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Tra legittimo affidamento e neutralità  fiscale-Rimborso IVA, si può fare anche compensando i debiti erariali del contribuente- Corte Giust. CE Sentenza, Sez. III, 12/05/2011, n. C-107/10-Ipsoa.it

 

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di Brunella Biancaniello

Davvero interessanti i principi che emergono dalla pronuncia della Corte di Giustizia europea che nega la possibilità ad una legge nazionale di prevedere una proroga con effetto retroattivo dei termini per il rimborso delle eccedenze dell'IVA - se ciò restringe il diritto del contribuente alla corresponsione degli interessi. Come prima conseguenza di tale asserzione si ha che il rimborso dell'IVA può essere assolto compensando i debiti erariali del contribuente, sempre che non vi sia pregiudizio del diritto di contestazione dei debiti. Non è ammesso, invece, secondo gli eurogiudici, il differimento della decorrenza della maturazione degli interessi spettanti al creditore.

 

Non è ammissibile la retroattività di una norma che limita il diritto del contribuente alla corresponsione degli interessi di mora sul proprio credito di imposta. Una siffatta normativa viene a violare l’art. 183 della direttiva IVA (direttiva n. 2006/112/CE) e s.m. e la tutela del legittimo affidamento. Lo hanno affermato i giudici della Terza Sezione della Corte UE, con la recente sentenza nella causa C-107/10, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo di Sofia (Bulgaria).

 

Fatto

 

La domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte UE dal Tribunale bulgaro verte sull’interpretazione dell’art. 18, n. 4, della direttiva n.77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di IVA (c.d. “sesta direttiva”), nonché dell’art. 183, comma 1, della direttiva del n. 2006/112/CE (direttiva IVA).

 

Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Enel Maritsa Iztok 3 AD ed il direttore dell’ufficio «Ricorsi e gestione dell’esecuzione» presso l’amministrazione centrale dell’Agenzia nazionale di riscossione delle entrate, in merito all’individuazione del dies a quo di decorrenza degli interessi di mora dovuti su un importo afferente l’IVA.

 

L’11 ottobre 2007 l’Enel presentava una dichiarazione fiscale da cui risultava un credito di imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria bulgara.

 

Il credito derivava dal fatto che l’importo delle detrazioni superava quello dell’IVA dovuta per il periodo di imposizione considerato e la società non era riuscita ad operare le detrazioni nei periodi impositivi successivi.

 

Il termine, previsto dalla normativa bulgara, per procedere a tale rimborso (45 giorni) sarebbe scaduto il 26 novembre 2007 con l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di corrispondere gli interessi di mora da tale data ma, in data 8 novembre 2007, veniva notificata all’Enel una disposizione di verifica fiscale, a seguito della quale veniva emanato un avviso di rettifica, che nulla diceva in ordine alla corresponsione degli interessi di mora.

 

Avverso l’avviso di rettifica l’Enel proponeva ricorso, in via amministrativa prima e in via giurisdizionale poi dinanzi al Tribunale amministrativo di Sofia chiedendo, in particolare, la corresponsione degli interessi di mora relativi all’importo del credito di imposta IVA a decorrere dal 27 novembre 2007 sino alla data del saldo effettivo dell’intera somma.

 

Il giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1.se l’art. 183 della direttiva IVA, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso di eccedenza dell’IVA;

2.se lo stesso art. 183 osta con la normativa nazionale che prevede un termine di 45 giorni ai fini del rimborso delle eccedenze dell’IVA, scaduti i quali iniziano a maturare gli interessi di mora sull’importo da rimborsare, prevedendo peraltro che tale termine venga prorogato, in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale;

3.se l’art. 183 della direttiva IVA osti a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato mediante compensazione.

 

Decisione

 

Come si è già accennato, la Corte UE ha risolto la prima questione rispondendo no alla proroga retroattiva dei termini per il rimborso di eccedenza dell’IVA, ritenendo che una siffatta normativa nazionale contrasti con le citate disposizioni comunitarie nella misura in cui privi il soggetto interessato del diritto di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta.

 

Ulteriormente, la Corte UE ha risolto la seconda questione dichiarando che l’art. 183 della direttiva IVA, alla luce del principio di neutralità fiscale, osta ad una normativa nazionale, secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento, laddove tale eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta.

 

Per contro, il fatto che tale termine sia di regola fissato in 45 giorni non risulta in contrasto con l’art. 183 della direttiva IVA.

 

La terza questione (in realtà, si trattava di due questioni che sono state esaminate congiuntamente) è quella relativa alla compensazione. I giudici della Terza sezione hanno innanzitutto rilevato che la compensazione conduce alla liquidazione totale o parziale delle due obbligazioni reciproche, consentendo così allo Stato membro di assolvere il proprio obbligo di rimborso.

 

Per quanto attiene alle modalità di rimborso dell’eccedenza dell’IVA – osserva la Corte – gli Stati membri dispongono di una certa libertà, sempreché il rimborso venga effettuato entro termini ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba incorrere in alcun rischio finanziario.

 

Tale principio è stato confermato da una costante giurisprudenza comunitaria, laddove è stato precisato che pur riconoscendo libertà di manovra agli Stati nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza di IVA, “dette modalità non devono ledere il principio della neutralità fiscale, gravando il soggetto passivo, in tutto o in parte, del peso di tale imposta.

 

Modalità del genere devono segnatamente consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza di IVA, il che implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento in denaro liquido o con modalità equivalenti, e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo” (v. sentenze 25 ottobre 2001, causa C-78/00, Commissione/Italia, punti 32-34, e 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska, punto 17).

 

Alla luce di tali principi, la Corte ha ritenuto che non vi sia alcuna ragione che osti, in linea generale, a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato tramite compensazione, ove tale strumento conduce alla liquidazione immediata del credito del soggetto passivo senza che quest’ultimo risulti esposto a rischi finanziari.

 

Tale ragionamento vale anche nel caso in cui il credito dello Stato membro interessato venga contestato dal soggetto passivo, sempreché, come sottolineato dalla Commissione europea, il soggetto passivo non venga privato degli strumenti di ricorso giurisdizionale effettivi per far valere le proprie tesi nei confronti dei crediti utilizzati dallo Stato ai fini della compensazione.

 

 

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