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LA LETTERA AL CONSIGLIO DELL'ORDINE PER LAMENTARSI DELL'EX AVVOCATO, E' DIFFAMAZIONE? DIPENDE..SE NON C'E' IL 51 C.P. - Cass pen sez V 9 giugno 2011 -

 

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CONZUTTI Mirijam

 

La "corrente" giurisprudenziale cui si rifà il ricorrente PG (ASN 20A919396-RV 243606) ha sostenuto che non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che invii uno lettera al Presidente dell'ordine degli avvocati, contenente espressioni offensive, nonché la segnalazione di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti dal proprio difensore, trattandosi di un reclamo diretto personalmente al titolare di un organo e mancando, pertanto ,l'elemento dello comunicazione con più persone, che, d'altro canto, non può ritenersi sussistente ove tale comunicazione sia avvenuta per esclusiva iniziativa del destinatario, considerato che la tutela richiesta all'autorità non comporta necessariamente la diffusione della doglianza nell'ambito di una prevedibile procedura disciplinare e che, comunque, di tale evento, non può rispondere colui che si rivolge all'autorità, collegando la comunicazione con più persone ad una sua imprudente condotta, non essendo prevista l'ipotesi colposa della diffamazione.

Si era, invero, già in precedenza (ASN I99907551-RV 231780) stabilito che il requisito della comunicazione con più persone non sussiste qualora l'offesa, contenuta in una lettera diretta a un determinato soggetto, non sia voluta dall'agente, ma sia dovuta alla esclusiva iniziativa del destinatario (trattavasi, anche in quel caso, di una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati, contenente richiesta di azione disciplinare per pretese violazioni deontologiche)" Ma, nel caso allora in esame, la natura offensiva degli addebiti era desumibile solo a seguito della lettura degli allegati alla lettera stessa, recante, per altro, la scritta "riservata - personale" e recante, inoltre, la richiesta di ottenere, direttamente dal destinatario, una nota di risposta.

 

Partendo da tale precisazione, la giurisprudenza immediatamente successiva (ASN 1999O1794-PV 212516) aveva chiarito che il requisito della divulgazione presso terzi dell'offesa sussiste allorché si presenti impersonalmente alla autorità un reclamo contro una determinata persona, affinché siano presi provvedimenti contro di essa.

 

Aggiungeva, tuttavia, la sentenza de qua che tale elemento costitutivo del delitto ex art. 595 c.p. non può, viceversa, ritenersi sussistente nell'ipotesi in cui il reclamo sia diretto personalmente al titolare di un ufficio, giacché, in tal caso, la "comunicazione con più persone" non può dirsi voluta dall'agente, neppure sotto il profilo del dolo eventuale.

 

Si trattava, nel caso di specie, di un esposto offensivo, indirizzato a un Commissario di Pubblica sicurezza, con invito al predetto a convocare. egli stesso, la destinataria del reclamo per le conseguenti diffide.

 

L'esposto, per altro, era stato consegnato "a mano", direttamente al titolare dell'ufficio.

 

Quindi, il discrimen tra le due sentenze del 1999, consiste nella volontà del mittente.

 

Se la lettera, per esplicita volontà di chi la ha formata - volontà, magari, rafforzata e resa ancor più esplicita dalle modalità di consegna del plico- è destinata a restare nella sfera di disponibilità di chi la riceve, alloro l'ulteriore, eventuale, propagazione della notizia diffamatoria si dovrà unicamente alla iniziativa (o alla negligenza) di costui.

 

Ne consegue che se l'autore - mittente, viceversa, vuole e ottiene che il contenuto della lettera sia reso noto anche ad altri (diversi dal destinatario), il requisito della comunicazione con più persone non può che sussistere.

 

E così la I sezione di questa Corte ha chiarito (ASN 200727624-PV ?37086) che il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato ex art. 595 c.p. sussiste anche qualora le espressioni lesive dell'altrui reputazione siano contenute in una lettera indirizzata a una pubblica autorità, in forma impersonale, in una busta non chiusa e, quindi, non in forma riservata.

