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COORDINARE I CAL DELLE REGIONI: UNA PROPOSTA PER IL FEDERALISMO ITALIANO- Federalismi.it

 

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di

Marco Filippeschi

(Sindaco di Pisa, Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali della

Toscana, Presidente nazionale di Legautonomie)

e

Germano Scarafiocca

(Avvocato in Pisa)

25 maggio 2011

SOMMARIO: 1. Il quadro costituzionale e l’origine dell’istituto – 2. L’esperienza dei nuovi

statuti. Un punto ed alcune considerazioni provvisorie – 3. Per il rafforzamento dell’identità

dei CAL. Alcune prospettive.

1. Il quadro costituzionale e l’origine dell’istituto.

Siamo ormai prossimi al compimento del termine di dieci anni di vigenza della legge

costituzionale n. 3/2001, contenente la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione ed

entrata in vigore, in seguito a referendum confermativo, l’8 novembre 2001.

Nel nuovo assetto costituzionale del “sistema regionale delle autonomie locali” si inserisce il

Consiglio delle Autonomie Locali, quale organo costituzionalmente necessario1, la cui

disciplina è rimessa all’autonomia statutaria delle Regioni: “In ogni Regione, lo statuto

1 La definizione di “organo costituzionalmente necessario”, già adottata dai commentatori, è stata fatta propria

dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 370 del 14 novembre 2006.

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disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e

gli enti locali” (art. 123, comma 4, Cost.).2

La nozione di “sistema regionale delle autonomie locali” sta ad indicare una articolazione dei

rapporti tra regioni ed enti locali già presente nella legislazione ordinaria, ancor prima della

riforma costituzionale. L’espressione era ed è tuttora contenuta nella rubrica dell’art. 4 del

d.lgs. 267/00 (T.U.E.L.). Quest’ultimo aveva fortemente attenuato, innanzitutto, la portata del

modello centralistico di cui all’art. 128 Cost. - per il quale l’ordinamento e la determinazione

delle funzioni degli enti locali erano riservati alla legge dello stato - prevedendo un ampio

margine di intervento per il legislatore regionale se non in materia di ordinamento, sempre

riservato alla legge dello stato, certamente in tema di distribuzione delle funzioni in favore

degli enti locali.3

Il Testo Unico riprendeva delle previsioni già contenute nella legge 142/904 e soprattutto

recepiva le innovazioni apportate dalla più radicale riforma amministrativa che potesse darsi a

costituzione invariata, ovvero (ossia) dalla prima legge Bassanini (l. 15 marzo 1997, n. 59).

Era infatti previsto, con l’espresso richiamo all’art. 4 della legge 59/97, che tutte le funzioni

amministrative, con la sola eccezione di quelle “che richiedono l’unitario esercizio a livello

2 La natura sintetica di queste note ci induce ad omettere la citazione dei contributi scientifici che si sono avuti

sull’argomento. Segnaliamo soltanto di seguito, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni riferimenti

bibliografici. L. BRUNORI, Il Consiglio delle Autonomie Locali, in M. CARLI, G. CARPANI, A. SINISCALCHI (a

cura di), I nuovi statuti delle Regioni ordinarie, problemi e prospettive, Bologna, 2006, 249 e ss.; M. CARLI, Il

Consiglio delle Autonomie locali, in astrid on line, 2005; M. COSULICH, La rappresentanza degli enti locali.

Conferenza o Consiglio?, in Le Istituzioni del Federalismo, 2001, 216 ss.; ID., Il Consiglio delle Autonomie

come strumento di raccordo fra Regione ed enti locali: un possibile modello?” in

www.amministrazioneincammino.it, 2009; A. CHELLINI, Il Consiglio delle autonomie locali nel dibattito

nazionale e nell’esperienza della Regione Toscana, in Le Regioni, 2001, 587 ss.; T. GROPPI, Un nuovo organo

regionale costituzionalmente necessario, il Consiglio delle Autonomie Locali, in Le Istituzioni del Federalismo,

