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Prima sentenza a favore del dipendente nel pubblico impiego-Revoca del part-time, Collegato lavoro in contrasto con la direttiva UE- (Ordinanza Tribunale TRENTO 04/05/2011)-Ipsoa.it

 

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di Federico Gavioli

Il Collegato lavoro nel consentire al datore di lavoro pubblico di trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, anche contro la volontà  del lavoratore, si pone in contrasto con la direttiva europea (dir. 15 dicembre 1997, n.97/81/CE), in quanto discrimina il lavoratore a part-time che, a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata della prestazione di lavoro

 

In tema di modifica del part-time nella pubblica amministrazione, dopo le novità introdotte dalla legge n. 183 del 4 novembre 2010, riveste particolare importanza la recentissima ordinanza del Tribunale di Trento, sezione lavoro, che di fatto ha accolto il ricorso di una dipendente pubblica che era ricorsa avverso due provvedimenti , uno ministeriale , e uno del proprio dirigente del Tribunale dove lavorava, che le avevano revocato l’istituto del part-time.

 

Si ricorda brevemente che la citata legge n. 183 del 4 novembre 2010 , dopo un lungo dibattito parlamentare, ha previsto tra le altre disposizioni in materia di lavoro, all’articolo 16, che “In sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall’articolo 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008″.

 

L'articolo 73 del decreto legge aveva dettato nuove e più stringenti disposizioni in materia di part-time nel pubblico impiego, prevedendo, in particolare, il rigetto delle istanze in tutti i casi in cui la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale possa determinare, in relazione alle mansioni ed alla posizione organizzativa ricoperta dai singoli dipendenti, un pregiudizio alla funzionalità dell'Amministrazione. Si è trattato di una profonda innovazione in quanto la normativa precedente non consentiva il rifiuto della richiesta del part-time ma solo il differimento del suo inizio fino a sei mesi e ciò nei casi in cui la trasformazione del rapporto di lavoro avesse determinato un grave pregiudizio all'attività dell'ufficio.

 

L'articolo 16 della legge, di conversione consente ora alle pubbliche amministrazioni di riesaminare, alla luce dei più stringenti criteri previsti dal citato articolo 73, tutti i rapporti di lavoro trasformati in epoche precedenti all'entrata in vigore del decreto-legge 112/2008. Si tratta degli atti adottati prima del 25 giugno 2008. Tale facoltà deve essere esercitata entro centottanta giorni dall'entrata in vigore (24 novembre 2010) della citata legge 183/2010.

 

Il caso

 

La vicenda presa in esame dal giudice di prime cure riguarda una funzionaria di un Tribunale di Trento, del Ministero della Giustizia, che era a part-time dal 2000; tale funzionaria aveva subito due provvedimenti, uno del Ministero del febbraio 2011 e uno del dirigente amministrativo del Tribunale di Trento del marzo 2011, con i quali era disposto la trasformazione del suo rapporto lavorativo a part-time con un nuovo orario a tempo pieno.

 

L’analisi del giudice

 

Il giudice del Lavoro evidenzia, nella sentenza in commento, che dopo oltre 10 anni di prestazione lavorativa a tempo parziale, l’improvvisa trasformazione in lavoro a tempo pieno, avrebbe modificato irreparabilmente la vita privata della lavoratrice “arrecandole danni non riparabili per equivalente”; ecco perché ha ritenuto sussistente il primo requisito del ricorso presentato dalla dipendente pubblica.

 

Per quanto riguarda il fumus boni iuris, invero, il Tribunale non ha del tutto condiviso le doglianze della funzionaria sulla mancanza della “buona fede e correttezza” (principi previsti dall’art. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183) per non aver ricevuto preavviso della trasformazione e per non aver tenuto conto delle esigenze di vita, poiché agli atti risultava emessa una nota del 22 novembre 2011, del Dirigente amministrativo del Tribunale, in cui si chiedeva “a tutti i lavoratori part-time di esporre le situazioni personali che potessero giustificare il mantenimento di tale ridotto orario di lavoro”.

 

Sotto questo profilo, secondo il giudice di primo grado, dunque la “correttezza” non era stata lesa. Tuttavia l’aspetto molto importante della sentenza del giudice del Lavoro è quella dove viene precisato che l’articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183, nel consentire al datore di lavoro pubblico di trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore, si ponga in insanabile contrasto con la direttiva europea (dir. 15 dicembre 1997, n.97/81/CE), in quanto una norma nazionale “sifatta discrimina il lavoratore a part-time, il quale, a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata della prestazione di lavoro; non contribuisce certo allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori, atteso che il lavoratore part-time sarebbe soggetto al rischio di vedersi trasformare il rapporto in lavoro a tempo pieno, anche contro la propria volontà, con evidente grave pregiudizio alle proprie esigenze personali e familiari.

 

La norma nazionale, infine, contrasta con quella parte della direttiva che impone la presenza del consenso del lavoratore in caso di trasformazione del rapporto”. Per il giudice del Lavoro, quindi, l’articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183, confliggendo con la direttiva 15.12.1997, n. 97/81/CE, deve essere disapplicato.

 

Per tale motivo il giudice del Lavoro accoglie il ricorso della dipendente pubblica e annulla il provvedimento ministeriale e quello del dirigente amministrativo di revoca del part-time dove la stessa dipendente lavora.

 

Riflessi della sentenza

 

Per il profilo che assume si tratta di una sentenza dirompente, che si pone come battistrada nella battaglia che molti lavoratori del pubblico impiego hanno intrapreso o stanno intraprendendo in difesa dei propri diritti. Nello specifico, dalla lettura della sentenza, si coglie come la norma “incriminata” si ponga in evidente contrasto con i contenuti della direttiva comunitaria n. 97/81 del 15 dicembre 1997 concernente il lavoro a tempo parziale, rappresentando una rilevante condanna per il legislatore che l’ha approvato , probabilmente, con molta superficialità.

 

 

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