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NULLITA' DI PROTEZIONE E CLAUSOLE ABUSIVE" - Mirijam CONZUTTI

 

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Sotto l’influenza del diritto comunitario si è assistito ad importanti interventi, che connotano la sussistenza della nullità non più come patologia omogenea ed unitaria, ma come fattispecie eterogenea. Si è assistito a quello che in dottrina viene comunemente definito il fenomeno “dalle nullità alle nullità”.
Nel nostro ordinamento ciò è stato possibile grazie al terzo comma dell’art 1418 c.c. che conferisce al Legislatore e alla sua valutazione discrezionale il potere di ricorrere allo strumento della nullità quando lo ritiene opportuno.
Tendenzialmente, le fattispecie che sono state fatte rientrare nella fattispecie della nullità di protezione, secondo la tradizionale teorica, sarebbero state incasellate nell’annullabilità, patologia posta a tutela della parte contraente più debole.
Più in particolare, le norme che prevedono la nullità di protezione sono comunque norme poste a tutela di interessi pubblici; in particolare, in considerazione del gruppo di appartenenza dei soggetti verso i quali sono rivolte, sono dirette a tutelare con maggiore incidenza parti di fronte a manovre abusive.
Fino ai copiosi interventi comunitari nel settore, soprattutto consumeristico, tali ipotesi erano considerate eccezionali in quanto venivano fatte rientrare nell’alveo dell’annullabilità ovvero della responsabilità precontrattuale, perché si riteneva che la nullità di protezione, proprio per la sua specificità, dovesse essere solo testuale.

Tale orientamento è cambiato; attualmente si ritiene configurabile anche una nullità di protezione virtuale, muovendo dall’assunto che, tenendo conto della materia consumeristica, tale patologia ha assunto sostanzialmente rilievo generale.

È da precisare che la nullità virtuale non trova applicazione laddove la norma violata ha natura meramente comportamentale; in questo caso, la responsabilità che ne conseguirebbe sarebbe quella precontrattuale. Quindi, secondo questa impostazione, la nullità di protezione virtuale può essere riferita solo alle norme sugli atti, ovvero norme che contengono prescrizioni sul contenuto, forma e struttura del contratto, nonché sulla legittimazione a contrarre.

Acquisito il fatto che le nullità di protezione, pur essendo nullità e in quanto tali agiscono in termini generali, sono volte alla tutela dell’interesse particolare della parte debole, il legislatore riconosce in molti casi alla sola parte debole ( consumatore), la legittimazione a far valere tale nullità.

Sul punto, però, vi è chi ritiene che l’art 36 codice consumo potrebbe essere interpretato anche nel senso di conferire legittimazione generale, ciò sulla base dell’assunto che è finalizzato alla tutela non tanto del consumatore, quanto del mercato.

Tale posizione è stata criticata, in quanto si è ritenuto, che tra l’aspetto processuale e quello sostanziale vi deve essere necessaria concatenazione, affinchè l’interesse della parte più debole non subisce condotte di approfittamento della parte più forte. In secondo luogo, non pare dubbio che l’interesse di cui al 36, si riferisca all’interesse del consumatore.

Vi è poi l’ulteriore problema, ovvero se legittimato a far valere la nullità è anche un terzo, il cui interesse è tutelato nel contratto stipulato dalle parti; l’ipotesi è quella della polizza antiinfortunistica stipulata dal datore a favore del lavoratore; è evidente che in questo caso il lavoratore lungi dall’essere terzo ha la legittimazione ad agire.

L’art 36 codice consumo ammette che la nullità di protezione possa essere rilevata d’ufficio anche dal giudice.

È stato opportunamente osservato, che non si tratta di una rilevabilità d’ufficio incondizionata; al contrario è strettamente connessa all’interesse del consumatore.

Con maggior impegno esplicativo, la nullità di protezione, può e deve essere rilevata d’ufficio dal giudice quando da ciò derivi un beneficio per il consumatore; al contrario, non può e non deve esser rilevata d’ufficio quando dalla rilevazione derivi un esito sfavorevole per il consumatore.

Il problema che si è posto in merito alla rilevazione d’ufficio della nullità, è dato dal fatto che il consumatore manifesti la propensione per la conservazione del contratto.

In altri termini, il quesito è, se nei casi in cui opera il meccanismo della nullità parziale con automatica sostituzione della clausola caducata, rilevi o meno la volontà espressa del consumatore.