2001, 1067; G. GERVASIO, Il Consiglio delle Autonomie locali nella programmazione regionale; in Le Istituzioni

del Federalismo, 2004, 606 ss.; C. MARZUOLI, Attuazione del Titolo V e Consiglio delle Autonomie Locali, in Il

nuovo Codice delle Autonomie Locali (esperienze a confronto), Atti del Convegno di Carrara del 15 novembre

2007, nonché tutti i contributi di tale Convegno, rinvenibili sul sito del Consiglio delle Autonomie della

Toscana, www.consiglioautonomie.it; F. MERLONI, I rapporti tra Regione ed enti locali nuovo Statuto della

Regione Emilia Romagna, in Le Istituzioni del Federalismo, 2005, 95 ss.; G.U. RESCIGNO, Consiglio delle

Autonomie Locali e Costituzione, in Pol. Dir., 2003, 231 ss.

3 Richiamati gli artt. 117 e 118 Cost., nel testo previgente alla legge costituzionale n. 3/01, l’art.4, comma 1, del

d.lgs. 267/00, stabilisce che le regioni, “ferme restando le funzioni che attengono ad esigenze di carattere

unitario nei rispettivi territori, organizzano l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i

comuni e le provincie”.

4 Si tratta, in particolare, delle previsioni dell’art. 3 della l. 142/90, sul quale ebbe modo di pronunciarsi la Corte

Costituzionale con una fondamentale sentenza in cui si legge che “la legge n. 142 del 1990, nel disciplinare

l'ordinamento delle autonomie locali in una prospettiva di maggiore aderenza all'art. 5 della Costituzione ed

attuativa della IX disposizione transitoria e finale di questa, tende ad un tempo a dotare gli enti territoriali

infraregionali di più ampia autonomia e ad assicurare un più organico raccordo funzionale tra essi e le regioni,

nelle quali individua il centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali. Rimane

in tal modo superato il disegno delle leggi comunali e provinciali come concepite anteriormente all'ordinamento

regionale, succedutesi nel tempo e rimaste fino ad ora pressoché immutate nel loro impianto organico” (Corte

Cost., 15 luglio 1991, n. 343).

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regionale” fossero conferite agli enti locali.5 Entrava per la prima volta a far parte

dell’ordinamento il principio di sussidiarietà, insieme a quelli, che ne costituiscono il

corollario, di differenziazione, adeguatezza, autonomia organizzativa e regolamentare degli

enti locali e leale collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti. Principi questi che verranno

poi definitivamente consacrati con la riforma del Titolo V della Costituzione e che

costituiranno il terreno di esercizio di quel difficile compito di risoluzione dei conflitti di

competenza cui è stata ripetutamente chiamata in questo decennio la Corte Costituzionale.

La legge di riforma costituzionale completa questo disegno attraverso due disposizioni

fondamentali: l’art. 114, che fonda quella che viene ormai comunemente riconosciuta come la

“pari dignità istituzionale” di Comuni, Provincie, Città Metropolitane, Regioni e Stato, e l’art.

118, con il quale viene costituzionalizzato il principio di sussidiarietà.

Quest’ultima disposizione, come è noto, ha spezzato il parallelismo tra funzione legislativa e

funzioni amministrative. Non si è quindi più riprodotto il meccanismo per cui, essendo la

Regione titolare di competenze legislative, ad essa spettava la titolarità della maggior parte

delle funzioni amministrative. Si è imposta viceversa una distribuzione di tali funzioni dal

basso verso l’alto, individuando nel Comune il loro principale titolare, salvo che non debbano

essere attribuite agli altri enti al fine di assicurarne l’esercizio unitario.

Tale nuovo assetto costituzionale ha reso ancor più indispensabile la previsione di forme di

coordinamento tra Regione ed enti locali. La Regione, sulla base del nuovo criterio di

ripartizione delle competenze legislative con lo Stato di cui all’art. 117 Cost., è chiamata a

legiferare su di una pluralità di materie la cui titolarità delle funzioni amministrative è

dell’ente locale (?). Essa inoltre, sempre sulla base dell’art. 117 Cost. ed in seguito

all’abrogazione dell’art. 128 Cost., è chiamata altresì a legiferare sulla distribuzione di tali

competenze amministrative, là dove, secondo i criteri di cui all’art. 118, occorre che queste

siano ripartite tra i vari livelli istituzionali.6

5 Art. 4, comma 3, d.lgs. 267/00: “La generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita ai

comuni, alle province e alle comunità montane, in base ai principi di cui all'articolo 4, comma 3, della legge del

15 marzo 1997, n. 59, secondo le loro dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con esclusione delle

sole funzioni che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale.”

