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CRIMINE ORGANIZZATO, UNA ZAVORRA ALLA CRESCITA di Michele Polo –La Vovce.info

 

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La presenza pervasiva del crimine organizzato in alcune regioni meridionali è storicamente consolidata, fino a diffondersi negli ultimi anni anche nelle aree più sviluppate. Con importanti conseguenze sullo sviluppo economico ed effetti di contaminazione tra attività lecite e illecite, attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle imprese criminali. Si falsa così il gioco concorrenziale e il costo della legalità mette fuori mercato le aziende tradizionali. Sabato 28 l'autore discute questo tema a Napoli in una giornata organizzata in anticipazione del Festival dell'Economia di Trento.

Locandina inglese del film di Matteo Garrone "Gomorra"

 

 

 

La presenza pervasiva e storicamente consolidata del crimine organizzato in alcune regioni meridionali e l’espansione di queste realtà in anni recenti anche nelle regioni più sviluppate è una triste peculiarità del nostro paese. Meno noti e indagati, tuttavia, sono gli effetti di questo radicamento sullo sviluppo dell’economia in quelle aree e gli effetti di contaminazione che dalle attività illecite si ramificano anche in segmenti e imprese del tutto lecite attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle attività criminali.

 

UNO STUDIO SU PUGLIA E BASILICATA

 

Un recente studio di Paolo Pinotti del Servizio Studi della Banca d’Italia ha provato a colmare questo vuoto informativo proponendo una metodologia e stimando i costi della presenza criminale in termini di mancata crescita di due regioni meridionali, Puglia e Basilicata. (1)

Nelle due aree fino agli inizi degli anni Settanta le organizzazioni criminali, storicamente insediate nelle regioni limitrofe della Campania (camorra), Calabria (‘ndrangheta) e Sicilia (mafia), non avevano una presenza significativa, come testimoniato da numerosi indicatori relativi ai crimini contro la persona e la proprietà. Il riposizionamento dei flussi del contrabbando attraverso i Balcani, la presenza di numerosi criminali in soggiorno obbligato e, per la Basilicata, i fondi per la ricostruzione del terremoto del 1980 hanno portato a una progressiva espansione delle organizzazioni criminali, costituitesi in forma autonoma in Puglia (sacra corona unita).   

Il brusco passaggio da una fase di sviluppo nella quale la presenza del crimine organizzato non giocava un ruolo a quella successiva caratterizzata da una progressiva espansione delle attività illecite offre la possibilità di verificare l’impatto di questi ultimi fenomeni sui tassi di crescita regionale. Viene quindi costruito, utilizzando una metodologia già impiegata per stimare i costi di situazioni di conflitto locale (2), un indicatore del Pil pro-capite medio delle altre regioni italiane (escludendo, oltre a Puglia e Basilicata, anche Sicilia, Campania e Calabria nelle quali la presenza del crimine organizzato era sistemica anche negli anni Cinquanta e Sessanta) in cui i pesi minimizzano la differenza di crescita tra Puglia e Basilicata e le altre regioni guardando a una serie di indicatori riferiti alle principali determinanti dello sviluppo. Si ottiene così un indicatore del reddito pro-capite basato sull’evoluzione delle altre regioni e capace di ben approssimare l’analogo sentiero di crescita di Puglia e Basilicata fino agli anni Settanta. Lo stesso indicatore evidenzia invece una progressiva divergenza di andamento dopo la metà degli anni Settanta, con un ritardo cumulato di oltre 20 punti percentuali nel reddito pro-capite di Puglia e Basilicata rispetto alla corrispondente evoluzione dell’indicatore benchmark. Il gap persiste e risulta robusto controllando anche per altri indicatori potenzialmente in grado di spiegare il divario dei sentieri di crescita.

Lo studio permette quindi di associare una stima quantitativa, e un gap di crescita estremamente significativo, alla congettura secondo cui uno dei fattori che storicamente spiegano il ritardo delle regioni meridionali sia da collegare alla presenza pervasiva e radicata sul territorio delle organizzazioni criminali. I canali attraverso cui l’impatto negativo può manifestarsi sono molteplici. In primo luogo, la presenza pervasiva delle organizzazioni criminali comporta un progressivo indebolimento dei diritti di proprietà, minacciati ad esempio dal fenomeno dell’estorsione, o dalle pressioni violente perché una impresa ceda alle richieste e ai favori di concorrenti collegati al crimine. Un quadro nel quale una impresa può subire dei veri e propri processi di espropriazione del proprio reddito genera effetti negativi sugli incentivi a investire e a sviluppare le proprie attività.

 

IL COSTO DELLA LEGALITÀ

 

Il reinvestimento dei proventi dalle attività criminali in settori legali segue percorsi che numerosi studi e indagini della magistratura hanno confermato, individuando alcune attività particolarmente esposte a queste dinamiche. In primo luogo l’edilizia, in particolare nel movimento terra e nelle forniture di materiali, nelle quali le imprese collegate alle cosche possono espandersi imponendo i propri servizi in subappalto, o direttamente competendo nelle gare. Il commercio all’ingrosso, che funge anche da canale di distribuzione di prodotti non in regola con le norme sanitarie e di prodotto, e sfrutta la logistica per trasportare assieme prodotti alimentari e prodotti dei traffici illeciti. Il commercio al dettaglio, gli esercizi di ristorazione, il turismo. Insomma, una serie di aree di attività importanti nell’economia della regione che divengono terra di espansione delle organizzazioni criminali a svantaggio delle imprese legali. E che, per il basso grado di trasparenza che in molte di queste attività si osserva, consentono anche il riciclaggio dei proventi illeciti.