Secondo parte della dottrina, spetta solo al soggetto protetto la scelta di caducare o mantenere in vita il contratto; altri, invece, ritengono che il giudice, nonostante il consumatore abbia espresso una volontà contraria, possa rilevare d’ufficio la nullità se ritiene che la conservazione del contratto possa risultare lesiva per il consumatore stesso.

La questione, sostanzialmente, verte attorno alla problematica della nullità relativa, della sua configurabilità, nozione e qualificazione.

Tale figura ha da sempre destato forti perplessità in dottrina circa la sua ammissibilità; pur esistendo tutt’oggi forti resistenze in merito, la figura della nullità azionabile da uno solo dei contraenti, similare al regime dell’annullabilità, è oggi ammessa alla luce dei copiosi interventi comunitari in materia consumeristica.

Ferma, quindi, la sua ammissibilità, dubbi sussistono sulla sua nozione e collocazione sistematica.

Per quanto concerne la nozione, negli anni si è assistito all’elaborazione di diverse definizioni.

La tesi oggi prevalente individua tale figura facendo riferimento al fatto che la legittimazione è limitata dalla legge solo a determinati soggetti.

Per quanto riguarda, invece, la sua collocazione all’interno del più ampio genus dell’invalidità, ci sono voci discordanti che affermano che la qualificazione negativa in termini di nullità, non necessariamente esclude la produzione di effetti quando vi è un interesse acchè ciò avvenga.

Tale interpretazione ha suscitato forti polemiche sulla base del’assunto, che il rapporto manifesterebbe così una sua piena vincolatività, condizionata dal potere invalidante e discrezionale posto in essere da una delle parti.

Dottrina tradizionale, invece, parla di inefficacia originaria del negozio relativamente nullo, con possibilità del soggetto legittimato di sanare il vizio; a questo proposito, è stata richiamata la figura della nullità cd sospesa o pendente.

Ferma, comunque, la qualificazione della nullità relativa di protezione come particolare ipotesi della nullità tradizionale, la dottrina si è impegnata nel verificare se il carattere dell’assolutezza comporta il venir meno di altri aspetti propri della disciplina tradizionale, quali, ad esempio, la rilevabilità d’ufficio.

Il dubbio nasce dal fatto, che mentre la nullità classica è coerente con il suo tradizionale perseguimento di interessi generali, le nullità di protezione relative sono, essenzialmente, volte alla tutela di interessi particolari. Da ciò consegue , che nel caso di nullità relativa verrebbe meno il rischio di turbativa dell’ordinato svolgimento del traffico giuridico, considerato fondamento della regola della rilevazione d’ufficio.

Altro argomento di ostacolo alla rilevabilità d’ufficio, sarebbe rappresentato dall’art 112 c.pc.. che nel prevedere che il giudice non può pronunciare d’ufficio eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti, sembra includere anche ipotesi di invalidità azionabili solo ad iniziativa di un contrante.

Tale tesi è stata criticata sulla base dell’assunto, che la norma va interpretata nel senso che il giudice è chiamato a rilevare tutti quei fatti che, avendo prodotto automaticamente i propri effetti, hanno, al momento della pronuncia, influito sull’esistenza del diritto su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi.

La questione della rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, è stata oggetto di recenti indagini anche da parte della giurisprudenza europea.

Sul punto, come già enunciato, si registrano due arresti della Corte di Giustizia europea.

Il primo è del giugno 2009, e fa seguito alle questioni pregiudiziali avanzate da un giudice ungherese in merito all’interpretazione di clausole abusive nei contratti con il consumatore.

La questione sottoposta al vaglio della Corte attiene alla non vincolatività della clausola abusiva, che consegue ad una necessaria impugnativa da parte del consumatore, ovvero se la stessa possa essere rilevata d’ufficio dall’autorità giudicante.

La seconda questione, laddove si opti per la rilevabilità d’ufficio, riguarda se tali poteri devono essere considerati come obbligo o facoltà.

Il secondo arresto giurisprudenziale attiene, invece, alla materia dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali; la normativa europea prevede in questi casi, l’obbligo per il commerciante di comunicare, per iscritto,al consumatore il diritto di sciogliersi dal contratto, entro un termine di almeno sette giorni dal ricevimento dell’informativa, imponendo, inoltre, agli stati membri di approntare misure di tutela appropriate del la parte debole.

