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La mediazione tra medico e paziente alla luce della recente normativa-La previdenza.it

 

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A cura di Valter Marchetti, avvocato del Foro di Savona, conciliatore professionista

 

1. Premessa

 

Dal 21 marzo 2011 anche la delicata materia dei conflitti tra medico e paziente diviene oggetto dell’istituto della mediazione [1], alla luce dei recenti interventi normativi da parte del legislatore rappresentati dal decreto legislativo n.28 del 4 marzo 2010 nonché dal decreto n.180 del 18 ottobre 2010.

 

Questo significa che medico e paziente, prima di rivolgersi nanti un magistrato, dovranno obbligatoriamente[2] accedere all’istituto della mediazione attraverso un Organismo di conciliazione iscritto regolarmente nel Registro istituito dal Ministero di Giustizia[3], al fine di tentare, appunto, una conciliazione [4].

 

Per mediazione , secondo le disposizioni di cui alla lettera a) dell’art.1 del decreto legislativo n.28/2010, deve intendersi quella “ attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere duo o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sua nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa “.

 

Il mediatore, sempre in base al citato decreto legge, è “ la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo “ [5].

 

2. Il procedimento di “ mediazione sanitaria

 

Premesso che la mediazione in generale è un procedimento che necessita di un tempo talvolta non preventivabile, la sua struttura, anche in ordine ai conflitti sanitari, dovrebbe essere non rigida, bensì modificabile in relazione alle parti coinvolte e alla natura particolare del conflitto.

 

La struttura del procedimento di mediazione sanitaria dovrebbe essere correlata anche all’impostazione di metodo e all’organizzazione del mediatore il quale dovrà cercare di modulare le fasi del procedimento conciliativo sulla base di quelli che sono gli effettivi bisogni delle parti nella fattispecie concreta.

 

Nell’ambito della mediazione sanitaria in particolare, la figura del terzo professionista chiamato a conciliare medico e paziente, dovrà condurre, gestire ed affrontare la mediazione tenendo bene in considerazione non solo i bisogni e gli interessi espressi ma soprattutto quelli più nascosti tra le parole non dette.

 

Diversi studi sono stati portati a termine negli Stati Uniti sullo stato emotivo che caratterizza il conflitto tra medico e paziente, dimostrando come i sentimenti sottesi al conflitto, come la rabbia e lo smarrimento scaturiti dalle situazioni di malpractice vera o presunta, nonché il desiderio di vendetta, costituiscono validi motivi per intraprendere il percorso della mediazione [6].

 

Talvolta, è proprio attraverso la discussione congiunta che medico e paziente riescono, non tanto a parlarsi tra di loro, bensì a comunicare al mediatore il proprio dolore fisico e psicologico, il cambiamento radicale della propria vita, le proprie paure e ansie, i sensi di colpa per gli errorri eventualmente compiuti.

 

Un modello base del procedimento sarà comunque utile al fine di evitare eventuali fenomeni di caos che i conflitti in genere possono comportare, soprattutto quando questi ultimi tendono alla c.d. escalation [7] rischiando di compromettere l’esito della mediazione.

 

Sotto questo ultimo profilo, ad esempio, nella fase introduttiva il mediatore deve cercare di illustrare al meglio alle parti coinvolte i passaggi della mediazione per poi richiamarli alla loro medesima attenzione quando discussione ed emotività prevalgono sugli atteggiamenti costruttivi.

 

Durante il procedimento di mediazione tra medico e paziente, il mediatore può imbattersi in diversi ostacoli sui fatti, dove le parti si ancorano alla propria versione dell’accaduto, alle proprie ragioni.

 

E’ proprio in questo momento che il professionista terzo giuoca un ruolo determinante in quanto deve cercare di “dirottare” medico e paziente verso una ricostruzione condivisa dei fatti [8] .

 

3. Una possibile “struttura di base”: caratteri costitutivi della mediazione sanitaria.

 

La fase introduttiva della mediazione sanitaria deve caratterizzarsi per la sua semplicità espositiva e soprattutto nella capacità del mediatore di adattare la presentazione dell’istituto della mediazione alla tipologia delle parti, al fine di generare fiducia nonché la sensazione di imparzialità e competenza del professionista terzo rispetto alle parti.