In questi processi di espansione le imprese collegate alle organizzazioni criminali godono di forti vantaggi competitivi, essendo in grado di accedere alla enorme liquidità delle attività illecite, di prendere il controllo delle imprese concorrenti attraverso la pratica dell’usura, di utilizzare i fondi illeciti per manipolare gli appalti e condizionare le istituzioni politiche e amministrative, praticando in modo sistematico l’evasione fiscale, delle normative sul lavoro e sull’ambiente e potendo godere di uno strumento di competizione estremamente convincente come l’uso della violenza. La diffusione di questi fenomeni nell’area campana, ad esempio, è testimoniata in termini quantitativi nella ricerca recentemente condotta dalla Fondazione Chinnici sull’estorsione a Napoli e Caserta. (3) Quando la presenza diviene pervasiva, come oggi si osserva nelle regioni meridionali, ma ad esempio anche in alcune aree della Lombardia e della Liguria, il gioco concorrenziale viene completamente falsato e le imprese tradizionali iniziano ad avvertire un “costo della legalità” che le mette fuori mercato rispetto ai concorrenti. Fenomeni di contiguità, opportunismo e accomodamento, in cui l’imprenditore non vede e non chiede, sono testimoniati in molte inchieste della magistratura, non ultima quella che ha indagato la progressiva monopolizzazione delle attività di movimento terra nell’area del sud-ovest milanese da parte delle ‘ndrine dei comuni dell’hinterland.

Inoltre, la capacità di pressione delle organizzazioni criminali è particolarmente efficace in quelle attività che sono intermediate dalla pubblica amministrazione, resa connivente dal bastone della violenza e dalla carota della corruzione, e nei cui confronti il controllo dei voti rappresenta un ulteriore elemento di scambio. I processi di espansione in questi segmenti dell’economia legale, quindi, comportano una diffusione di pratiche di corruzione e di decadimento del personale politico, che ulteriormente limitano le possibilità di crescita delle economie locali. Anche in questo caso le inchieste della magistratura restituiscono un quadro di pervasiva corruzione nelle amministrazioni locali, con una frequenza non dissimile se guardiamo ai comuni dell’area napoletana o a una cittadina della Brianza come Desio.

Il “costo della legalità“ appare come l’elemento più pericoloso nell’evoluzione delle economie locali in presenza del crimine organizzato, poiché comporta un arretramento sistematico nel rispetto delle norme e dei regolamenti che governano le attività economiche e il diffondersi di una legalità debole entro la quale gli operatori economici si spostano. Con l’indebolimento ulteriore dei meccanismi concorrenziali e di mercato. Le inchieste siciliana e campana sull’estorsione promosse in questi anni dalla Fondazione Chinnici hanno dimostrato come le prime vittime dell’estorsione sono proprio le attività economiche nella sfera della legalità debole, che preferiscono pagare il pizzo piuttosto che denunciarlo, attirando la Guardia di finanza in casa a controllare i libri contabili. E l’omertà degli imprenditori lombardi taglieggiati dalle cosche emersa nelle recenti inchieste della Dda di Milano non lasciano ben sperare.

 

OLTRE LA REPRESSIONE

 

Quali indicazioni di policy si possono dare per contrastare questi fenomeni? In primo luogo, esiste ampia evidenza sulla forte correlazione tra risorse dedicate a indagini e accertamenti e risultati ottenuti. L’andamento ciclico delle inchieste milanesi sulla presenza della ‘ndrangheta hanno registrato successi quando sono state potenziate forze dell’ordine e magistrati e arretramenti nelle fasi di allentamento dell’impegno. Ma l’opera di repressione, per sua natura puntuale, non può sostituire altre forme di argine alla diffusione della presenza criminale. Il problema è ancora una volta di esternalità: l’imprenditore individualmente può trovare conveniente accettare la collusione con le organizzazioni criminali, contribuendo tuttavia a generare un decadimento del tessuto economico e sociale. Alle esternalità possono in parte fare da argine le azioni coordinate delle associazioni di categoria, come l’esperienza antiracket di Confindustria Sicilia ha testimoniato. Così come un importante antidoto si crea con la formazione e l’informazione presso l’opinione pubblica. Sapendo che il rispetto delle regole e della legalità non è solamente una battaglia civile, ma uno dei fronti su cui le possibilità di crescita del paese si giocano.

 

(1)Paolo Pinotti, 2010, I costi economici della criminalità organizzata,

(2)Abadie A e J. Gardeazabal (2003) “The Economic Cost of Conflicts: a Case Study of the Basque Country”, American Economic Review, 93: 113-32.

(3)Di Gennaro e La Spina (eds.), I costi dell’illegalità, Camorra ed estorsioni in Campania, Bologna, Il Mulino 2010.

 

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