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di Valentina Quattrociocchi

II recente provvedimento del Garante Privacy sul fax selvaggio dall'estero, che ha rivelato una innovativo concetto di competenza dell'Autorità  e un innovativo modello prescrittivo.

 

La fattispecie in rilievo e le lamentele dei segnalanti

 

L’Autorità è recentemente intervenuta - con il provvedimento del 7 aprile 2011 - nei confronti di una società che metteva a disposizione dei propri clienti una piattaforma per l’invio di fax senza previo informato consenso.

 

La medesima in alcuni casi è risultata aver ceduto liste di nominativi distinte per area geografica o per categoria commerciale, in altri casi aver inviato direttamente ed autonomamente fax promozionali in modo sistematico e massivo utilizzando i numeri telefonici di numerosi ignari cittadini.

 

I fax allegati alle segnalazioni dei cittadini erano di carattere promozionale e presentavano in calce un’informativa priva di qualsiasi indicazione in merito al titolare e al responsabile del trattamento, e nella quale viene indicato come unico riferimento, per l’esercizio dei diritti di cui all’art. 7 del Codice, un numero telefonico da utilizzare per opporsi a futuri invii indesiderati e presso il quale inviare il medesimo fax ricevuto.

 

I segnalanti hanno evidenziato che, pur avendo provveduto a richiedere la cancellazione dei propri dati con la modalità sopraindicata, hanno comunque continuato a ricevere fax di carattere promozionale e che è risultato vano anche il tentativo di contattare telefonicamente il numero chiamante.

 

Spam dall’estero e conservazione dei dati fuori dal territorio nazionale, ma è competente il garante italiano!

 

Dagli accertamenti ispettivi e documentali complessivamente analizzati, è emerso che, sebbene i dati fossero conservati all’estero e gestiti in modalità remota venendo inviati da fax server situati al di fuori del territorio nazionale, la società utilizzava in modo prevalente uno specifico dispositivo (fax gateway) collocato, tuttavia, in territorio italiano.

 

Ciò ha consentito di radicare la competenza dell’Ufficio italiano anche in conformità all’orientamento più volte espresso dal Gruppo di lavoro ex art. 29, quale necessario referente a livello comunitario riguardo all’ampio concetto di “equipment”, ossia lo strumento utilizzabile per il trattamento dati (in questo caso soprattutto l’invio dello spam) e per fondare la competenza dell’Autorità operante sul territorio ove è collocato lo strumento operativo.

 

Il Garante ha ritenuto che il servizio di invio di fax fornito dalla società a utenti italiani da fax server situati al di fuori del territorio nazionale non si configura come “servizio di mero transito”, ma in un servizio reso su due distinte reti: la rete internet, per l’invio dei fax nella tratta compresa tra il fax server ed il fax gateway in Italia e la rete pubblica telefonica per la trasmissione dei fax da parte del fax gateway nella tratta compresa tra lo stesso e il terminale dell’utente. L’Autorità, nella fattispecie, ha potuto rilevare che il dispositivo fax gateway effettua i seguenti trattamenti di dati personali, quali la conversione di un identificativo di utente, valido all’interno della rete internet, in un numero di abbonato, valido all’interno della rete telefonica pubblica e la ricezione del fax al fine di acquisirne l’immagine.

 

Quindi si è condivisibilmente ritenuto che non può trovare applicazione al caso di specie la norma di esenzione di cui all’articolo 5, comma 2, del Codice, relativa a trattamenti effettuati con strumenti situati nel territorio dello Stato, utilizzati per fini di mero transito, anzi si è concluso per la competenza dell’Autorità, proprio perchè il dispositivo fax gateway, utilizzato per il servizio di trasmissione dei fax sulla rete telefonica pubblica, è risultato situato all’interno del territorio italiano.

 

Tale circostanza impone, allora, all’azienda il rispetto della normativa italiana, con il conseguente obbligo di acquisire il preventivo specifico consenso informato dei destinatari delle comunicazioni. Parametro normativo di essenziale riferimento è l’art. 130 del Codice Privacy, il quale prevede, per le comunicazioni a scopo promozionale o pubblicitario - alle quali sono equiparate anche le e-mail aventi contenuto politico (v. www.garanteprivacy.it doc web. nn. 1165613 e 634369) - inviate in maniera automatizzata (e dunque anche via e-mail, fax, ecc.) una deroga rispetto alla disciplina generale posta dagli artt. 23 e 24 del Codice, stabilendo la necessità della richiesta di un consenso preventivo e specifico di ciascun interessato.

