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Cassazione Penale: è reato pubblicare il numero di cellulare on line senza consenso- (Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 1 giugno 2001, n. 21839)-Filodiritto.it

 

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Che sanzione è comminata dal nostro ordinamento al soggetto che si rende responsabile della pubblicazione su Internet del numero di cellulare di un soggetto che non ha prestato consenso? Il caso di specie è così sintetizzabile: nel corso di un colloquio in una chat line Tizio, utilizzando il nickname che lo identifica, si inserisce in un canale chat privato gestito da Caio, intrattenendo con lo stesso una conversazione virtuale poi degenerata (seguita, in particolare, da una telefonata di insulti rivolti da Tizio a Caio) e diffondendo sulla chat pubblica il numero dell'utenza cellulare di Caio, del quale era venuto in possesso durante quel colloquio. 


La Cassazione ha rigettato il ricorso dell'imputato, confermando sostanzialmente le pronunce di primo e secondo grado che avevano ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 167 della L. 196/03 (diffusione di dati sensibili) e condannato l'imputato alla pena - condizionalmente sospesa - di mesi quattro di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche e con la diminuzione per il rito applicato.

Secondo la Cassazione, in merito al "raggio di azione dell'art. 167 della Legge 196/03", "Ad una semplice lettura della norma punitiva, l’incipit "chiunque" già esclude in radice una interpretazione in senso restrittivo riferita ai destinatari: ma, anche a voler ricollegare l'art. 167 all'art. 4, è evidente che, laddove si parla di persona fisica, ci si intende riferire al soggetto privato in sé considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per così dire, istituzionale, di depositario della tenuta dei dati sensibili e delle loro modalità di utilizzazione all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l'esonerare in modo irragionevole dall'area penale tutti i soggetti privati, così permettendo quella massiccia diffusione di dati personali che il legislatore, invece, tende ad evitare. Può quindi affermarsi senza tema di smentita che l'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitri o pericolose intrusioni. Né la punibilità - in caso di indebita diffusione dei dati - può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.

Nel caso di specie è proprio questo che è accaduto: Tizio, venuto in possesso, peraltro non casualmente come sostenuto dal suo difensore per come è dato leggere dalla sentenza impugnata, di un dato sensibile (numero di utenza cellulare) per essergli stato fornito dal suo interlocutore del momento (Caio), si è determinato a diffonderlo su altri canali con ciò compromettendo la riservatezza del dato che la norma intende salvaguardare. Correttamente la Corte ha individuato il Tizio quale destinatario della norma e soprattutto, ancor più correttamente, la Corte ha ritenuto che quella indebita diffusione del dato costituisca uno dei modi di intendere la nozione di trattamento codificata dalla norma incriminatrice: invero il concetto di trattamento va inteso in senso ampio per come di già lo afferma il legislatore laddove elenca tutta una serie di condotte sintomatiche, non circoscritto quindi ad una raccolta di dati, ma anche - e soprattutto - alla diffusione indebita senza il consenso dell'interessato, del dato acquisito, non importa se casualmente o meno (circostanza che, nel caso di specie, la Corte ha comunque escluso)".

Infine, "Quanto all'elemento danno, è del tutto evidente che non si versa in quella ipotesi di "minimo vulnus all'identità personale del soggetto passivo ed alla sua privacy" in presenza del quale la condotta materiale di tipo diffusivo sarebbe scriminata (in termini Cass. Sez. 3A 28.5.2004 n. 30134, Barone, Rv. 229472), in quanto una diffusione ad ampio raggio, indipendentemente dal tempo più o meno breve di stazionamento del messaggio sulla chat line (tempo, nel caso in esame, non quantificabile per come ricordato dalla Corte territoriale), consente a chiunque di prendere cognizione di numeri telefonici riservati. Ed anzi, l'esigenza che tale evenienza non accadesse traspare ancor più chiaramente riverberandosi quindi sulla esistenza del danno, nella misura in cui si legge che Caio si era recisamente lamentato di intrusioni pubblicitarie sulla sua chat line: segno evidente che detta persona tenesse ad una particolare riservatezza nelle comunicazioni con terzi e che, quindi, una diffusione allargata avrebbe potuto generare altri contatti indesiderati lesivi della privacy".



 

 

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