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Sentenza Koller C-118/09: Non c'e' trucco, non c'e' inganno, ma soprattutto non c'e' abuso: la via spagnola è legittima.- Luca Cortese-Diritto su web.it

 

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 Dopo quasi un decennio di legittimo esercizio del diritto alla libera circolazione da parte di cittadini dell'Unione Europea laureati in giurisprudenza in Italia che, al fine di arricchire il proprio bagaglio formativo e professionale, hanno svolto un ciclo di studi in diritto Spagnolo, presso università iberiche, nel Gennaio 2009, l'emanazione della Sentenza Cavallera ( C-311/06 ), indusse le autorità Italiane a porre improvvisamente quanto inspiegabilmente, un freno all'esercizio di tale diritto, ostacolando illecitamente l'applicazione della direttiva 2005/36 sul reciproco riconoscimento dei diplomi, nonchè della direttiva 98/5 sulla libertà di stabilimento degli avvocati comunitari.

a) Dalla Sentenza Cavallera ( C-311/06 ) al Parere C.N.F. n. 17/2009
Il C.N.F. con parere 17/2009, rispondendo ad esplicita domanda formulata da alcuni C.O.A. esprimeva considerazioni sul da farsi in merito ai laureati in giurisprudenza in possesso di titolo professionale abilitante all'esercizio della professione forense ottenuto in altro Stato Membro che chiedessero l'iscrizione ai sensi della direttiva 98/5.

Tale parere fu inequivocabilmente fondato sulla sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri vs Cavallera ( C-311/06 ), citata a più riprese nel medesimo, in base alla quale il certificato di omologazione del titolo Italiano del Sig. Cavallera al corrispondente Spagnolo ( in virtù del quale Cavallera ottenne l'iscrizione all'albo Spagnolo degli ingegneri, e poi, presentando il certificato d'iscrizione all'albo Spagnolo, ottenne l'iscrizione all'albo Italiano ai sensi della direttiva 89/48 ) in quanto rilasciato dal "Ministerio de Educacion" in base ad una vecchia normativa, oggi abrogata, che permise un riconoscimento meramente "burocratico" delle qualifiche Italiane, cioè non fondato "ne su un esame ne su un'esperienza professionale" non deve ritenersi un diploma ai sensi dell'art. 1 lett a) della direttiva 89/48, il che implica la non invocabilità della direttiva 89/48 ai fini dell'esercizio della professione di Ingegnere in Italia. Recitano infatti, le motivazioni Corte di Giustizia nella sentenza C-311/06:

44 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
possano   invocarsi  le  disposizioni  della   direttiva  89/48  per  accedere  ad  una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un'autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su un esame né su un'esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.

45 Per poter risolvere tale questione, occorre esaminare se il riconoscimento di un titolo come quello oggetto della causa principale ricada nella sfera di applicazione della direttiva 89/48.

46 Con riserva delle disposizioni di cui all'art. 4 della direttiva 89/48, l'art. 3,
primo comma, lett. a), della direttiva medesima conferisce ad ogni richiedente che sia titolare di un «diploma», ai sensi della stessa direttiva, che gli consente di esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro, il diritto di esercitare la medesima professione in ogni altro Stato membro. La nozione di «diploma», definita dall'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, costituisce pertanto la chiave di volta del sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore previsti dalla stessa direttiva.

47 Quanto alle qualifiche che fa valere il sig. Cavallera, occorre ricordare,
anzitutto, che il «diploma», ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, può essere costituito da un insieme di titoli.

48 Il requisito previsto dall'art. 1, lett. a), primo trattino , della direttiva 89/48, poi, è soddisfatto per quanto riguarda i titoli che fa valere il sig. Cavallera, atteso che ciascuno   di  tali  titoli  è  stato  rilasciato   da  un'autorità  competente,   designata conformemente alle disposizioni normative, rispettivamente, Italiane e spagnole.

49 Per quanto riguarda il requisito previsto dall'art. 1, lett. a), secondo trattino, della   direttiva  89/48,  dagli  atti  trasmessi  alla  Corte  risulta  manifesto  che  il sig. Cavallera soddisfaceva la condizione secondo cui il titolare deve aver seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di una durata minima di tre anni in un'università. Tale circostanza, infatti, è espressamente attestata dal titolo di studi rilasciato all'interessato dall'Università di Torino.

50 Per quanto riguarda, peraltro, il requisito previsto dall'art. 1, lett. a), terzo trattino, della direttiva 89/48, dal certificato di omologazione redatto dal Ministero dell'Educazione e delle Scienze risulta che il sig. Cavallera è in possesso delle qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in Spagna. Anche a voler ritenere che tale elemento non risulti espressamente da detto certificato, esso  si evince chiaramente dall'iscrizione del sig.  Cavallera all'albo dell'ordine professionale competente in Spagna.

51 Resta da chiarire se, atteso che il certificato di omologazione di cui fa stato il sig. Cavallera non sanziona alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione spagnolo e non si fonda né su di un esame né su di un'esperienza professionale acquisita  in  Spagna,  l'insieme  dei  titoli  in  suo  possesso  può  tuttavia  essere considerato come un «diploma» ai sensi della direttiva 89/48 ovvero può essere assimilato a un diploma siffatto in forza dell'art. 1, lett. a), secondo comma, della direttiva 89/48.