Il nodo centrale di entrambe le pronunce è la compatibilità del regime di nullità, generalmente rilevabile d’ufficio, con la caratteristica delle legittimazioni ad agire, limitate solo alle parti interessate, che connotano la materia consumeristica.

La nullità classica, infatti, è concepita come reazione ad un contratto privo dei requisiti codificati dallo stesso legislatore, e ciò, nell’intento di perseguire un interesse generale, che prescinde dalle considerazioni delle posizioni soggettive e dagli interessi in gioco, con una conseguenza demolitoria, salvo i casi eccezionali previsti dal 1419 c.c. Da qui il corollario della rilevabilità d’ufficio.

La nullità di derivazione europea, invece, pone l’accento non tanto sulla fattispecie astratta, sul tipo contrattuale, sulla sua struttura e l’esistenza di elementi costitutivi, ma piuttosto sugli interessi che le parti intendono regolare con il programma contrattuale, rispetto ai quali, il diritto europeo, si pone in una posizione di neutralità.

Si delinea, così, un modello di nullità che è condizionato al tipo di operazione posta in essere, che tiene conto degli assetti coinvolti dalle parti.

Con maggiore impegno esplicativo, la fattispecie pone al centro il regolamento, che diviene il fulcro dei rapporti contrattuali, potendo essere rimodellato, modificato e adattato alle esigenze concrete, purchè volto all’attuazione dell’equilibrio e giustizia sostanziale tra le parti.

La nuova figura di nullità diviene, pertanto, lo strumento ideale per perseguire l’innovativa funzione di protezione della parte più debole, strumento ben lontano dal determinare l’effetto demolitorio proprio della nullità classica.

È evidente che, se nella tradizionale concezione classica della nullità, la nullità parziale assume connotati eccezionali, alla luce delle risultanze della giurisprudenza europea, la parzialità si pone piuttosto come regole e non eccezione, visto che l’attività ermeneutica delle parti ed, eventualmente, del giudice è diretta alla conservazione e non alla demolizione del programma contrattuale.

Tali principi sono stati enunciati anche in altre sentenze; ad esempio, con la sentenza Mostanza Claro, la Corte europea ha introdotto dati significativi in tema di rilevabilità d’ufficio della clausola abusiva.

Partendo, infatti, dall’ assodata facoltà dei giudici nazionali di rilevare d’ufficio le clausole abusive, senza bisogno di attendere l’eccezione della parte debole, per la prima volta la Corte sancì testualmente che tale potere doveva considerarsi un obbligo, perché solo in questo modo è possibile garantire l’effetto utile della tutela, cui mirava un’apposita direttiva.

Con la sentenza Pannon, del giugno 2009, la Corte ha modo di precisare ulteriormente che il giudice non dovrà disapplicare la clausola se il consumatore, dopo essere stato avvisato, afferma che non intende invocare la sua natura abusiva e non vincolante.

Con maggiore impegno esplicativo, il rilievo d’ufficio da parte del giudice della clausola abusiva trova il limite nel potere di autodeterminazione del consumatore di mantenere in vita la clausola abusiva.

Con la successiva sentenza Martin, dicembre 2009, la Corte ritorna sul tema operando un’ulteriore precisazione. La questione verteva, come sinteticamente prima indicato, sulla conclusione di contratti fuori dai locali commerciali; si trattava di verificare la rilevabilità d’ufficio o meno della nullità di un contratto stipulato senza la prescritta normativa in tema di informativa, e successivo diritto di recesso spettante al consumatore.

La Corte di Giustizia afferma che il giudice nazionale, in base alla direttiva, deve dichiarare d’ufficio la nullità del contratto, anche qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti.

La giustificazione è data dal fatto della sussistenza di un pubblico interesse che esige un impulso da parte della stessa autorità giudicante.

L’art 4 della direttiva, evidenzia come l’obbligo di informativa è volto a rimediare il possibile squilibrio informativo che potrebbe nascere tra il professionista e il consumatore.

L’informativa, assume un ruolo centrale nella direttiva, che rappresenta una di quelle ipotesi eccezionali che giustificano l’intervento del giudice nazionale d’ufficio, al fine di ristabilire l’equilibrio.

Ad ogni modo, l’intervento del giudice, ancorchè volto a riequilibrare la situazione sinallagmatica, non potrà prescindere dalla eventuale volontà del contraente debole di non avvalersi della nullità del contratto e di concludere il contratto, prescindendo dall’abusività della clausola stessa.

 

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