6 E’ stato detto che, “il nuovo disegno costituzionale prevede […] due competenze generali: una delle Regioni,

di carattere legislativo e una dei Comuni, sul versante amministrativo. Ma poiché le funzioni amministrative

hanno bisogno del supporto legislativo (si veda, da ultimo, la sentenza della Corte n. 303/2004), se la Regione

legifera senza raccordarsi con chi, alle sue regole, dovrà poi dare attuazione, è da mettere in conto una sicura e

diffusa inattuazione delle leggi e dei piani regionali […]”, M. CARLI, Il Consiglio delle Autonomie locali, op.

cit. Ancora: “La devoluzione delle competenze amministrative verso il basso, con l’attribuzione, in ambito

regionale, agli enti locali di tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’esercizio unitario da parte

della Regione, va di pari passo con l’esigenza di un continuativo raccordo tra questa e gli enti locali che tali

competenze vengono a gestire”, T. GROPPI, op. cit., 1067.

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Tale esigenza di coordinamento era stata avvertita dal legislatore ancora una volta sin da

prima della riforma costituzionale, sì che la necessità di individuare strumenti di raccordo e

concertazione tra Regioni ed enti locali era già prevista dal d.lgs. 112/98,7 così come dallo

stesso Testo Unico Enti Locali.8 Sulla base di tali indicazioni si è dato vita a vari organismi

generalmente improntati sul modello delle Conferenze permanenti Regione – autonomie

locali, variamente disciplinate a livello regionale e ciò ancorché qualche Regione avesse già

da quel momento, prima quindi della modifica del Titolo V della Costituzione, introdotto i

Consigli delle Autonomie Locali.9

La costituzionalizzazione di tali organi segna uno stacco netto rispetto alla pur importante

esperienza precedente. L’inserimento nel testo della Costituzione costituisce di per sé stesso

un elemento di forte distinzione e pone immediatamente il problema della costruzione di una

“identità” dell’istituto. Un compito non agevole che non è stato certo facilitato dalla natura

assai scarna della norma costituzionale.

2. L’esperienza dei nuovi statuti. Un punto ed alcune considerazioni provvisorie.

Si è aperto, subito dopo la riforma, un dibattito dottrinale in cui sono state affrontate una serie

di problematiche che ora si rinvengono presso che integralmente riprodotte all’interno degli

statuti delle Regioni a statuto ordinario10 e delle leggi regionali che disciplinano i CAL.

7 Art. 3, comma 5, d.lgs. 112/98: “Le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa, prevedono

strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione

strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed enti locali

nell'ambito delle rispettive competenze.”

8 Art. 4, commi 4 e 5 d.lgs. 267/00: “La legge regionale indica i principi della cooperazione dei comuni e delle

province tra loro e con la regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio

dello sviluppo economico, sociale e civile./ Le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa,

prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di

cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed

enti locali nell'ambito delle rispettive competenze.” V. anche, precedentemente, l’art. 3, comma 3, della l.

142/90.

9 E’ il caso della Toscana, la cui legge 21 marzo 200, n. 36, istitutiva del CAL, tuttora vigente, è anteriore alla

legge costituzionale n. 3/01.

10 La Corte Costituzionale ha chiarito che “l’art. 123, ultimo comma, Cost. è […] una disposizione che, per il

suo contenuto precettivo, si può applicare soltanto nei confronti delle Regioni a statuto ordinario, attesa la non

comparabilità tra le forme di potestà statutaria delle autonomie regionali ordinarie e speciali” (Corte Cost. n.