 

In particolare, il mediatore, rivolgendosi al paziente e al medico, dovrà loro sottolineare i caratteri della volontarietà, della riservatezza e dell’imparzialità dell’istituto in questione, non trascurando di soffermarsi sull’aspetto delle eventuali sanzioni e dei benefici della mediazione.

 

Medico e paziente sono gli unici veri protagonisti del procedimento conciliativo, il mediatore è “solo” un coordinatore di questo persorso di mediazione, una sorta di navigatore satellitare che ricorda alle parti quale è il tracciato da percorrere per arrivare alla meta della conciliazione, medico e paziente insieme e volontariamente, nonostante i diversi ostacoli che inevitabilmente un conflitto può comportare.

 

4. La determinazione del problema.

 

Già nel primo incontro tra le parti è auspicabile che queste ultime, anche attraverso l’ausilio dei rispettivi avvocati, preferibilmente esperti di procedure conciliative, espongano in maniera chiara le proprie argomentazioni.

 

Il mediatore dovrà applicare in questa delicatissima fase introduttiva, due strumenti fondamentali per arrivare alla determinazione del problema che contrappone il paziente al medico.

 

Il primo strumento è quello della regola della parola e cioè il mediatore dovrà ben evidenziare alle parti che chi sta parlando deve assolutamente essere lasciato nella condizione di poter completare il discorso senza essere interrotto dalla controparte.

 

Il secondo strumento è rappresentato dalla regola dell’ascolto e cioè il mediatore dovrà ascoltare attentamente entrambe le parti, cercando di (ac)cogliere tutti gli aspetti sottesi alle rispettive argomentazioni del paziente e del medico, senza tralasciare nulla.

 

Sotto questo ultimo profilo, anche successivamente allo sfogo di entrambe le parti, il mediatore dovrà/potrà formulare eventuali domande di chiarimento, non tanto per accertare i fatti della controversia, bensì per comprendere quello che è realmente il contesto del conflitto.

 

5. Discussione congiunta e incontri separati tra mediatore e singole parti.

 

Anche nella mediazione tra medico e paziente, compito del mediatore professionista è quello di esplorare le questioni e gli interessi dei soggetti coinvolti, attraverso una loro discussione congiunta, cercando di tenere sempre sotto controllo la struttura e la dinamica del conflitto e, nello stesso tempo, senza sostituirsi alle parti nella decisione che solo queste ultime dovranno maturare e concretizzare in un eventuale accordo.

 

Nella pratica, anche attraverso l’ausilio di meccanismi c.d. di brainstorming [9] nonché mediante quella che è stata battezzata la creatività acritica , il mediatore, senza fretta e soprattutto senza alcun tipo di pregiudizio, dovrà fare molta attenzione alla c.d. gestione del conflitto.

 

E’ importate che il mediatore che si trovi ad operare all’interno del conflitto tra un medico ed un paziente, si eserciti nella generazione acritica di opzioni, rimandando successivante ogni valutazione, incoraggiando ideee che possono apparire stravaganti, promuovendo la quantità delle idee piuttosto che la qualità di queste ultime, evitando in tutti i modi di privilegiare in modo prematuro una soluzione del conflitto.

 

Talvolta, a fronte delle difficoltà conseguenti alla gestione dell’oscillazione tra conflitto ( disordine ) e accordo ( ordine) tra le parti, il mediatore potrà/dovrà ricorrere all’utilizzo delle cc.dd. sessioni separate tra medico e paziente, cercando di intravedere e selezionare le possibili alternative di accordo e di individuare, altresì, la soluzione meglio condivisa tra le stesse parti per poi perfezionarla in modo completo con l’accertamento e la definizione delle eventuali pendenze e/o riserve.

 

Di regola, le informazioni ottenute durante lo svolgimento degli incontri separati, sono riservate a fronte del carattere c.d. della confidenzialità del procedimento di mediazione.