 

E ciò per l'evidente motivo che l'autorità. se competente in relazione alla materia per la quale lo segnalazione è stata inviata, non potrà certo "tenere per sé" la segnalazione stessa, ma dovrà promuovere i necessari accertamenti ed, eventualmente, assumere le opportune iniziative. E ciò comporta, inevitabilmente, che anche terzi conoscano del contenuto della missiva.

 

E così è stato ritenuto (ASN 200431728- RV 229331) sussistente il requisito dello comunicazione con più persone con riferimento ad una lettera, inviata dal Presidente del Tribunale al Presidente della Corte di appello (lettere con la quale si esprimevano valutazioni offensive nei confronti di due sostituti della Procura presso il predetto Tribunale). La missiva, invero, benché inviata in doppia busta chiusa con la dicitura "riservata personale", conteneva la sollecitazione ad inoltrare tale comunicazione ad altra autorità, inoltro poi effettivamente avvenuto.

 

Il requisito della comunicazione con più persone può sussistere anche quando la lettera sia indirizzata a una sola persona e, tuttavia, il suo contenuto sia destinato o essere portato a conoscenza almeno di un'altra persona; sempre, si intende, che tale conoscenza vi sia, poi, di fatto, stata.

 

Tale "destinazione alla divulgazione" può trovare il suo fondamento nella esplicita volontà del mittente-autore, ovvero nella natura stessa della comunicazione che, ad es., in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare ecc.) deve ex lege essere portata a conoscenza di altre persone. diverse dall'immediato destinatario.

 

Ed è questa la ragione per cui questo Collegio ritiene di non condividere la giurisprudenza citata dal ricorrente PG.

 

In tal senso "militano" altre pronunzie di questa Sezione (ASN 200813549-RV 239825; ASN 2008035ó5-RV 238909), che non hanno dubitato del fatto che, ad es., un esposto indirizzato al titolare del potere disciplinare nell'ambito dell'Arma dei Carabinieri o al Presidente del Consiglio di un ordine professionale abbia integrato il requisito della comunicazione con più persone. E ciò, si ripete, in quanto i destinatari delle predette missive avrebbero dovuto rendere altre persone partecipi del contenuto del "messaggio", essendo essi tenuti ad avviare accertamenti e dovendo, eventualmente, promuovere procedimenti.

 

Tutto ciò, si intende, sul presupposto che l'autore della missiva volesse e/o prevedesse la circostanza che il suo contenuto sarebbe stato reso noto a terzi.

 

Sulla base di quanto sinora esposto, il ricorso del PG dovrebbe essere rigettato.

 

E, tuttavia, proprio le due sentenze da ultimo citate, pur sostenendo, come si è appena visto, sussistente l'elemento costitutivo del delitto di diffamazione, consistente nella comunicazione di più persone. hanno escluso che, nelle fattispecie concrete allora sottoposte al vaglio della Corte, il predetto reato sussistesse, in quanto hanno ritenuto operante la scriminante ex art 51 c.p..

 

Invero, per ASN 200803565-RV 238909, non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti, tenuti da un libero professionista nei rapporti con il cliente denunciante, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero, perché il cliente, per mezzo della segnalazione, esercita una legittima tutela dei suoi interessi (negli stessi termini ASN 20103 3994-RV 248422).

 

Per ASN 200813549-RV 239825, non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui cha indirizza un esposto -contenente espressioni offensive nei confronti di un militare - all'autorità disciplinare dell'Arma dei Carabinieri, in quanto, in tal coso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sub specie dell'esercizio del diritto di critico, costituzionalmente tutelato dall'art. 2I Cost. e da ritenersi prevalente rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dalla Costituzione agli artt. 2 e 3, considerato che, senza la libertà di espressione e di critica, la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi.

 

Il fatto è, tuttavia, che con il ricorso, il PG, nel chiedere la cassazione della sentenza impugnata, non ha affatto rappresentato la possibile sussistenza di una scriminante, ma, come premesso, ha -senza fondamento- sostenuto la inesistenza dell'elemento costitutivo della comunicazione con più persone.

