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INVESTIMENTI PUBBLICI TRA FRENATE E ACCELERAZIONI di Claudio Virno –La Voce.info

 

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Nel Def si prevede una riduzione della spesa in conto capitale di 8 miliardi tra il 2010 e il 2014. È un importante contributo alla riduzione dell'indebitamento pubblico. Eppure, il rilancio della politica infrastrutturale è stato spesso indicato come lo strumento per favorire la crescita e per superare i divari territoriali. Quanto alle risorse, in parte sono già disponibili. Anzi nel caso di quelle europee, c'è il rischio di perderle se non si utilizzano nei tempi previsti. È una contraddizione che il governo deve risolvere.

 

Nel quadro tendenziale di finanza pubblica esposto nel Documento di economia e finanza, la spesa in conto capitale ha un profilo marcatamente declinante. Tra il 2010 e il 2014 la flessione è pari a 8 miliardi, offrendo così un rilevante contributo alla riduzione dell’indebitamento pubblico. (1) In particolare, gli investimenti pubblici passerebbero dal 2,1 per cento del Pil nel 2010 all’1,6 per cento nel 2014. (2).

Si ripete dunque quanto già accadde durante gli anni Novanta, quando si ottenne il risanamento dei conti pubblici, in vista dell’entrata nell’euro, anche per merito di una sostanziale e prolungata riduzione della spesa per investimenti pubblici.

 

OBIETTIVI CONTRADDITTORI

 

L’andamento della spesa per investimenti pubblici dovrebbe essere in qualche modo la conseguenza delle misure di politica economica attivate (o evitate) nel corso degli ultimi anni. Misure che tuttavia non è facile individuare considerando che sia nel recente passato che a livello programmatico si è sempre puntato a rilanciare la politica infrastrutturale per gli effetti sulla crescita e per il superamento dei divari territoriali. Inoltre, le stesse previsioni del Documento di finanza pubblica del settembre 2011 erano di gran lunga più ottimiste, pur confermando un andamento decrescente della spesa (in valore assoluto) nel corso del tempo. Più che altro si tratterebbe allora di un effetto “inerziale”, che ha favorito un allungamento dei tempi tra il momento della decisione di investimento e la sua realizzazione.

D’altra parte, il legame tra infrastrutture e sviluppo è richiamato esplicitamente all’interno del Piano nazionale delle riforme, dove è considerato una delle nove “macro-aree di intervento”, anche se la tematica degli investimenti pubblici è stata esclusa dalla valutazione sugli effetti delle riforme.

Quali sono dunque i motivi per i quali, nel quadro tendenziale, si ipotizza una contrazione delle spese in conto capitale? E sono in contraddizione con eventuali politiche di rilancio degli investimenti pubblici teorizzate in altri documenti governativi (e nello stesso Pnr)?

 

QUANTO SI PUÒ SPENDERE

 

Secondo la Corte dei conti, le previsioni negative sulla spesa in conto capitale sono attribuibili in gran parte alle difficoltà incontrate nel rendere effettivo il Piano di infrastrutture strategiche (Pis) della Legge obiettivo. (3) Vi sarebbe stato (e sarebbe ancora in atto) un rallentamento delle realizzazioni in corso e dei pagamenti determinato dagli ostacoli all’effettiva utilizzazione delle risorse nonché dalla riduzione degli stanziamenti. (4)

Previsioni di segno negativo sono ascrivibili anche ai vincoli finanziari agli investimenti degli enti locali attraverso il Patto di stabilità interno.

Nella Nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali, allegata al Def, è contenuto un riquadro sulla procedura di stima del Fas (Fondo per le aree sottosviluppate). Se ne ricava che la stima dell’impatto sui tendenziali di spesa della programmazione del Fas (per il periodo 2011-2016) è valutata partendo dalla ricognizione delle risorse disponibili e dalla spendibilità o realizzabilità delle spese, in funzione della loro natura economica e della tempistica prevista di volta in volta dalle norme autorizzative e dalle delibere Cipe di ripartizione, in base alla programmazione 2007-2013.