52 In tale contesto, non possono essere accolti gli argomenti dedotti dal
Consiglio Nazionale degli Ingegneri nonché dai governi Italiano ed austriaco, fondati sul tenore letterale di talune versioni linguistiche della direttiva 89/48, che divergono puntualmente, come si è rilevato ai punti 7, 9, 11 e 12 della presente sentenza, da quelli delle altre versioni linguistiche nel menzionare i termini «altro Stato membro» laddove   la   maggioranza   delle   versioni   linguistiche   contiene   semplicemente l'indicazione delle espressioni «Stato membro» o «Stato membro ospitante».

53 A tale riguardo, infatti, risulta da costante giurisprudenza che la necessità di applicare e, quindi, di interpretare il diritto comunitario in modo uniforme esclude che, in caso  di dubbio, il testo  di una  disposizione possa essere considerato isolatamente in una delle sue versioni, ma esige, al contrario, che esso sia interpretato ed applicato  alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, Racc. pag. 419, punto 3; 2 aprile 1998, causa C-296/95,  EMU Tabac e a.,  Racc.  pag. I-1605, punto 36, e 9 marzo 2006, causa C-174/05, Zuid-Hollandse Milieufederatie e Natuur en Milieu, Racc. pag. I-2443, punto 20).

54 Peraltro, se è pur vero che si è statuito che la direttiva 89/48 non contiene alcuna limitazione per quanto riguarda lo Stato membro in cui un richiedente deve aver acquisito le sue qualifiche professionali (sentenze 23 ottobre 2008, causa C-274/05, Commissione/Grecia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28, e causa   C-286/06,   Commissione/Spagna,   non   ancora   pubblicata   nella   Raccolta,
punto 62), tale giurisprudenza pone tuttavia una distinzione tra il luogo geografico in cui si svolge una formazione e il sistema di istruzione di cui essa fa parte. Infatti, in tali sentenze, gli interessati avevano seguito formazioni previste da un sistema di istruzione diverso da quello dello Stato membro in cui intendevano avvalersi delle loro qualifiche professionali.

55 La direttiva 89/48 mira a sopprimere gli ostacoli all'esercizio di una
professione in uno Stato membro diverso da quello che ha rilasciato il titolo che attribuisce   le   qualifiche   professionali   in   oggetto.   Dal   primo,   terzo   e   quinto 'considerando'  di detta  direttiva risulta che  un titolo che sancisca formazioni professionali non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della stessa direttiva in assenza dell'acquisizione, totale o parziale, delle qualifiche nel contesto del sistema dell'istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il titolo de quo. La Corte ha peraltro già avuto modo di sottolineare che un titolo facilita l'accesso ad una professione ovvero il suo esercizio in quanto attesti il possesso di una qualifica supplementare (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663,   punti 18-23,   e  9  settembre  2003,   causa   C-285/01,   Burbaud,   Racc. pag. I-8219, punti 47-53).

56 Orbene,     l'omologazione     spagnola     non     attesta     alcuna     qualifica supplementare. Al riguardo, né l'omologazione né l'iscrizione all'albo di uno dei «colegios de ingenieros técnicos industriales» di Catalogna si sono fondate sulla verifica delle qualifiche o delle esperienze professionali acquisite dal sig. Cavallera.

57 Accettare, in tale contesto, che la direttiva 89/48 possa essere invocata al fine di beneficiare dell'accesso alla professione regolamentata nella causa principale in  Italia  si  risolverebbe  nel  consentire  ad  un  soggetto  che  abbia  conseguito esclusivamente un titolo rilasciato da tale Stato membro che, di per sé, non dà accesso a detta professione regolamentata di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di  omologazione  conseguito  in  Spagna  attesti  una  qualifica  supplementare   o un'esperienza professionale.  Un siffatto risultato  sarebbe contrario  al principio sancito dalla direttiva 89/48, ed enunciato al suo quinto 'considerando', secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio.

58 Dall'insieme delle suesposte considerazioni risulta che l'art 1, lett. a), della direttiva 89/48 deve essere interpretato nel senso che la definizione della nozione di «diploma» che esso prevede non include il titolo rilasciato da uno Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un'esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.

59 Di conseguenza, la prima questione deve essere risolta nel senso che le
disposizioni della direttiva 89/48 non possono essere invocate, al fine di accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un'autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un'esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.

