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Il nuovo caso di mediazione (quasi) obbligatoria per le controversie derivanti dai contratti di fornitura di servizi turistici previsto dall’articolo 67 del decreto legislativo n° 79 del 2011 (codice del turismo)- Visconti Gianfranco-Diritto.it

 

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Fermo quanto stabilito sull’obbligatorietà o meno della mediazione nei commi 1°, 3° e 4° dell’art. 5 del Decreto Legisaltivo n° 28 del 2010 sulla disciplina della mediazione per la conciliazione delle controversie in materia civile e commerciale, il 5° comma dello stesso art. 5 prevede che, se un contratto (ovviamente scritto) oppure uno statuto od un atto costitutivo di un ente (sia società che organizzazione non profit, cioè senza scopo di lucro) contengono una clausola di mediazione o conciliazione per le controversie che da essi possono derivare ed il tentativo non risulta esperito oppure risulta iniziato ma non concluso, il Giudice o l’Arbitro (nel caso di procedimento arbitrale), su eccezione di parte proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda (istanza) di mediazione e fissa la successiva udienza dopo almeno quattro mesi. Se questa eccezione non viene proposta il giudizio od il procedimento arbitrale va avanti normalmente. Le parti possono scegliere liberamente l’organismo di mediazione a cui rivolgersi, anche se l’atto che contiene la clausola di mediazione ne indica un altro. E’, questa, la c.d. mediazione “contrattuale” o “statutaria”.

 

Deroga a questa norma (il 5° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010) il recentissimo 1° comma dell’art. 67 del Decreto Legislativo n° 79 del 2011, il “Codice della normativa statale in materia di turismo”, che ha previsto un caso di mediazione “contrattuale” che non è nella disponibilità delle parti (che, pertanto, non possono, d’accordo tra loro, non svolgerla), dato che il suo esperimento è obbligatorio se esso è previsto da una clausola di un contratto di fornitura di servizi turistici (per esempio, il contratto di vendita di un viaggio organizzato, quello di acquisto dei servizi di una struttura ricettiva o di una multiproprietà, ecc.). Questo contratto deve avere forma scritta e la clausola di mediazione delle controversie che da esso possono derivare deve essere specificamente approvata per iscritto dal turista – consumatore, cioè dall’acquirente e/o, eventualmente, dal cessionario del contratto, come avviene per le clausole contrattuali vessatorie previste dal 2° comma dell’art. 1341 c.c. In questo caso, il procedimento di mediazione costituisce, per il 1° comma dell’art. 67 citato, “condizione di procedibilità della domanda giudiziale o arbitrale”.

 

Sarebbe stato preferibile, a nostro parere, che questa norma avesse previsto che l’esperimento del tentativo di mediazione fosse condizione di procedibilità della domanda giudiziale per tutte le controversie derivanti dai contratti di fornitura di servizi turistici perché, con l’attuale formulazione, essa è solo eventuale (se nel contratto è presente la clausola di mediazione) e limitata ai contratti turistici più importanti per i quali è obbligatoria la forma scritta (per esempio, il contratto di acquisto di un viaggio organizzato o quello di acquisto di una multiproprietà) mentre si ricade sempre nella mediazione volontaria per i contratti turistici di minore portata (per esempio, quello di prenotazione di una camera di albergo), per i quali non è necessaria la forma scritta ma per le cui controversie la mediazione è senz’altro preferibile ad un giudizio civile ordinario.

 

Inoltre, dato che il 1° comma dell’art. 67 non prevede alcuna limitazione, per “contratto di fornitura di servizi turistici” non è da intendersi soltanto quello stipulato fra una impresa turistica ed un consumatore, ma anche fra quest’ultimo ed una organizzazione senza scopo di lucro (per esempio, una associazione) oppure quello stipulato fra due imprese o fra una impresa ed una organizzazione non profit di cui almeno una operante nel settore del turismo che fornisce servizi turistici all’altra (per esempio, un tour operator che acquista la disponibilità delle camere di un albergo dall’impresa ricettiva che gestisce quest’ultimo).

 

Il 2° comma dell’art. 67 è, invece, una norma piuttosto confusa e sostanzialmente inutile che prevede che resta salva la facoltà del turista – consumatore di ricorrere, in caso di controversia derivante da un contratto di fornitura di un servizio turistico, ad altre procedure di negoziazione volontaria o paritetica oppure alla procedura di conciliazione innanzi alle commissioni conciliative delle Camere di Commercio istituite ai sensi dell’art. 2, comma 2°, lettera g) della Legge n° 580 del 1993 (nel testo della norma è citata erroneamente la lettera a del 4° comma, in cui era inserita originariamente questa previsione, ma l’art. 2 è stato modificato dal Decreto Legislativo n° 23 del 2010). Queste commissioni, dopo l’emanazione del Dlgs 28/2010, sono diventate organismi di mediazione, per cui tale norma non ha un significato pratico, così come non serve il fatto che essa ricordi che le parti possono farsi assistere dalle associazioni dei consumatori (cosa scontata, come abbiamo visto nel paragrafo precedente). Così pure non ha senso che la norma dica che la procedura di conciliazione presso le Camere di Commercio sia disciplinata dagli artt. 140 e 141 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice del consumo”) perché ad esa non può che applicarsi la disciplina della mediazione prevista dal Dlgs 28/2010 e dal D.M. 180/2010.

 

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