 

Medico e/o paziente potrà autorizzare, con idoneo sostanziale formale consenso, il mediatore a rilevare tutte o alcune delle informazioni relative alle sessioni separate ma il mediatore dovrà porre molta attenzione al rischio della c.d. svalutazione reattiva.

 

Sotto questo ultimo profilo, infatti, occorre considerare che uno dei fattori psicologici che tipicamente si ravvisa nelle negoziazioni è quello della cosiddetta “disistima o svalutazione reattiva” che si ha nel caso in cui una delle parti è troppo accondiscendente o fa delle concessioni.

 

La controparte tende a sottostimare tutto ciò che viene concesso e reso disponibile con eccessiva facilità o gratuitamente. Così allo stesso modo, si tende a dare maggiore importanza a tutto ciò che invece viene negato o reso indisponibile.

 

6. L’arte del domandare.

 

Il mediatore è terzo rispetto alle parti ma, al fine di ampliare la prospettiva su fatti, persone e possibili soluzioni, dovrà invitare medico e paziente al diaologo, attraverso la tecnica delle domande aperte.

 

Ad esempio, ponendosi verso il paziente, il mediatore potrà formulare queste domande: “ vuole provare a raccontarmi quanto le è accaduto? “...Cosa ha provato in quel momento ? “...” Come si sente adesso “...” Cosa desidera di più in questo momento”...Le stesse domande, magari formulate diversamente, possono esser riproposte anche la medico.

 

In linea di massima non esistono delle regole precise di utilizzo delle domande anche se è consigliabile un uso imparziale, preferendo, almeno nella fase introduttiva, le domande c.d. aperte rispetto a quelle chiuse. Queste ultime richiedono sempre una risposta ben determinata ( esempio: si oppure no) e vengono utilizzate soprattutto quando occorre reperire dal medico e dal paziente in conflitto informazioni precise suo fatti accaduti ma anche sulle possibili soluzioni atte a definire il procedimento di mediazione.

 

E’ abbastanza intuitivo il fatto che, talvolta, una domanda chiusa malposta dal mediatore può porre il medico o il paziente in una situazione di disagio o addirittura imbarazzante, mettendo inevitabilmente a rischio l’esito della conciliazione.

 

Il mediatore deve facilitare l’incontro ed il dialogo tra medico e paziente, cercando si superare gli ostacoli inevitabili dell’emotività delle parti, della loro sensibilità personale, al fine di passare da una logica di responsabilità dei fatti ad una logica di responsabilità per la soluzione, valorizzando il positivo di ogni parte.

 

7. La conciliazione tra medico e paziente: la fase conclusiva.

 

La fase conclusiva della mediazione sanitaria è caratterizzata dalla riformulazione delle narrazioni di medico e paziente sotto un profilo completamente diverso, nuovo dove il mediatore deve prestare la massima sensibilità ed attenzione nella scelta dei termini e delle parole da riformulare alle parti.

 

Al termine della discussione congiunta o delle eventuali sessioni separate, infatti, il mediatore dovrà adoperarsi per un riepilogo neutro ed imparziale di tutto ciò che è emerso nel corso del procedimento conciliativo, ripetendo in sintesi quanto è stato raccontato sia dal medico che dal paziente, ponendo molta cura a non rimarcare e comunque a non enfatizzare le espressioni più litigiose e conflittuali emerse dalle esposizioni delle parti.

 

In sostanza il mediatore cercherà di mutare la prospettiva di medico e paziente sul passato, in particolare sui fatti oggetto del conflitto e sulle eventuali colpe delle parti coinvolte, valorizzando invece la dimensione del futuro ed enfatizzando il valore positivo dell’accordo tra medico e paziente.

 

Quanto appena detto, non sempre potrà accadere ed è comprensibile in quanto ogni medico, ogni paziente come del resto anche ogni mediatore, ha una sua storia con proprie caratteristiche peculiari che condizionano inevitabilmente l’istituto della mediazione.

 

Avremo infatti medici e pazienti che, durante il percorso di mediazione, avranno saputo maturare e motivare la conciliazione con la controparte ma potrà anche certamente accadere che medico e paziente sottoscriveranno un accordo solo per chiudere una volta per tutte il procedimento in corso e per non rivedere più l’altra parte.