Specificamente, il CNF, in linea con quanto stabilito nella sentenza Consiglio nazionale degli ingegneri vs Cavallera ( C-311/06 ) nel proprio parere n. 17/2009, ha affermato quanto segue:

"4. L'esito interpretativo della sentenza in parola va, dunque, nel senso di escludere la possibilità di iscrivere negli albi professionali soggetti i quali, nel corso di una duplice procedura di riconoscimento di titoli di studio e titoli professionali, non abbiano in realtà aumentato la propria formazione accademica nè abbiano acquisito esperienza nello svolgimento di attività professionale all'estero. Pertanto l'esame di casi di questo tipo andrà condotto considerando in concreto l'aumento del livello formativo o professionale dell'interessato: ove sia constatata la mancanza di qualsiasi sostanziale incremento di tale patrimonio nel corso delle diverse procedure di riconoscimento, si potrà ritenere che l'utilizzo delle garanzie del diritto comunitario ha avuto l'unico scopo di eludere il tirocinio formativo nazionale e l'esame di Stato, il quale ultimo - tra l'altro - riveste particolare importanza, rappresentando una garanzia costituzionalmente prevista per l'accesso alle attività professionali. La Corte di Giustizia, nella sentenza richiamata, ha sottolineato che la domanda di riconoscimento di un titolo professionale, al quale però non corrisponda alcuna effettiva esperienza concreta da riconoscersi, mina il diritto degli Stati a prevedere forme di particolare qualificazione per l'accesso alle attività professionali ( cfr. il quinto "considerando" della direttiva 89/48 e più ampiamente l'undicesimo "considerando" della direttiva 2005/36 ) , e quindi dà luogo ad un abuso del diritto".

5. Da quanto esposto emerge con chiarezza la necessità che il Consiglio dell'Ordine forense esamini nel dettaglio le domande di iscrizione nella sezione speciale dell'albo dedicata agli avvocati stabiliti. Per accedere ad essa, infatti, secondo la giurisprudenza appena richiamata, è necessario possedere una qualificazione professionale che sia effettiva e non solo formale. È chiaro, tuttavia, che non esiste nelle norme di diritto positivo una specifica procedura per verificare che le domande di riconoscimento non invochino il diritto comunitario «fraudolentemente o abusivamente»; è viceversa necessario procedere ad un giudizio analitico caso per caso, verificando dalla documentazione prodotta quale sia la consistenza del percorso formativo e professionale dell'interessato. Colui che, come nel caso di cui alla sentenza C-311/06, intenda spendere il titolo straniero dopo una procedura di trasferimento all'estero solo "burocratica" e senza documentare alcun periodo di esercizio professionale, potrà a buon diritto indurre ad un rigetto della domanda. Viceversa, non potranno essere penalizzati i professionisti, anche se in possesso di cittadinanza Italiana o di una formazione accademica in Italia, i quali dimostrino l'effettivo svolgimento di esperienza professionale all'estero ( come è avvenuto nel caso di cui alla sentenza del CNF 20 dicembre 2008, n. 175 ). Si dovrà, in ultima analisi, procedere attraverso una specifica considerazione di elementi eventualmente sintomatici dell'abuso di diritto, particolarmente attenta nel caso in cui, successivamente all'iscrizione del professionista quale "stabilito", l'integrazione avvenga attraverso la verifica affidata alla prova attitudinale.
 
b) Dal parere C.N.F. 17/2009 alla Sentenza Koller ( C-118/09 )
Nel parere n. 17/2009 ( che, di per sè, nulla può modificare o introdurre rispetto ad una disciplina di rango comunitario ) pertanto, il CNF, si limita ad aderire alle opinioni espresse dalla corte nella Sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri vs Cavallera ( C-311/06 ) affermando sostanzialmente che il diniego dell'iscrizione all'albo Italiano ai sensi della direttiva 98/5 nonchè il diniego del riconoscimento in Italia del titolo Spagnolo ai sensi della direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) siano eccezionalmente legittimi ove il certificato di omologazione Spagnolo non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema d'istruzione Spagnolo e non si fondi ne su un'esame ne su un'esperienza professionale poichè in tal caso la qualificazione ottenuta all'estero sarebbe solo "formale" e la procedura di riconoscimento "meramente burocratica".

Pertanto, al contrario, fuori da tale caso, cioè ove il richiedente dimostri di aver seguito una formazione prevista dal sistema d'istruzione spagnolo e di aver acquisito una qualifica supplementare fondata su esami integrativi, al superamento dei quali sia stato subordinato il rilascio del certificato d'omologazione spagnolo, l'utilizzo del titolo professionale di Abogado per ottenere l'iscrizione all'albo ai sensi della direttiva 98/5 o il riconoscimento del titolo di "Avvocato" ai sensi della direttiva 2005/36, non dovrebbe essere impedito.

A conferma, si consideri che, recentemente, nel caso Koller ( C-118/09 ) la Corte ha risolto analoga vertenza in modo diametralmente opposto: partendo dal presupposto che l'omologazione del titolo austriaco del Sig. Koller di "Magister der Rechtswissenschaften" al corrispondente Spagnolo di "Licenciado en Derecho", in quanto subordinata al superamento di un esame integrativo, sanziona una formazione prevista dal sistema d'istruzione Spagnolo, cioè attesta una qualifica supplementare acquisita in tale Stato Membro, ha ritenuto il titolo del Sig. Koller un diploma ai sensi dell'art. 1 lett. a, ( punti 32 -35 ) il che implica la piena invocabilità della direttiva 89/48 ( oggi della 2005/36 i cui principi, rimasti immutati, sono i medesimi contenuti nella 89/48 ) ai fini dell'esercizio ai sensi dell'art. 3 della professione di "Avvocato" in Austria, previo superamento di una prova attitudinale ai sensi dell'art. 4. Recitano infatti, le argomentazioni della Corte:

