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PREAVVISO DI RIGETTO E CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO-Giuseppe Dirodi, avvocato specializzato nelle professioni legali-Diritto e processo.it

 

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(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 4/2011)

 

 

 

 

 

QUAESTIO IURIS

 

La sentenza in commento costituisce un’utile occasione di riflessione su argomenti dalla portata innovativa.

 

L’ambito dell’analisi che ci occupa coincide con l’istituto della “comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza” – con espressione mutuata dalla rubrica dell’art. 10 bis l. 241/1990 -, meglio conosciuto come “preavviso di rigetto”.

 

Si è già accennato, dunque, alla fonte normativa, della quale tuttavia si rende opportuna una precisazione: l’art. 10 bis è stato inserito nell’organico della legge sul procedimento amministrativo solo in epoca successiva, e precisamente nel 2005 con l. n. 15, portando a compimento quel percorso evolutivo che ha dato origine al moderno assetto di garanzie procedimentali.

 

Più nello specifico, con l’istituto in esame si è cercato di offrire ai cittadini uno strumento che rispondesse ad una duplice finalità:

 

-          di collaborazione tra la p.a. e il privato, posti in contraddittorio;

 

-          di garanzia del privato stesso.

 

Non va, peraltro, sottaciuto come il preavviso di rigetto, nella sua funzione di voler offrire la possibilità di un contraddittorio all’interno del procedimento, costituisca un valido ausilio per la riduzione del contenzioso.

 

Il Collegio, in proposito, testualmente afferma: “La norma in esame mira ad «instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la p.a. ed il cittadino» al fine sia di «aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira» (Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828) sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2452), consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire.

 

La prescritta partecipazione svolge, pertanto, una funzione difensiva e collaborativa. L’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo “punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa”.

 

Ciò premesso, e passando al merito della questione posta al vaglio dei Giudici, si rileva come oggetto del contenzioso sia l’art. 146 d.lgs. 42/2004.

 

Ad avviso dei Giudici, la norma ha un contenuto che si presta a diverse soluzioni ermeneutiche.

 

Se da un lato vi è chi, partendo dalla vincolatività del parere e dalla successione temporale che vede il preavviso di rigetto intervenire solo in un secondo momento rispetto al primo, sostiene che il parere non possa essere contestato nei suoi contenuti dal privato.

 

La conseguenza è di rilievo se solo si considera che la natura strettamente endoprocedimentale del preavviso di rigetto rende lo stesso inidoneo a ledere immediatamente la sfera giuridica del privato, così determinando la sua non autonoma impugnabilità. Al contrario, in una situazione come quella in esame, “dovrebbe essere oggetto di immediata contestazione giudiziale per la sua capacità di determinare un arresto procedimentale”.

 

Tuttavia, il Collegio non manca di rilevare l’inconveniente di una simile teoria, dal momento che  “vanificherebbe le plurime funzioni degli obblighi di comunicazione posti dall’art. 10-bis, riducendo la partecipazione procedimentale ad un mero simulacro formale inidonea ad incidere sugli aspetti di rilevanza paesaggistica del provvedimento finale”.

 

Diversa ricostruzione è offerta da chi ritiene che nel momento della comunicazione dei motivi ostativi il privato prende coscienza del parere vincolante e può così aprirsi una fase in contraddittorio con la p.a., utile a consentire al privato “di indurre le amministrazioni competenti a mutare, eventualmente, il contenuto della determinazione che si intendeva adottare. Ciò implica che le osservazioni fatte pervenire devono essere oggetto, quando tendono a contestare le motivazioni di natura paesaggistica contenute nel parere, di una autonoma valutazione da parte del Soprintendente. In altri termini, le amministrazioni provinciali e statali che hanno, a diverso titolo, concorso alla definizione del contenuto del preavviso di rigetto sono obbligate ad aprire una parentesi procedimentale, seguendo l’iter prefigurato dall’art. 10-bis, al fine di valutare le eventuali osservazioni fatte pervenire e di cui occorre tenere conto nell’adozione dell’atto finale”.

 

Una simile conclusione, di certo in linea con la ratio e soprattutto con la funzione stessa dell’art. 10 bis, porta a conseguenze opposte rispetto a quelle già esaminate e relative alla prima ipotesi ricostruttiva. Invero, dal momento che la comunicazione dei motivi ostativi non produce alcun “arresto procedimentale”, esso è inidoneo a ledere immediatamente la sfera del privato e, di conseguenza, non potrà essere autonomamente impugnato: oggetto dell’impugnazione sarà solo il provvedimento conclusivo dell’intero procedimento.

 

Alla stessa conclusione perviene il Collegio, che “ritiene preferibile seguire questa seconda opzione interpretativa, in quanto essa è la sola in grado di assegnare una valenza utile al richiamo operato dall’art. 146 alla norma contenuta nella legge n. 241 del 1990, consentendo, al contempo, la piena attuazione delle plurime funzioni perseguite mediante la garanzia della partecipazione del privato nelle forme indicate”.

 

 

 

La SOLUZIONE di T.A.R. Calabria di Catanzaro, Sez. I, 05 marzo 2011, n. 322

 

Ad avviso del T.A.R. l’art. 146 d.lgs. 42/2004 “deve essere intesa nel senso che, successivamente alla comunicazione del preavviso di rigetto in cui è reso noto, in particolare, il contenuto del parere vincolante, si può instaurare un contraddittorio assicurando la partecipazione del privato che deve essere in grado di indurre le amministrazioni competenti a mutare, eventualmente, il contenuto della determinazione che si intendeva adottare. Ciò implica che le osservazioni fatte pervenire devono essere oggetto, quando tendono a contestare le motivazioni di natura paesaggistica contenute nel parere, di una autonoma valutazione da parte del Soprintendente. In altri termini, le amministrazioni provinciali e statali che hanno, a diverso titolo, concorso alla definizione del contenuto del preavviso di rigetto sono obbligate ad aprire una parentesi procedimentale, seguendo l’iter prefigurato dall’art. 10-bis, al fine di valutare le eventuali osservazioni fatte pervenire e di cui occorre tenere conto nell’adozione dell’atto finale. In questa ottica, il preavviso di rigetto non è idoneo ad determinare un arresto procedimentale, con la conseguenza che oggetto di impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale adottato dall’amministrazione a seguito dello svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale”.

 

Il collegio giudicante ritiene che sia “preferibile seguire questa seconda opzione interpretativa, in quanto essa è la sola in grado di assegnare una valenza utile al richiamo operato dall’art. 146 alla norma contenuta nella legge n. 241 del 1990, consentendo, al contempo, la piena attuazione delle plurime funzioni perseguite mediante la garanzia della partecipazione del privato nelle forme indicate.

 

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso per mancanza di interesse. Infatti, l’amministrazione provinciale si è limitata a comunicare il preavviso di rigetto e non ha ancora adottato la determinazione finale che, secondo l’interpretazione fatta propria da questo Collegio, è l’unica che può essere oggetto di impugnazione”.

 

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