370/06, cit. Da qui la conseguenza della natura non obbligatoria dei CAL per le Regioni a Statuto speciali e la

loro facoltà di introdurli anche per mezzo della legge ordinaria, come poi è per lo più accaduto, e non

necessariamente per mezzo dello statuto. La Corte si è pronunciata in tal caso sulla legittimità della legge

istitutiva del CAL approvata dalla Provincia Autonoma di Trento. Precedentemente la questione di legittimità

costituzionale era stato sollevata anche nei confronti della legge istitutiva del CAL della Regione Sardegna, ma il

giudizio si era concluso con una dichiarazione di inammissibilità (Corte Cost., 28 aprile 2006, n. 175). La

querelle in ordine alla fonte competente a disciplinare i CAL nelle Regioni a Statuto speciale non si è tuttavia

risolta ed ha avuto un seguito con la sentenza n. 238/07, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto

www.federalismi.it 5

Sebbene questi siano stati introdotti e disciplinati dalla maggior parte delle Regioni11, non è

questa la sede per un bilancio, il quale presuppone un’attività di studio e ricognizione

preliminari di ben altro impegno.

E’ tuttavia possibile fare un punto molto provvisorio al fine di iniziare a comprendere ciò che

accomuna e ciò che distingue la pluralità delle esperienze regionali, verificando la possibilità

di un loro coordinamento. Quest’ultima potrà essere poi l’occasione per un reale

approfondimento e per una effettiva e puntuale disamina del lavoro svolto in questi anni a

livello regionale.

Non si tratta di negare la ricchezza insita in tale forma di pluralismo, né ovviamente di

sindacare l’indiscutibile autonomia statutaria delle Regioni. Al momento della entrata in

vigore della riforma costituzionale, l’auspicio di molti era, al contrario, proprio quello che

fossero gli statuti e la legislazione regionale a dare corpo ad un istituto di cui la Costituzione

si limitava ad indicare la necessità dell’esistenza, le funzioni essenziali e costituzionalmente

necessarie di “organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali” e probabilmente, con

l’utilizzo del termine “Consiglio”, un sintetico abbozzo di struttura.12

Già sin dai primi commenti, tuttavia, non sono mancati quanti sottolineavano13 la necessità di

individuare un nucleo fondante di disposizioni che caratterizzassero struttura e funzioni

essenziali dell’organo e che avrebbero dovuto essere inserite negli statuti, con particolare

riguardo a quelle concernenti:

- la sua composizione e quindi la sua rappresentatività degli enti locali;

- i suoi poteri;

- la sua indipendenza, la quale deve essere assicurata in concreto attraverso una effettiva

autonomia amministrativa e contabile ed una dotazione minima di risorse per assicurarne il

funzionamento;

- gli effetti giuridici derivanti dall’esercizio delle funzioni.

La ricerca, quindi, di un nucleo identitario di un organo così importante non contraddiceva e

non contraddice il pluralismo che è insito nella struttura federalista dei pubblici poteri, così

avverso la legge della Regione Friuli Venezia Giulia e, da ultimo, con la decisione della Corte n. 89/2011, resa a

proposito di una legge statutaria della Provincia autonoma di Bolzano, annotata da N. VIZIOLI, Lo strano caso

del Consiglio dei Comuni della Provincia di Bolzano, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 10 maggio 2011.

11 Per le regioni a statuto ordinario ciò ha coinciso con la stagione di riscrittura degli statuti, in seguito alla

modifica dell’art. 123 Cost. apportata con la riforma del Titolo V. Per un primo esame di tali problematiche, v.

M. CARLI, G. CARPANI, A. SINISCALCHI (a cura di), I nuovi statuti delle Regioni ordinarie, cit.

12 Alcuni commentatori (T. GROPPI, op. cit., 1071) ritenevano, fondatamente, che, con l’utilizzo di tale termine

il legislatore costituzionale si fosse voluto richiamare ad alcune delle esperienze già esistenti, quale quella

toscana, avendo comunque in mente un organo rappresentativo degli enti locali, di tipo “consiliare”, distinto

dalle molteplici forme di Conferenze Regione - autonomie locali che pure erano ampiamente diffuse.

