portoghesi; esso incide pesantemente anche sulle banche cooperative e sulle Landesbanken tedesche, sulle casse di risparmio spagnole e su alcune banche francesi, olandesi, belghe e austriache. Del resto, anche le più tradizionali banche dell’EMU - incluse quelle italiane - soffrono di elementi di fragilità che ne raccomandano una sollecita ricapitalizzazione: crescita delle sofferenze, innalzamento nei costi della raccolta, deterioramento nella qualità del patrimonio. Assetti così fragili non sarebbero in grado di assorbire, senza traumi, l’impatto di un fallimento di debiti sovrani. A ciò si aggiunga che, in un’eventualità del genere, la stessa ECB dovrebbe ricorrere a una nuova ricapitalizzazione e limitare le operazioni di mercato aperto.

 

4. Conclusioni

Il rischio di una ristrutturazione “non pilotata” del debito pubblico greco aumenta il rischio di collasso di parti rilevanti del settore finanziario europeo e il conseguente rischio di “contagio” dell’intera area dell’euro. E’ quindi stupefacente che molti economisti e  policy maker europei diano per scontato il fallimento del debito pubblico greco, portoghese e – forse – irlandese; e che, pur di sottrarsi alle proprie responsabilità politiche, la Germania e i suoi satelliti preferiscano rischiare la catastrofe della costruzione europea piuttosto che pagare il prezzo politico dell’attuazione di semplici soluzioni tecniche. Gli insegnamenti del caso Lehman sembrano già dimenticati.

 

1. Si veda al riguardo: M. Messori, “La nuova governance per l’UE? Un passo positivo ma ancora non basta”, nelmerito, 1 aprile 2011.

2. Il riferimento agli equilibri multipli mi è stato suggerito da Paolo Guerrieri in un Convegno, tenutosi a Roma presso il Cnel. Il concetto è utilizzato, ma in una accezione diversa, anche da: P. De Grauwe, “The governance of a fragile eurozone”, CEPS Working Document, n. 346, May 2011.

3. Gli Stati membri periferici includono i Paesi che hanno già fatto ricorso al sostegno degli altri Paesi dell’EMU e dell’EU (ossia Grecia, Irlanda e Portogallo), i Paesi che rischiano di doverlo fare nei prossimi mesi (Spagna) e i Paesi che sono vulnerabili a causa del loro elevato rapporto debito pubblico/PIL (Italia e Belgio).

4.  La clausola presenta elementi di ambiguità: la Germania tende a interpretare il “potrà” come un effetto automatico del sostegno dell’ESM; la Francia  ritiene, invece, che l’eventuale ristrutturazione del debito privato vada discussa caso per caso. Oltre ad ampliare il potenziale di finanziamento dell’ESM, il Consiglio europeo di fine giugno 2011 dovrebbe dirimere la controversia.

5. Rimando per esempio al mio scritto: “Come potrebbero funzionare gli eurobonds”, nel merito, 11 febbraio 2011.

6. Ciò è tanto più vero se si considera che, a marzo 2011, si è già attuata – sebbene in sordina - una ristrutturazione pilotata del debito pubblico greco: la durata dei prestiti bilaterali, concessi dagli altri Stati membri dell’EMU, è stata estesa a sette anni e mezzo e i relativi tassi di interesse sono stati ridotti da 5,2% a 4,2% circa.

 

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