25 Con la prima questione, in sostanza, il giudice del rinvio chiede se, al fine
di   accedere,   previo   superamento   di  una   prova   attitudinale,   alla   professione regolamentata di avvocato nello Stato membro ospitante, le disposizioni della direttiva 89/48 modificata possano essere fatte valere dal possessore di un titolo, rilasciato in detto Stato membro e attestante il compimento di un ciclo di studi post- secondari di oltre tre anni, nonché di un titolo equivalente rilasciato in un altro Stato membro, a seguito di una formazione complementare di durata inferiore a tre anni e che abiliti detto possessore ad accedere, in quest'ultimo Stato, alla professione regolamentata di avvocato, professione che egli effettivamente vi esercitava al momento della richiesta di autorizzazione ad essere ammesso alla prova attitudinale.

26 Si deve rammentare che la nozione di «diploma», definita dall'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 modificata, costituisce la chiave di volta del sistema generale di riconoscimento dei diplomi d'istruzione superiore previsto da tale direttiva (v., in particolare,   sentenza   23   ottobre  2008,   Commissione/Spagna,   causa   C-286/06, Racc. pag. I-8025, punto 53).

27 Fatte salve le disposizioni di cui all'art. 4 della direttiva 89/48 modificata,
l'art. 3, primo comma, lett. a), di quest'ultima riconosce ad ogni richiedente in possesso di un «diploma», ai sensi di detta direttiva, che gli consenta di esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro, il diritto di esercitare la stessa professione in qualsiasi altro Stato membro (v. sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 54).

28 Quanto alle qualifiche come quelle fatte valere dal sig. Koller, occorre
precisare  che  il  «diploma»,   ai   sensi   dell'art. 1,   lett. a),   della   direttiva   89/48 modificata, può essere costituito da un insieme di titoli.

29 Riguardo alla condizione di cui all'art. 1, lett. a), primo trattino, della
direttiva 89/48 modificata, va rilevato che, nella causa sfociata nella sentenza 29 gennaio 2009, causa C-311/06, Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Racc. pag. I-415), la Corte ha avuto modo di dichiarare, al punto 48 di tale sentenza, che detta condizione era soddisfatta in ordine ai titoli fatti valere da una persona che aveva chiesto l'iscrizione all'albo degli ingegneri in Italia, atteso che ciascuno di tali titoli era   stato   rilasciato   da  un'autorità  competente,   designata  conformemente  alle disposizioni normative, rispettivamente, Italiane e spagnole. Detta condizione risulta del pari soddisfatta per quanto attiene a titoli come quelli presentati dal sig. Koller,
dato che ciascuno di essi è stato rilasciato da un'autorità competente, designata conformemente alle disposizioni normative, rispettivamente austriache e spagnole.

30 Per quanto concerne il requisito previsto dall'art. 1, lett. a), secondo trattino , della direttiva 89/48 modificata, si deve necessariamente rilevare che una persona quale il sig. Koller, come ha altresì dichiarato la Corte al punto 49 della citata sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri a proposito della persona di cui alla causa all'origine di tale sentenza, soddisfa la condizione secondo cui il titolare deve aver seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di una durata minima di tre anni in un'università. Tale circostanza, difatti, è espressamente attestata dal titolo di studi rilasciato dall'Università di Graz all'interessato.

31 Per quanto riguarda il requisito di cui all'art. 1, lett. a), terzo trattino, della
direttiva 89/48 modificata, dal certificato di omologazione redatto dal Ministero per l'Educazione e la Scienza spagnolo e, in ogni caso, dall'iscrizione del sig. Koller all'ordine degli avvocati di Madrid risulta che quest'ultimo è in possesso delle qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in Spagna (v., in tal senso, sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri, cit., punto 50).

32 Del resto, contrariamente al certificato di omologazione fatto valere dalla
persona interessata nella causa all'origine della citata sentenza Consiglio Nazionale degli   Ingegneri   che   non   sanciva   alcuna   formazione   nell'ambito   del   sistema d'istruzione spagnolo e non si fondava né su un esame né su un'esperienza professionale acquisita in Spagna, il titolo spagnolo di cui si avvale il sig. Koller attesta l'acquisizione da parte di quest'ultimo di una qualifica supplementare rispetto a quella conseguita in Austria.
33 Pertanto, sebbene sia vero che un titolo attestante qualifiche professionali
non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della direttiva 89/48 modificata in assenza dell'acquisizione, totale o parziale, di qualifiche nel contesto del sistema d'istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il titolo de quo (v., in tal senso, sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri, cit., punto 55), ciò non è vero nel caso del titolo fatto valere dal sig. Koller nella causa principale.

34 Inoltre, la circostanza che detto titolo spagnolo non attesti una formazione professionale di tre anni seguita in Spagna è priva di rilevanza a questo riguardo.
Infatti, l'art. 1, lett. a), primo comma, della suddetta direttiva non prescrive che il ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni, o di durata equivalente a tempo parziale, sia effettuato in uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante.