13 G.U. RESCIGNO, op. cit.

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come delineata dal Titolo V della Costituzione. Al contrario, irrobustire l’identità dell’istituto

equivale ad incrementarne forza e visibilità e ad attribuire pertanto maggiori poteri effettivi

agli enti locali di cui i CAL sono innanzitutto organi “rappresentativi”.14 Un organo più forte

consente, per altri versi, una migliore esplicazione della stessa autonomia, la quale non risiede

solo nella varietà delle forme e delle scelte istituzionali, ma anche nella capacità di farsi

effettivamente portatori degli interessi rappresentati.

Sotto questo profilo un punto di partenza sufficientemente acquisito consiste nella distinzione

che occorre fare tra i CAL e la molteplicità di Conferenze Regioni – enti locali, tavoli di

concertazioni ed esperienze simili tuttora diffuse e presenti a livello regionale.

Si tratta di due modelli di cooperazione tra enti pubblici relativamente distinti. I CAL sono

organi di interlocuzione istituzionale chiamati a dare innanzitutto pareri obbligatori e ad

esercitare un’altra serie di funzioni che, sulla base degli statuti e delle leggi regionali, possono

ormai dirsi almeno in parte “tipizzate”. Essi sono organi indipendenti e, come si è già detto,

rappresentativi degli enti locali. Le Conferenze operano viceversa secondo i moduli, di per sé

non meno importanti, ma distinti, della concertazione, ed è proprio in ragione di tale modo di

operare che queste, a differenza dei primi, vedono generalmente la partecipazione stabile

anche di organi o comunque di rappresentanti regionali.

A volte, tuttavia, il confine tra il campo di intervento di questi diversi strumenti istituzionali

non è così lineare come potrebbe apparire sulla carta ed in alcuni casi è stato lo stesso

legislatore regionale, ad evitare rischi di sovrapposizioni, ad attribuire la preminenza ai

Consigli delle Autonomie.

Altre questioni molto discusse sono quella delle competenze, dei poteri e degli effetti giuridici

delle attività svolte dei CAL. La funzione consultiva indicata in Costituzione è ovviamente

attribuita da tutti gli statuti regionali innanzitutto nei confronti del Consiglio, in sede di

esercizio della potestà legislativa. Essa è sempre prevista per le proposte di legge che

attribuiscono funzioni amministrative agli enti locali o che incidono sulle loro competenze. E’

poi estesa variamente, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al bilancio e agli atti di

programmazione regionale (Toscana, Liguria, Marche, Umbria, Lazio, Calabria); alle

modifiche dello statuto regionale (Emilia Romagna, Lazio, Calabria), in alcuni casi con

espressa limitazione alle parti che riguardano gli enti locali (Liguria, Puglia); alle modifiche

legislative concernenti la disciplina dei CAL (Emilia Romagna, Lombardia); alla istituzione

di nuovi comuni (Puglia); all’istituzione di enti sub regionali (Calabria).

14 La Corte Costituzionale parla espressamente di un organo attraverso il quale agli “enti territoriali minori”

viene assicurata “la rappresentanza dei propri interessi” (Corte Cost., 370/06, cit).

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Peraltro, mentre nella maggior parte dei casi queste funzioni sono elencate negli statuti, non

mancano fattispecie in cui lo statuto rimanda interamente alla legge regionale, come nel caso

della Puglia, con una soluzione che a suo tempo, come si è accennato, non aveva mancato di

suscitare perplessità di ordine costituzionale.

Più complesso è il problema degli effetti del parere emanato dal CAL, soprattutto là dove

questo sia di segno negativo o venga subordinato all’accoglimento di emendamenti e proposte

di modifica. Anche questo profilo è stato molto discusso. La legge regionale toscana n. 36 del

2000 prevedeva che in caso di parere negativo il Consiglio regionale potesse approvare la

proposta di legge solo a maggioranza assoluta. La soluzione destava anche qui perplessità,

discutendosi della correttezza costituzionale di quella che avrebbe potuto intendersi come una

limitazione all’esercizio della potestà legislativa riservata dall’art. 121 Cost. ai Consigli

regionali. Il nuovo statuto, approvato nel 2005, ha previsto soltanto che là dove il Consiglio

regionale si discosti dal parere del CAL debba farlo con decisione motivata (art. 66).

