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LA TRAGICA EUROPA DELLE PATRIE di Roberto Tamborini-Nel merito.it

 

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La notizia (smentita) che il governo greco sta valutando l'opzione di uscita dall'Unione monetaria è sul tavolo delle cancellerie europee. La crisi libica è un pasticcio in salsa francese e una figuraccia all'amatriciana. Stiamo scivolando nel baratro di miopia, insipienza e irresponsabilità dell'Europa delle Patrie.

 

E' possibile che il ballon d'essai di un ritorno alla dracma, da parte di una ministra greca,  sia "solo" una minaccia da far pesare nella trattativa molto complessa, e sempre più ingarbugliata, tra governo di Atene, governi europei, istituzioni internazionali e lobby finanziarie. La minaccia ha una sua logica. Governi e istituzioni hanno dichiarato di voler scongiurare la rottura dell'UME, se non per amore della Grecia per il timore fondatissimo di una disintegrazione a catena. Però i difensori (a parole?) dell'euro sono indecisi a tutto.

 

L'opzione A è dare alla Grecia tutta la linea di credito a tassi di favore che serve, per tutto il tempo che serve, e con tutta l'ingegneria istituzionale che serve,  per realizzare un piano di risanamento fiscale ed economico di lungo termine. L'opizione B è un piano di ristrutturazione del debito che riduca drasticamente il rischio di default, con compartecipazione delle perdite del settore finanziario privato. I governi e le istituzioni che realmente desiderano difendere l'UME devono solo scegliere per chi vogliono spendere i (tanti) quattrini necessari: direttamente per salvare la Grecia oppure per i rispettivi intermediari finanziari privati. Ma la cacofonia europea è salita al massimo volume, in particolare in terra tedesca. Dal quartier generale di Francoforte la Banca centrale europea è totalmente avversa all'opzione B, mentre Berlino non vuole l'opzione A (non la vuole la mggioranza dell'opinione pubblica e il governo non è in grado di pilotarla). Se è abbastanza chiaro ciò che i vari attori non vogliono, non  è chiaro ciò che vogliono. Tranne, forse, la nuova lobby dei privatizzatori che è emersa negli ultimi tempi tra le pieghe dell'inettitudine delle istituzioni governative: spoliare la Grecia di un congruo ammontare di asset e capitali reali, a copertura delle eventuali perdite sul debito, e poi lasciarla al suo destino.

In questa situazione, l' eurocarità pelosa messa in campo finora è puro spreco di energie politiche, denaro e tempo tre risorse drammaticamente scarse. I denari sono già troppi agli occhi dell'opinione pubblica dei paesi pagatori, mentre sono troppo pochi e troppo costosi rispetto a quanto necessario per l'opzione A. D'altra parte se si voleva abbandonare la Grecia al suo destino, tanto valeva farlo un anno fa, piuttosto che fiaccarla con sacrifici durissimi e destabilizzarla giorno per giorno con le punture velenose delle gazzette popolari tedesche e delle agenzie di rating (la differenza di credibilità, e di ruolo, tra le due fonti informative si è molto assottigliata). L'uscita di scena di Strauss Kahn, per cui qualcuno potrebber aver brindato, ha peggiorato il quadro privando il Fondo monetario del ruolo di global player politico che aveva acquisito dalla personalità del suo Direttore. Il lamento del premier greco  faremo tutti i sacrifici necessari, ma lasciateci in pace per un po'  è del tutto giustificato. Ma, in questa indecente partita, la mossa d'azzardo di Atene potrebbe essere proprio la minaccia di una pesante ristrutturazione del debito, se non il default, e andare a vedere le carte degli altri biscazieri.