35 Pertanto,  una  persona  quale il  sig. Koller è  senz'altro  titolare  di un
«diploma» ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 modificata.

36 Di conseguenza, si deve risolvere la prima questione dichiarando che, al
fine di accedere, previo superamento di una prova attitudinale, alla professione regolamentata di avvocato nello Stato membro ospitante, le disposizioni della direttiva 89/48 modificata possono essere fatte valere dal possessore di un titolo, rilasciato in detto Stato membro e attestante il compimento di un ciclo di studi post- secondari di oltre tre anni, nonché di un titolo equivalente rilasciato in un altro Stato membro, a seguito di una formazione complementare di durata inferiore a tre anni e
che abiliti detto possessore ad accedere, in quest'ultimo Stato, alla professione regolamentata di avvocato, professione che egli effettivamente vi esercitava al momento della richiesta di autorizzazione ad essere ammesso alla prova attitudinale

c) La direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) sul reciproco riconoscimento dei diplomi
Il diritto del titolare di una "Laurea in Giurisprudenza" nonchè di un "Certificato di Omologazione" della medesima al corrispondente titolo spagnolo di "Licenciado en Derecho" di servirsi in Italia del titolo di Abogado ai fini dell'accesso alla professione di "Avvocato" previo superamento di una prova attitudinale ai sensi della direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) non è più oggetto di contestazione già dalla scorsa estate, avendo il direttore generale della giustizia civile, Maria Teresa Saragnano, lucidamente anticipato nelle proprie personali valutazioni, l'esito della recentemente emanata sentenza Koller C-118/09 già dal 29 Luglio 2010; vedasi, a titolo esemplificativo, il decreto 10A10126 pubblicato in GU n. 193 del 18/8/2010 emanato per riconoscere, in capo al richiedente, il titolo di Abogado quale titolo abilitante all'esercizio in Italia della professione di Avvocato, previo superamento di una Prova Attitudinale:

"Considerata la pronuncia della Corte di giustizia del 29 gennaio 2009 nella parte in cui, in particolare, enuncia il principio secondo cui non puo' essere riconosciuto un titolo professionale rilasciato da un'autorita' di uno stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale stato membro e non si fondi ne' su di un esame ne' di un'esperienza professionale acquisita in detto stato membro;

Considerato che nella fattispecie il richiedente sig. Fadda e' in possesso del titolo accademico ottenuto nell'aprile 2005 in Italia presso la Universita' degli studi di Sassari;

Considerato che il   medesimo   risulta   avere   sostenuto   gli   esami richiesti dall'ordinamento spagnolo al fine dell'ottenimento del provvedimento di omologa del titolo di accademico conseguito in Italia a quello analogo spagnolo;

Considerato che il Ministero dell'Educacion spagnolo, con atto dell'11 aprile 2008, avendo accertato il superamento degli esami previsti, ha certificato l'omologa della laurea Italiana a quella corrispondente spagnola;
Considerato che ha documentato di essere iscritto all'«Ilustre Colegio de Abogados» di Barcellona (Spagna);

Considerato che l'accesso alla professione di avvocato in Spagna non presuppone alcuna esperienza lavorativa, essendo fondata esclusivamente sulle «qualifiche accademiche» del laureato, sicche' queste ultime sono sufficienti per poter decretare l'esistenza della «qualifica professionale» del titolare di un diploma di laurea;

Ritenuto che il certificato di omologazione di cui sopra non puo' essere considerato un «mero atto formale» oppure una «semplice omologazione» del diploma di laurea acquisito in Italia, rappresentando piuttosto l'attestazione ufficiale di  qualifiche supplementari acquisite in diritto spagnolo;

Ritenuto, piu' in particolare, che il superamento dei suddetti esami ed il conseguente certificato di omologa possano essere qualificati quale formazione aggiuntiva conseguita in altro stato membro in quanto costituiscono un ciclo di studi autonomo in diritto spagnolo, diverso e distinto rispetto al percorso seguito in Italia per l'ottenimento del diploma di laurea;

Ritenuto, pertanto, che la fattispecie non e' riconducibile nell'ambito di previsione di cui alla sopra citata pronuncia della Corte di giustizia, essendo stata riscontrata una formazione professionale aggiuntiva acquisita in Spagna e che, pertanto, sussistono i presupposti per l'applicazione della direttiva comunitaria relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali con conseguente riconoscimento del titolo di «Abogado» ai fini dell'accesso e/o esercizio della professione di avvocato in Italia;".


d) La direttiva 98/5 sulla libertà di stabilimento degli Avvocati
Il diritto di servirsi in Italia del titolo di Abogado ai fini dell'esercizio della professione stabilmente nello Stato Membro ospitante è previsto nella direttiva 98/5:

L'art 1 della direttiva 98/5/CE recita: "ai fini della presente direttiva, si intende per a) avvocato, ogni persona, avente la cittadinanza di uno Stato membro, che sia abilitata ad esercitare le proprie attività professionali facendo uso di uno dei seguenti titoli professionali: ( .. ) abogado ( .. )".