L’approvazione a maggioranza assoluta è stata tuttavia inserita in altri statuti regionali,

limitando tale effetto “rinforzato” del parere alle sole materie incidenti sulla competenza e

sulle funzioni degli enti locali, con esclusione del bilancio regionale e degli atti di

pianificazione (Liguria, Emilia Romagna15, Lombardia, Lazio, Umbria, Marche, Calabria).

Allo stato le perplessità in ordine alla legittimità di tali previsioni statutarie debbono ritenersi

fugate, considerando come la previsione di un voto a maggioranza assoluta dei componenti il

Consiglio regionale non determini, a ben vedere, alcuno spostamento di competenze

legislative.

Un’altra questione su cui si era concentrata l’attenzione dei primi commentatori e che ha

trovato soluzione negli statuti attiene all’esercizio della funzione consultiva non solo nei

confronti dei Consigli, ma anche degli altri organi regionali. Lo statuto della Regione

Toscana, ad esempio, estende l’obbligo di motivazione in caso di decisione contraria al parere

del CAL per qualsiasi organo regionale (art. 66, cit.). Una generale funzione consultiva nei

confronti degli organi regionali diversi dal Consiglio è prevista anche negli altri statuti.

Ulteriore questione riguarda l’attribuzione ai CAL dell’iniziativa legislativa. Superate anche

in questo caso alcune timidezze iniziali, molti statuti la prevedono, limitandola alle materie

incidenti sulle competenze degli enti locali o rimandandone le relative limitazioni alla legge

ordinaria regionale (Umbria, Liguria, Lazio, Calabria, Lombardia).

15 Lo statuto della Regione Emilia Romagna prevede che, all’infuori delle materie incidenti sulle funzioni degli

enti locali, allorquando il Consiglio Regionale si discosti dal parere del CAL, l’approvazione del progetto di

legge è accompagnato dalla approvazione di ordine del giorno da trasmettere al medesimo Consiglio delle

Autonomie (art. 23, comma 4).

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Diffusa è l’attribuzione ai CAL della facoltà di sottoporre alla Giunta o al suo Presidente le

questioni su cui si ritiene debba essere sollevato ricorso innanzi alla Corte Costituzionale (v.

anche legge n. 131 del 2003). In alcuni casi è previsto che si tratti di una proposta, come si

esprime lo statuto toscano, o di una segnalazione, come è detto in quello della Lombardia,

sottoposta alla Giunta o al suo Presidente, previa informazione al Consiglio (art. 66, comma 5,

Statuto Regione Toscana; art. 54, comma 6, Statuto Regione Lombardia). Lo statuto della

Regione Lombardia chiarisce peraltro che la segnalazione attiene ad “eventuali lesioni

dell’autonomia locale da parte di leggi dello Stato”. La formulazione non può tuttavia

risolvere il problema di come la Regione possa farsi portatrice di una lesione delle prerogative

degli enti locali nell’ambito del giudizio di costituzionalità, a meno che questa si risolva

anche in una lesione della sfera di competenza regionale ai sensi dell’art. 127, comma 2, Cost.

Se il complesso delle funzioni dei CAL, nonostante l’inevitabile disomogeneità, è

sufficientemente tipizzato, tipiche ma ancor meno omogenee appaiono le scelte regionali in

ordine alla composizione di tali organi.

La maggior parte degli statuti e delle leggi regionali prevedono una rappresentanza degli

organi esecutivi degli enti locali, con una articolazione tra componenti di diritto, generalmente

coincidenti con i presidenti di provincia ed i sindaci delle città capoluogo, e componenti

elettivi, costituiti dai sindaci degli altri comuni, in alcuni casi articolati in sottoclassi a

seconda degli abitanti. Ad esempio, la legge regionale n. 22/09 della Regione Lombardia

prevede la presenza di dodici sindaci di comuni con popolazione superiore a duemila abitanti

e di tre sindaci di comuni con popolazione inferiore ai duemila abitanti. Altre leggi (Toscana)

si limitano a prevedere un determinato numero di sindaci di comuni non capoluogo,

rimettendone la scelta alle assemblee dei sindaci in sede elettiva e disciplinando il relativo

procedimento elettorale. In altri casi (Emilia Romagna), si prevedono, quali componenti di

diritto, anche i sindaci delle città con più di cinquantamila abitanti, ancorché non capoluogo,

lasciando la scelta degli altri alle assemblee elettive e riservandone una quota ai comuni

montani.