 

Sia come sia, le convulsioni intorno alla crisi greca sono solo uno degli episodi che stanno delineando una delle fasi peggiori della storia dell'edificazione europea. E occorre chiamare le cose col loro nome: questa è l'Europa delle Patrie, bellezza. Lo sfaldamento dell'europeismo e il ripiegamento sulle Patrie grandi e piccole, cresciuti passo passo con i venti della globalizzazione e con le paure dell'allargamento, alimentati dai fallimenti dei grandi disegni costituzionali e dallo scollamento crescente tra politiche comunitarie e bisogni dei cittadini, stanno producendo i loro frutti avvelenati. Non si può generalizzare, ma l'epicentro di questi fenomeni è nei paesi con governi di centrodestra. Non è un caso. L'europarola asettica è "metodo intergovernativo". Può voler dire che, laddove non si arriva con reali istituzioni sovranazionali, si cerca di arrivare con negoziati idretti tra i governi nazionali. Oppure che l'Europa diventa l'arena per prove di forza degli interessi nazionali ad uso e consumo dell'elettorato euroscettico o apertamente antieuropeo.

 

Prendiamo l'altro grande fallimento europeo di questi mesi: la crisi libica. Si tratta del pessimo risultato del torneo quadrangolare tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, tutto dentro il campo di gioco del centrodestra europeo. Se ne possono trarre alcune dure lezioni. La prima è che, indipendentemente da chi vince questi tornei, perde l'Europa, cioè noi tutti. Hanno vinto Francia e Gran Bretagna, ma l'Europa tutta paga i prezzi assai salati di un'ennessima attestazione mondiale d'inesistenza politica, di un'avventura militare senza capo né coda, dell'assenza di una strategia politica comune rispetto alla Primavera araba, con le gravi ricadute su capitoli vitali come le fonti energetiche e i flussi migratori.

 

La seconda lezione riguarda il nostro paese. Se c'è una Patria che non ha niente da guadagnare da questo tipo di competizioni muscolari è la nostra. Questa regola fu scolpita nei codici di condotta della nostra diplomazia dopo la Seconda guerra mondiale ed è stata fermamente seguita fino all'ascesa del Piccolo Padre, il quale ha attivamente partecipato alla destrutturazione degli spazi comuni europei, per poi sedersi al tavolo del Risiko delle Grandi Patrie. La sconfitta politica, diplomatica e militare dell'Italia sul fronte libico non è altro che l'esito inevitabile di questa linea di condotta. Solo gli europeisti convinti e coerenti avrebbero il diritto (e dovere) di protestare per il trattamento indegno subìto dall'Italia nella gestione dei flussi migratori (e l'hanno fatto troppo poco, se si esclude, anche in questo frangente, il Presidente Napolitano). Tutti gli altri, governo in testa e suoi sostenitori ideologici e pratici al seguito, dovrebbero avere il pudore di ammettere di aver perso un guerra tutta dentro la logica del conflitto tra interessi e poteri nazionali che essi stessi hanno promosso in questi anni. Non si può rivendicare, magari spudoratamente, di andare per la propria strada quando si tratta di fare affari con un dittatore ex (?) terrosita internazionale, o di ributtare in mare gli immigrati contro ogni legge internazionale, e poi pietire l'aiuto comunitario (sì, è stata usata anche l'odiata parola) quando si è nei guai. La politica della porta chiusa di Francia e Germania è perfettamente nella logica degli interessi nazionali del più forte, ed è la stessa che avrebbe seguito l'Italia di centrodestra a parti invertite. V'immaginate quale piano di condivisione dei flussi migratori avrebbe predisposto il ministro Maroni se la crisi fosse scoppiata in Marocco e l'invasione dei nordafricani l'avesse subita la Spagna (di Zapatero per giunta)?

 

Il vento dell'Europa delle Patrie ha soffiato forte e ancora batte il continente. Per quanto tempo ancora, e con quanti danni? La cattiva politica dei governi condiziona le nostre vite nel breve periodo, ma in democrazia, nel lungo periodo, il nostro destino è nelle nostre mani. La buona politica si organizza, emerge, s'impone se i cittadini di buona volontà hanno la forza e la capacità di farlo, facendo nascere nuove idee e nuove classi dirigenti per portarle avanti. La Primavera araba lo dimostra. Speriamo che cominci a risalire anche a Nord di Lampedusa.

 

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