 

Prima di procedere alla definitiva redazione del verbale contenente l’accordo raggiunto tra medico e paziente, eventualmente anche sulla base della proposta [10] formulata dallo stesso mediatore, con lettura e rilettura dello stesso e conseguente sua sottoscrizione, al termine della riformulazione del conflitto, il mediatore darà nuovamente la parola al medico ed al paziente, anche al fine di eliminare ogni tipo di pendenza e/o riserva tra le parti in ordine alla raggiunta conciliazione.

 

8. Comunicare ancor prima che mediare.

 

Siamo nel c.d. terzo millenio eppure, nonostante i grossi e numerosi progressi dell’arte, della scienza ed in particolare della medicina, persistono nella collettività tutta diverse lacune che vanno ad inficiare la relazione medico – paziente.

 

Non parlo di lacune tecnico- scientifiche, mi riferisco a qualcosa di molto più terra a terra e che non riguarda i numeri, i dati, le statistiche o l’enciclopedia medica: si chiama relazione umana.

 

Pensate quanto è strano, talvolta, il nostro buon Legislatore: quest’ultimo pensa all’istituto della mediazione da applicare in ambito di responsabilità medica, obbligando il paziente a confrontarsi con il medico che ha sbagliato prima di rivolgersi, eventualmente, davanti ad un giudice.

 

Mi viene da dire se questo confronto, questo ipotetico dialogo tra medico e paziente non possa scaturire e comunque essere ricercato ben prima di un eventuale ipotetico errore professionale e quindi ancor prima di una eventuale seduta conciliativa, imposta dal Legislatore prima di azionare il giudice competente.

 

Dalle esperienze professionali del sottoscritto nonché dal confronto con altri colleghi è emerso un dato pressoché costante che voglio condividere in questa sede e cioè che una condotta medico sanitaria caratterizzata da negligenza, imprudenza e/o imperizia, in diversi casi, è accompagnata dall’assenza ( o comunque insufficiente) di relazione tra medico e paziente sottoposto alle cure del caso.

 

In un gran numero di casi infatti, nel c.d. contatto sociale tra medico e paziente cioè, manca il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco e le cure e l’attività medico sanitaria in generale è mirata esclusivamente alla cura della malattia senza considerare la personalità, il carattere, i sentimenti e le aspettative del paziente.

 

Perché mai un paziente o, nella peggiore delle ipotesi i suoi familiari, dovrebbero sedersi attorno ad un tavolo per conciliare, attraverso la figura di un terzo, con il medico che ha commesso un errore e che comunque, ancor prima di compiere quell’errore, non ha voluto o saputo relazionarsi con lo stesso paziente e/o i familiari diel medesimo ?!

 

Viene allora da chiedersi se “ comunicare non è meglio che mediare “ nel senso che ogni medico dovrebbe, per sua costituzione e vocazione professionale, improntare ogni singola condotta rivolta al paziente sulla base di una effettiva relazione e comunicazione con questo ultimo, ancor prima di intraprendere qualsiasi cura specifica della malattia [11].

 

Come osservato dallo studioso prof. Luigi Caterino, “ l’abilità del medico di comunicare in modo efficace con il paziente determina l’intensità della relazione, influenza il livello di motivazione del paziente a star meglio, contribusce a far sì che il paziente aderisca al trattamento e aumenta il livello di soddisfazione di entrambi, medico e paziente “ [12].

 

9. La “Carta di Firenze”.

 

Condivisione delle responsabilità e libertà di critica, corretta informazione, chiara comprensione dei benefici e dei rischi sono solo alcuni dei principi costitutivi della “ Carta di Firenze “, un documento composto di soli, ma importanti ed essenziali , quindici articoli nato sul presupposto che è davvero necessario un nuovo codice di comportamento e di comunicazione tra medico e paziente.

 

Per esteso si riportano di seguito i quindici articoli della “Carta di Firenze “.

 

1) La relazione fra l’operatore sanitario e il paziente deve essere tale da garantire l’autonomia delle scelte della persona.