Questi modelli, con i quali si attribuisce la rappresentanza degli enti locali ai sindaci o

presidenti di provincia, sono in alcuni casi temperati dalla presenza di alcuni rappresentanti

degli organi consiliari. Ad esempio, la legge regionale n. 36/2000 della Regione Toscana

prevede che del CAL facciano parte anche due presidenti di consigli provinciali, due

presidenti di consigli comunali e tre presidenti di Comunità Montane (art. 1). Una

articolazione simile è prevista dalla legge regionale n. 1/2005 della Regione Calabria, dalla

legge regionale n. 20/2008 della Regione Umbria, dalla legge n. 1/2011 della Regione

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Liguria. Vi sono poi leggi che, oltre ad indicare una composizione dei CAL simile a quella

appena descritta, prevedono anche la partecipazione di rappresentanti delle associazioni di

enti locali (ad esempio, ANCI, UPI, Legautonomie, UNCEM, Associazioni regionali): così la

leggi regionali Lombardia, Lazio, Piemonte.

In opposizione a questo tipo di scelte in ordine alla composizione dei CAL si colloca la legge

della Regione Puglia n.29/2006, la quale prevede che il Consiglio sia composto da

cinquantasette membri di cui uno in rappresentanza delle Comunità Montane e gli altri eletti

dai consigli provinciali e comunali nel proprio seno (art. 2). E’ evidente che in questo caso la

differenza non è meramente accidentale, ma attiene al modello istituzionale, risolvendosi il

CAL in un organo elettivo di secondo grado.

Ancora, una questione non sopita in ordine alla composizione dei CAL riguarda la presenza o

meno di rappresentanti delle così dette autonomie funzionali, ovvero (ossia) di soggetti

distinti dagli enti locali territoriali. Se ne discute sin dall’avvio del dibattito intorno

all’istituzione dei CAL e ne costituisce ora un esempio lo Statuto della Regione Lombardia il

quale stabilisce che il CAL “si riunisce in composizione integrata da un massimo di quindici

rappresentanti delle autonomie funzionali e sociali, per esprimere parere sullo Statuto, sul

programma regionale di sviluppo e i suoi aggiornamenti, sui piani e programmi relativi

all’innovazione economica e tecnologica […]” (art. 54, comma 8). La legge regionale n.

22/09 individua poi a tal fine rappresentanti di varie istituzioni, enti pubblici e privati

(università, centri di ricerca, istituzioni scolastiche, Unioncamere, Camere di Commercio,

esponenti del Terzo Settore e via dicendo).

Simili soluzioni si sono prestate a critiche, soprattutto per la sovrapposizione che ne deriva tra

le funzioni latu sensu concertative e di raccordo tra istituzioni e forze sociali e la funzione di

rappresentanza degli enti locali e di interlocuzione istituzionale con la Regione che dovrebbe

scolpire le caratteristiche istituzionali dei CAL.

3. Per il rafforzamento dell’identità dei CAL. Alcune prospettive.

L’elencazione appena fatta di problematiche varie in sede di disciplina e funzionamento dei

CAL è tutt’altro che esaustiva. Occorrerà procedere al loro esame, come si è anticipato, con

un apposito studio comparativo degli statuti e della legislazione regionale. Si possono tuttavia

trarre da questa breve digressione alcune indicazioni.

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Innanzitutto, il ruolo dei CAL esce rafforzato dalle pur differenziate soluzioni adottate in sede

regionale. La sua istituzione in quasi tutte le Regioni sta ad indicare che la scelta del

legislatore costituzionale si è mostrata lungimirante.