L'art. 2 della direttiva 98/5/CE stabilisce che "Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine."

L'art. 3 della direttiva 98/5/CE stabilisce inoltre che "L'avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l'autorità competente di detto Stato membro." E che pertanto "L'autorità competente dello Stato membro ospitante procede  all'iscrizione  dell'avvocato  su  presentazione  del  documento   attestante l'iscrizione di questi presso  la  corrispondente autorità competente  dello  Stato membro di origine."

Attualmente, alcuni C.O.A. ostacolano l'esercizio di tale diritto, alla luce della normativa e della giurisprudenza applicabili, illegittimamente. Infatti, la Corte di giustizia, interprete autentico dei trattati e della normativa europea, nella sentenza C-193/05 ha spiegato, con specifico riferimento alle procedure di iscrizione presso lo Stato Membro ospitante previste nell'art. 3 della direttiva 98/5, lo spirito del legislatore comunitario:

"Il legislatore comunitario (..) con tale articolo ha realizzato l'armonizzazione completa dei requisiti richiesti a priori ai fini dell'esercizio del diritto conferito dalla direttiva 98/5, prevedendo la presentazione all'autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro d'origine quale unico requisito cui deve essere subordinata l'iscrizione dell'interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di ivi esercitare con il suo titolo professionale d'origine.

Il legislatore comunitario, al fine di facilitare l'esercizio della libertà fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito non optare per un sistema di controllo a priori delle conoscenze degli interessati.

Tale rinuncia ad un sistema di controllo a priori delle conoscenze, in particolare linguistiche, dell'avvocato europeo coesiste, tuttavia, nella direttiva 98/5, con una serie di norme volte a garantire, ad un livello accettabile nella Comunità, la protezione degli assistiti ed una buona amministrazione della giustizia."

Il punto 38 della medesima sentenza, peraltro chiarisce che "Tale tesi trova conferma nell'esposizione dei motivi della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica [COM(94) 572 def.], ove, nel commento all'art. 3, si precisa che « [l]'iscrizione [presso l'autorità competente dello Stato membro ospitante] si verifica di diritto [ "automaticamente" nelle versioni Spagnola e Inglese ] qualora il richiedente presenti il documento attestante la propria iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro di origine»."

L'estensione dell'obbligo di risultato imposto dalle direttive, come emerge dalla sentenza C-14/1983, riguarda ogni organo di ciascuno Stato Membro.
"Benche l'art. 189,3* comma del trattato lasci agli stati membri la liberta di scegliere il modo ed i mezzi destinati a garantire l'attuazione della direttiva, questa liberta nulla toglie all'obbligo, per ciascuno degli stati destinatari, di adottare, nell'ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari per garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo ch'essa persegue. L'obbligo degli stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l'obbligo loro imposto dall' art. 5 del trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli stati membri ( ordini degli avvocati inclusi ), ivi compresi, nell ' ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell'applicare il diritto nazionale, e in particolare la
legge espressamente adottata per l'attuazione di una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato contemplato dall ' art. 189,3* comma".

Stante la accertata validità del titolo di "Abogado" acquisito in Spagna in seguito ad una formazione supplementare ( C-118/09 ), se ne deduce che la prassi attualmente seguita da alcuni C.O.A. di subordinare l'iscrizione all'albo a requisiti di qualificazione ulteriori a quelli previsti ( cioè il certificato d'iscrizione all'ordine dello Stato Membro d'origine, eventualmente accompagnato da traduzione asseverata ), quali l'aver risposto ad appositi questionari, verifiche sulla conoscenza della lingua Spagnola o su altre conocenze in diritto, documentazione relativa allo svolgimento della professione in Spagna.. risulta contraria non solo al diritto comunitario, ma anche al diritto interno. Infatti, nell'ordinamento Italiano, fu data corretta attuazione all'art. 3 della direttiva 98/5 mediante l'art. 6 del d.lgs. 96/2001. Tale articolo evidentemente non lascia spazio alla discrezionalità nella valutazione dei requisiti ivi tassativamente indicati, pertanto, in presenza dei medesimi, trattandosi di attività vincolata, al C.O.A. non resta che ordinare l'iscrizione, corrispondente ad un diritto soggettivo del richiedente.

Art. 6.3 "La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti: a) certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva; b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell'istante con la indicazione del domicilio professionale; c) attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva."

Art. 6.6 "Il Consiglio dell'ordine, entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda o dalla sua integrazione, accertata la sussistenza delle condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilita', ordina l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo e ne da' comunicazione alla corrispondente autorita' dello Stato membro di origine."

Art. 6.7 "Il rigetto della domanda non puo' essere pronunciato se non dopo avere sentito l'interessato. La deliberazione e' motivata ed e' notificata in copia integrale entro quindici giorni all'interessato ed al procuratore della Repubblica ai sensi e per gli effetti di cui al quinto comma dell'art. 31 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni. "
In base all'art. 12 delle disp. prel. al c.c. "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore."