 

La questione, a tal punto, consiste -di conseguenza- nel valutare se questa Corte possa, ex officio, rilevare la ipotizzabile sussistenza di una oggettiva causa di giustificazione e, su tale base, annullare (con rinvio, ovviamente) la sentenza a suo tempo impugnata, mediante articolazione di ben altra censura (infondata).

 

La risposta al quesito deve essere positiva, atteso che, sin tanto che il rapporto processuale non si sia esaurito con la formazione del giudicato, il giudice deve procedere ex officio a quelle verifiche che la legge impone di operare in ogni stato e grado del processo, quali il rispetto delle norme sulla competenza funzionale e per materia , le pregiudizialità obbligatorie, l'immediata applicazione di formule assolutorie ex art. 129 c.p.p.. Invero, se la legge dispone che determinate verifiche debbano essere eseguite di ufficio e che specifiche nullità sempre d'ufficio debbano essere dichiarate, in ogni stato e in ogni grado del processo, l'eventuale acquiescenza, rinunzia o transazione della parte non può sortire effetti diversi da quelli voluti dalla legge (ASN 1992O0480-RV 188950).

 

Trattasi, evidentemente, di principio generale, discendente dal superiore interesse della collettività all'osservanza delle norme fondamentali del "sistema", principio che, dunque, se trova applicazione, come si è visto, in presenza di un comportamento remissivo della parte (acquiescenza, rinunzia, transazione). non può non trovare identica applicazione in presenza di un potere di impugnazione correttamente esercitato, ma che ha comunque rimesso in discussione, sia pure in un'ottica inesatta, la sussistenza del presupposto della punibilità dell'imputato.

 

Né va trascurato che, esplicitamente, anche il comma II dell'art 609 c.p.p. impone, come è noto, al giudice di legittimità di decidere sulle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo.

 

E tanto è desumibile, oltre che dai principi generali che informano il sistema processuale penale, anche in base alla pronunzia ASN 199807903-RV 211377, che ha affermato che, nel giudizio di legittimità, la regula juris ex art. 129 c.p.p. è certamente vincolante - appunto in virtù del richiamo di cui al II comma dell'art. 609 - senza che possano esser di ostacolo i limiti della eventuale formazione progressivo del giudicato.

 

Tanto ciò è vero, che l'obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità innanzi alla Corte di cassazione sussiste anche se il giudizio di legittimità venga celebrato a seguito di impugnazione di sentenza emessa nel giudizio di rinvio.

 

Orbene, la possibile sussistenza di uno causa di giustificazione, vale dire di una situazione atta a far venir meno il requisito della antigiuridicità nella condotta dell'agente, non può non rientrare nella predetta categoria delle questioni rilevabili ex officio, anche da parte della Corte di cassazione.

 

In realtà, anche la eventuale presenza di una mera causa di non punibilità (quale potrebbe essere, nel caso di specie, quella di cui all'art. 598 c.p.) comporta, inevitabilmente, nei sensi e per le ragioni sopra specificate, l'intervento di questa Corte.

 

Si impone, pertanto l'annullamento con rinvio.

 

Il giudice del rinvio, data per certa -per le ragioni che si sono sopra chiarite - la sussistenza dell'elemento costitutivo del delitto ex art 595 c.p. della comunicazione con più persone, verificherà se lo condotta ascritta al S. sia stata tenuta in presenza della causa di giustificazione ex art 51 c.p. (e, in tal coso, dovrà valutare )e il diritto sia stato esercitato nel rispetto dei limiti previsti dalla giurisprudenza, ivi compreso lo continenza delle espressioni), ovvero se ricorra la causa di non punibilità ex art. 598 c.p., ovvero, infine, se nessuna esclusione della punibilità sussista.

 

Assumerà quindi le conseguenti decisioni.

 

In presenze di ricorso per saltum, giudice di rinvio è (ai sensi dell'art.569 comma II c.p.p.) il Tribunale di Roma, il quale procederà a nuovo esame nei termini sopra specificati.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

Annulla l'impugnata sentenza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma

 

 

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