I CAL saranno tuttavia chiamati presto a svolgere dei compiti dei quali devono dimostrare di

essere all’altezza. Citiamo, senza potervi neanche fare cenno, due questioni di portata

straordinaria che investono in questo momento gli enti locali: l’indifferibile necessità di

pervenire alla approvazione della Carta delle Autonomie, ovvero (ossia) della nuova legge

generale sugli enti locali successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione ed il grande

capitolo del federalismo fiscale, con l’emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega

di cui alla legge n. 42 del 2009.16

In entrambi i casi non vi è solo necessità di far valere gli interessi degli enti locali su scala

nazionale, compito indispensabile che tuttavia viene assolto dalle varie rappresentanze sia

istituzionali che associative, ma occorre che la dialettica istituzionale funzioni innanzitutto nel

rapporto regioni – enti locali, poiché è su questi equilibri che si costruisce la nuova

articolazione dello stato. Basti solo pensare cosa implica l’effettiva attuazione del principio di

sussidiarietà in relazione alla distribuzione delle risorse, al rapporto tra entrate proprie e

fiscalità regionale e quanto su questo sono destinate ad incidere le leggi che le regioni

dovranno adottare. Senza un corretto equilibrio di questi elementi, non il progetto federalista,

ma qualunque forma di decentramento rimane una mera declamazione verbale.

Orbene, il livello di frammentarietà che ancora caratterizza l’esperienza dei CAL, al quale si è

fatto cenno trattando di alcuni profili specifici, pur con i notevoli sviluppi che si sono avuti in

questo decennio, può costituire un elemento di debolezza di tali organi, tale da non renderli

sufficientemente attrezzati a queste sfide.

Riteniamo pertanto siano necessari, otre alla approfondita ricognizione di cui si è detto, uno

sforzo di coordinamento di queste esperienze, nella dimensione nazionale, e ciò non al fine di

volere limitare l’autonomia di cui sono espressione, il che non sarebbe né verosimile, né tanto

meno possibile, ma al fine di dare all’istituto una maggiore forza.

Lungo questo percorso, peraltro, i Consigli delle Autonomie Locali potrebbero trovare uno

spazio inatteso là dove, anche in coerenza con la svolta federalista, s’impone una profonda

riforma del Parlamento. Ove infatti si smettesse di brandire strumentalmente le riforme

istituzionali senza mai approdare ad alcuna concretizzazione, i Consigli potrebbero

16 Su questa, v. gli atti del Convegno del 1 marzo 2010, Il sistema delle autonomie territoriali dopo la legge sul

federalismo fiscale, organizzato dal CAL del Lazio in collaborazione con l’ANCI regionale, riportati sul sito del

CAL, in www.cal.regione.lazio.it, con le relazioni di A.D’ATENA, N. RICCARDELLI, F.FIORILLO, G.C. DE

MARTIN, E.BUGLIONE, G.MELONI e le conclusioni di B. CARAVITA DI TORITTO.

www.federalismi.it 11

rappresentare la base elettorale di quel Senato federale, delle Regioni e delle Autonomie

Locali, che ha costituito oggetto di numerosi progetti di legge costituzionale17, che la

Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome ha ribadito anche recentemente essere

uno degli obiettivi principali di riforma18 e che di certo è un obiettivo fondamentale e

irrinunciabile. Per i proponenti di tali progetti i CAL vedrebbero in questo caso realizzata

quella funzione di “seconda camera” rispetto ai Consigli regionali che ha in parte costituito

una aspirazione latente di questi anni e che, allo stato, non trova tuttavia posto nel testo

costituzionale.

Occorre, a maggior ragione ove si concretizzassero tali prospettive, ma anche per sostenere il

dibattito dal punto di vista delle Autonomie Locali e in vista di obiettivi più ravvicinati, fare

qualche passo in avanti. Un coordinamento nazionale, nella forma che dovrà essere meglio

messa punto, in cui le diverse esperienze regionali possano essere intanto poste a confronto

tra di loro, stimolando l’elaborazione, l’affinamento e la condivisione della relativa

strumentazione tecnica e culturale, può costituire in tal senso un’occasione molto utile e un

campo nuovo e importante di protagonismo delle Autonomie Locali per realizzare le riforme

che diano al federalismo strumenti indispensabili, ad ogni livello, per un giusto e solido

cambiamento dello Stato.

17 V. ad es. il progetto di riforma di Legautonomie presentato anche in questa legislatura, in

www.legautonomie.it

18 Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, prot. n. 11/037/CR6d/C1 del 24 marzo 2011, in

www.regioni.it

 

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