Per converso, come emerge, letteralmente, dal combinato degli artt. 6.6 e 6.7 del d.lgs 96/2001 il C.O.A. può denegare l'iscrizione alla sezione avvocati stabiliti dell'albo esclusivamente in due casi, cioè per (a) mancanza delle condizioni richieste (b) il sussistere motivi di incompatibilità. Ma fuori da tali casi qualsiasi C.O.A. dovrebbe iscrivere, pena l'evidente illegittimità dell'eventuale provvedimento di diniego. Peraltro suscettibile di tutela risarcitoria.

"L'illegittimo rifiuto della domanda di iscrizione all'albo professionale comporta la responsabilità del Consiglio dell'Ordine per i danni subiti dal professionista a seguito della mancata iscrizione" (Trib. Roma, 3 febbraio 1994, in Gius, 1994, fasc. 8, 221).

Questa sentenza è stata confermata dalla Suprema Corte: "L'illegittimo rifiuto di iscrizione ad un albo professionale opposto dal competente consiglio provinciale dell'ordine è lesivo "ab origine" del diritto soggettivo ad ottenere la richiesta iscrizione, e costituisce un fatto illecito potenzialmente produttivo di un danno ingiusto, tale da legittimare l'esperimento di un'azione risarcitoria dinanzi all'Ago, indipendente dalla eventualità che l'interessato possa ottenere dal competente ordine professionale sovraordinato una pronuncia di annullamento dell'illegittimo rifiuto opposto, nonché un'ulteriore statuizione del giudice amministrativo in relazione all'eventuale inottemperanza alla decisione di annullamento. (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 85 dell'8 gennaio 1999; Part: Ordine degli ingegneri della Provincia di Roma c. Andriani).

Trattasi di Fattispecie in tema di illegittimo rifiuto di iscrizione all'albo degli ingegneri avverso il quale il richiedente aveva, dapprima, proposto vittorioso ricorso al consiglio nazionale dell'ordine e, successivamente, a seguito di inosservanza alla decisione di tale organo da parte del consiglio provinciale, instaurato giudizio di ottemperanza ex art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di Stato dinanzi al Tar. La S.C., nel confermare la decisione del giudice di merito che aveva accolto l'istanza risarcitoria conseguentemente coltivata dall'ingegnere, ha affermato il principio di diritto di cui in massima.

Con l'evidente finalità di legittimare la prassi contraria al diritto comunitario, di chiedere requisiti ulteriori a chi intenda stabilirsi ai sensi della direttiva 98/5, i due senatori Mazzatorta e Divina hanno recentemente proposto l'introduzione nel disegno di legge 1098/A, di riforma della professione forense, già approvato al Senato, l'art.16.4:
«L'iscrizione nella sezione speciale dell'albo ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 può essere subordinata dal Consiglio dell'ordine alla presentazione di apposita documentazione comprovante l'esercizio della professione nel paese di origine per un congruo periodo di tempo».

Purtroppo per loro, ove tale articolo del disegno di riforma divenisse legge, data la sua contrarietà all'art. 3 della direttiva 98/5 come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza C-193/05 e vista la Sentenza Fratelli Costanzo C-103/1988, dovrebbe essere disapplicato oltre che dal giudice, già a monte dall'autorità amministrativa.

Nella Sentenza Fratelli Costanzo C-103/1988 dopo aver ricordato come già in passato la Corte abbia considerato che "in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale sia che l'abbia recepita in modo inadeguato", i giudici comunitari affermarono che "il motivo per cui i singoli possono far valere le disposizioni di una direttiva dinanzi ai giudici nazionali ove sussistano i detti presupposti, è che gli obblighi derivanti da tali disposizioni valgono per tutte le autorità degli Stati membri" e dichiararono che "sarebbe, peraltro, contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva aventi i requisiti     sopra     menzionati,     allo     scopo     di     far     censurare     l'operato dell'amministrazione, e al contempo ritenere che l'amministrazione non è tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad essa non conformi. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della corte, affinchè le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell'amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni".

Alla luce delle tendenze "anti-europeiste" espresse nell'art. 16.4 del disegno di legge 1098/A, di riforma della professione forense, data la sua evidente contrarietà al diritto comunitario, al fine di garantire l'effettività dei diritti sanciti dalla direttiva 98/5 nonostante l'ostruzionismo posto dalle autorità amministrative, tornano alla ribalta oltre che la giurisprudenza appena citata anche le decisioni adottate dalla Corte in due sentenze risalenti a quasi trent'anni fa relative all'applicazione della direttiva 78/1026 ( sul "reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di veterinario" ) oggi confluita, come la direttiva 89/48, nella più recente 2005/36. In tali sentenze, la Corte, in virtù dei diritti garantiti ai singoli da direttive le cui norme siano "chiare e sufficientemente precise" ha escluso che uno Stato Membro possa impedire l'esercizio della professione o imporre sanzioni penali ed amministrative, al veterinario che eserciti senza essere iscritto all'albo allorchè tale iscrizione, ritualmente richiesta secundum legem, sia stata, da parte delle autorità di tale Stato Membro, illegittimamente denegata.