 

2) Il rapporto è paritetico: non deve, perciò, essere influenzato dalla disparità di conoscenze (comanda chi detiene il sapere medico, obbedisce chi ne è sprovvisto) ma improntato alla condivisione delle responsabilità e alla libertà di critica.

 

3) L’alleanza diagnostico/terapeutica si fonda sul riconoscimento delle rispettive conoscenze e si basa sulla lealtà reciproca, su un’informazione onesta e sul rispetto dei valori della persona.

 

4) La corretta informazione contribuisce a garantire la relazione, ad assicurarne la continuità ed è elemento indispensabile per l’autonomia delle scelte del paziente

 

5) Il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura.

 

6) Una corretta informazione esige un linguaggio chiaro condiviso. Deve, inoltre, essere accessibile, comprensibile, attendibile, accurata, completa, basata sulle prove di efficacia, credibile e utile ( orientata alla decisione ). Non deve essere discriminata in base all’età,al sesso, al gruppo etnico, alla religione, nel rispetto delle preferenze del paziente

 

7) La chiara comprensione dei benefici e dei rischi (effetti negativi) è essenziale per le scelte del paziente, sia per la prescrizione di farmaci o di altre terapie nella pratica clinica, sia per il suo ingresso in una sperimentazione.

 

8) La dichiarazione su eventuali conflitti di interesse commerciali od organizzativi deve far parte dell’informazione.

 

9) L’ informazione sulle alternative terapeutiche, sulla disuguaglianza dell’ offerta dei servizi e sulle migliori opportunità diagnostiche terapeutiche è fondamentale e favorisce, nei limiti del possibile, l’esercizio della libera scelta del paziente.

 

10) Il medico con umanità comunica la diagnosi e la prognosi in maniera completa, nel rispetto delle volontà, dei valori e delle preferenze del paziente..

 

11) Ogni scelta diagnostica o terapeutica deve essere basata sul consenso consapevole. Solo per la persona incapace la scelta viene espressa anche da chi se ne prende cura.

 

12) Il medico si impegna a rispettare la libera scelta dell’ individuo anche quando questa sia in contrasto con la propria e anche quando ne derivi un obiettivo pregiudizio per la salute o, perfino, per la vita del paziente. La continuità della relazione viene garantita anche in questa circostanza.

 

13) Le direttive anticipate che l’individuo esprime sui trattamenti ai quali potrebbe essere sottoposto qualora non fosse più capace di scelte consapevoli, sono vincolanti per il medico.

 

14) La comunicazione multidisciplinare fra tutti i professionisti della Sanità è efficace quando fornisce un’ informazione coerente e univoca. I dati clinici e l’informazione relativa alla diagnosi, alla prognosi e alla fase della malattia del paziente devono circolare fra i curanti. Gli stessi criteri si applicano alla sperimentazione clinica.

 

15) La formazione alla comunicazione e all’informazione deve essere inserita nell’educazione di base e permanente dei professionisti della Sanità.

 

10. Conclusioni.

 

Il documento studiato e siglato da diversi importanti medici specialisti di tutta Italia porta nel suo grembo quelli che dovrebbero essere i pilastri del contatto sociale tra medico e paziente: una corretta informazione basata su un linguaggio chiaro e condiviso; una informazione che sia accessibile, comprensibile, attendibile, accurata, completa oltre che basata sulle prove di efficacia, credibile e utile nonché orientata alla decisione...Una informazione, quella che intercorre tra medico e paziente, che non deve essere discriminata in base all’età,al sesso, al gruppo etnico, alla religione, e che si attui nel rispetto delle preferenze del paziente.

 

La “Carta di Firenze “, conclude affermando il seguente principio, rimasto ad oggi lettera morta: la formazione alla comunicazione e all’informazione deve essere inserita nell’educazione di base e permanente dei professionisti della Sanità.

 

E’ davvero straordinaria l’estensione dell’art.5 della “Carta di Firenze”: “ il tempo dedicato all’informazione , alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura “ !!

 

E proprio la relazione tra medico e paziente deve essere paritetica, non deve quindi essere influenzata dalla disparità di conoscenze, bensì deve essere improntata alla condivisione delle responsabilità e alla libertà critica.

 

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