Non sembra dunque che nel formulare le previsioni si sia tenuto conto del paragrafo 4.7 del Pnr dedicato a “Politiche e disparità regionali” e, più in generale, ai contenuti precipui del Piano Sud. Nel Pnr si legge infatti che, al fine di correggere i divari territoriali, il governo e le amministrazioni “sono impegnati ad accelerare la realizzazione dei progetti volti sia ad assicurare la disponibilità di infrastrutture moderne ed efficienti nei settori dei trasporti, dell’ambiente e dell’energia, sia al miglioramento dei servizi soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo”. Per raggiungere questi obiettivi si dovrebbe accelerare notevolmente la spesa per investimenti prevista dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 (59,4 miliardi) e quella collegata con le risorse nazionali aggiuntive destinate al riequilibrio economico-sociale, provenienti dal Fas. Una verifica sui fondi complessivamente disponibili e riprogrammabili nell’ambito del Piano nazionale per il Sud ne fissa l’ammontare a 40,3 miliardi per il periodo 2007-2013, mentre il loro impiego dovrebbe realizzarsi presumibilmente a partire dal 2012.

Lo stesso vale per la politica relativa alle grandi infrastrutture (Legge obiettivo). Constatato il ritardo nella realizzazione delle opere e l’insufficienza delle risorse disponibili per completarle, l’Allegato infrastrutture al Def ipotizza che vada perseguito l’obiettivo di appaltare e cantierare ciò che il Cipe ha fino ad oggi approvato, avvalendosi anche dei fondi europei e della finanza privata. In questo modo, si avrebbe l’ovvio effetto di accelerare anche i pagamenti relativi agli stanziamenti pubblici.

Va poi ricordato che esistono vincoli alla possibilità di rinviare o rallentare la spesa, come nel caso dei fondi europei. Pena la perdita di risorse comunitarie, gli obiettivi annuali di spesa impongono di effettuare entro la fine del 2011 pagamenti per quasi 10 miliardi, di cui circa la metà a valere sul bilancio pubblico. Si tratta del doppio di quanto previsto per l’anno 2010.

Anche provvedimenti legislativi quali il decreto legislativo in materia di risorse aggiuntive per la rimozione degli squilibri economici e sociali e (con tutta probabilità) il prossimo decreto sviluppo mirano ad accelerare (e a riqualificare) la spesa, in aperto contrasto con il quadro tendenziale del Def.

Certo, alcune delle azioni previste per l’accelerazione della spesa di investimento pubblico fanno parte di un “quadro programmatico” in parte ancora da definire, ma è anche vero che presupposti e informazioni di base sono già rilevabili in un “quadro tendenziale”. Se fossero previsti cambiamenti rispetto al quadro tendenziale, sarebbe opportuno considerarli e in qualche modo “anticiparli” in un documento programmatico quale il Def vuole essere. Se viceversa si intende agire sugli investimenti per il controllo dei saldi di finanza pubblica è il caso di abbandonare ogni velleità di rilancio dello strumento a fini di sviluppo.

 

(1) Come ricorda il Cer, “il contributo fornito alla riduzione dell’indebitamento tendenziale è dell’11,1 per cento, circa il triplo del peso che questa voce di spesa ha sul livello del disavanzo pubblico (4,4 per cento)”. Rapporto Cer – Aggiornamenti, 26 aprile 2011, p. 7.

(2) Occorre ricordare che negli anni Ottanta tale percentuale era superiore al 3 per cento. Inoltre, la flessione andrebbe nella direzione opposta rispetto a quanto auspicato da Confindustria, secondo cui si tratterebbe di aumentare “progressivamente gli investimenti in infrastrutture, per riportarli entro il 2015 e mantenerli stabilmente a un livello pari almeno al 2,5 per cento del Pil, introducendo un vero e proprio vincolo programmatico sulla spesa pubblica”. Progetti Italia 2015, p. 41.

(3) Audizione sul Documento di economia e finanza 2011 alle Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, 20 aprile 2011.

(4) Sulla riduzione delle risorse si veda tra gli altri Ance, Le risorse destinate dallo Stato alle infrastrutture, marzo 2011. Dalle stime Ance risulta una contrazione di risorse destinate a nuove infrastrutture pari a circa il 34 per cento nel triennio 2009-2011.

 

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