 

Ciò anche nel caso in cui i dati siano presi da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque e anche se i destinatari delle predette comunicazioni siano soggetti che svolgono un’attività economica. Ebbene, nella fattispecie, i segnalanti non soltanto non avevano mai acconsentito alla ricezione delle comunicazioni promozionali, ma non avevano neanche avuto la possibilità di opporsi ad ulteriori invii, poiché era risultato vano o comunque privo di effetto concreto ogni tentativo di rispedire il fax al mittente o di contattare la società.

 

Possibili riflessi penalistici dello spam

 

Va osservato che il Garante ha individuato anzitutto possibili profili penalistici della condotta di spammer imputata alla società con il provvedimento in questione. Infatti lo spam, realizzato dalla società, se si accertasse il dolo quale elemento soggettivo imputabile alla medesima, potrebbe aver integrato le due fattispecie, rispettivamente:

 

1) del trattamento illecito di dati (art. 167 Codice), in ragione del nocumento conseguente all’invio massivo di fax,

 

2) e della falsità nelle dichiarazioni al Garante (art. 168 Codice), essendo emerse alcune contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla società durante l’accertamento ispettivo e quanto invece riportato nelle note di riscontro fornite, nel corso del procedimento, da alcuni soggetti clienti della stessa.

 

Ma su tali profili evidentemente l’ultima e definitiva parola spetterà, per competenza e poteri, al giudice ordinario, al quale son stati trasmessi gli atti da parte del Garante.

 

La prescrizione di uno specifico modello (template) per l’invio dei fax

 

Inoltre, l’Autorità ha ordinato alla società di indicare agli utenti, con caratteri grafici ben evidenziati all’interno di un apposito riquadro (template) inserito nel fax, l’identità del titolare ed un recapito idoneo a consentire ai destinatari l’esercizio dei propri diritti, ivi compreso quello di opporsi a successivi invii ai sensi degli art. 7 ss. del Codice Privacy.

 

È questo un profilo particolarmente innovativo poiché, secondo una modellistica destinata presumibilmente a un impiego sempre più diffuso per evidenti ragioni di uniformità di trattamento, l’Ufficio del Garante ha ritenuto di incidere più pervasivamente sull’autonomia dell’impresa destinataria dell’accertamento ispettivo, prescrivendole l’adozione di uno specifico modello di template funzionale a rendere conforme al Codice Privacy l’invio dei fax in questione e impedire così che esso si ponga agli interessati come molesto e illecito spam.

 

Il separato procedimento sanzionatorio

 

Nei confronti della società, l’Autorità ha avviato un autonomo ulteriore procedimento, questa volta di carattere specificatamente sanzionatorio, per valutare l’eventuale applicazione di sanzioni amministrative nei confronti dello spammer in rilievo.

 

Infatti, si evidenzia che, in caso di violazione dell’art. 130 del Codice, la disciplina prevede le sanzioni amministrative di cui agli artt. 161 (da 6mila a 36mila euro) e 162, comma 2-bis (da 10mila a 120mila euro) del Codice.

 

Nota critica

 

Va al contempo però considerato che la medesima impresa, ritenuta dall’Ufficio del Garante Privacy, quale titolare del trattamento dei dati, potrà impugnare il provvedimento ricevuto e potrà eventualmente anche dimostrare che non poteva essere ritenuta titolare del trattamento perlomeno in alcuni dei casi di invio di fax tramite la piattaforma operativa messa a disposizione dei propri clienti.

 

Questi ultimi in vero talora potrebbero essere stati gli effettivi titolari del trattamento dati, se si dimostrasse la mera messa a disposizione da parte della società della sua piattaforma operativa.

 

Senza però contestuale cessione o comunicazione di proprie liste di indirizzi da utilizzare per l ‘invio dello spam o senza fornire alcuna istruzione ai clienti in relazione al trattamento dati. Senza cioè poter individuare in capo alla società destinataria del provvedimento in questione un autonomo potere decisionale rispetto al trattamento dati realizzato con l’invio dello spam.

 

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