Si noti, a riguardo, l'eloquente dispositivo della Sentenza Auer C-271/1982, in base al quale "L a mancata iscrizione all'ordine nazionale dei veterinari non puo impedire l'esercizio della professione ne dar luogo ad un procedimento penale per esercizio abusivo della professione quando l'iscrizione stessa e stata rifiutata trasgredendo il diritto comunitario".

I principi alla base di tale decisione sono stati ribaditi, poco dopo, nella Sentenza Rienks C-5/1983, ove la Corte ha chiarito, in linea di massima, che "Non si puo rifiutare l'iscrizione all'albo dell'ordine professionale per motivi che ignorano la validita di un titolo professionale ottenuto in altro stato membro, quando questo titolo figura fra quelli che tutti gli stati membri, nonche i loro ordini professionali, in quanto enti incaricati di una funzione pubblica, sono tenuti a riconoscere in forza del diritto comunitario". "Di conseguenza", ha proseguito la Corte, "la legislazione che contempli azioni penali o amministrative a carico del veterinario che eserciti la professione senza essere iscritto all'albo professionale, qualora tale iscrizione gli sia stata rifiutata trasgredendo il diritto comunitario, è incompatibile con lo stesso diritto in quanto finisce col privare di qualsiasi efficacia pratica le disposizioni del trattato e della direttiva n. 78/1026".

Peraltro, in tema di esercizio della professione in forza di diritti attribuiti dalle norme "sufficientemente chiare ed incondizionate" di una direttiva, nonostante l'illegittimo rifiuto dell'iscrizione all'albo da parte del consiglio dell'ordine professionale, nella misura in cui esso sia contrario al diritto comunitario, anche la Corte di Giustizia concorda sulla risarcibilità dell'illecito.

A riguardo, nella Sentenza Brasserie du Pêcheur SA, cause riunite C-46/93 e C-48/93, la Corte ha chiarito che "L'applicazione del principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili non può essere esclusa qualora la violazione riguardi una norma di diritto comunitario direttamente efficace. Infatti, la facoltà degli amministrati di far valere dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni del Trattato direttamente applicabili costituisce solo una garanzia minima e non è di per sé sufficiente ad assicurare la piena e totale applicazione del diritto comunitario. Questa facoltà, intesa a far prevalere l'applicazione di norme di diritto comunitario rispetto a quella di norme nazionali, non è sempre idonea a garantire al singolo i diritti attribuitigli dal diritto comunitario e, in particolare, a scongiurare il verificarsi di un danno conseguente ad una violazione di tale diritto imputabile a uno Stato membro."

» Conclusioni giuridiche «
Quello di cui è titolare un "Abogado" in possesso di una "Laurea in Giurisprudenza" nonchè di un "Certificato di Omologazione" della medesima al corrispondente titolo spagnolo di "Licenciado en Derecho" ( in virtù della formazione supplementare che sancisce, fondata su esami integrativi, al superamento dei quali è attualmente subordinata l'omologazione stessa ) come specificato dalla Corte di Giustizia nella recentemente emanata Sentenza Koller C-118/09 ( punti 32 - 35, pagine 7 e 8 ) è a tutti gli effetti, un "attestato di competenza" ai sensi della direttiva 2005/36/CE ( fu "diploma" ai sensi della direttiva 89/48 ), il che rende inapplicabili le considerazioni relative all'abuso del diritto espresse nella Sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri vs Cavallera C-311/06 ( punti 51 - 58, pagine 3, 4 e 5 ).

Pertanto il diritto di servirsi in Italia del titolo di Abogado ai fini dell'accesso alla professione di "Avvocato" previo superamento di una prova attitudinale ai sensi della direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) nonchè ai fini dell'esercizio della professione, con carattere stabile, nello Stato Membro ospitante, alle condizioni previste nella direttiva 98/5, alla luce della normativa e della giurisprudenza applicabili, non dovrebbe essere subordinato ad ulteriori oneri dalle autorità dello Stato Membro ospitante, poichè ove lo fosse ciò avverrebbe illegittimamente.

L'art. 6 del d.lgs. 96/2001, emanato in attuazione dell'art. 3 della direttiva 98/5/CE, in virtù del "principio di interpretazione conforme al diritto comunitario" nonché dei "canoni interpretativi" stabiliti dall'art. 12 prel c. c. va interpretato nel senso che regola un meccanismo d'iscrizione in virtù del quale la medesima deve realizzarsi, per una precisa scelta in tal senso delle istituzioni comunitarie, di diritto dietro presentazione del solo certificato d'iscrizione all'ordine dello Stato Membro di origine ( eventualmente accompagnato da requisiti accessori quali la traduzione asseverata del medesimo ).

Del resto, come emerge dal combinato degli artt. 6.6 e 6.7 del d.lgs. 96/2001 (a) sussistendo le condizioni previste dalla legge per l'iscrizione e, (b) in assenza di cause di incompatibilità, il consiglio dell'ordine, trattandosi, evidentemente, di attività vincolata, dovrebbe iscrivere e non denegare la domanda d'iscrizione alla sezione speciale dell'albo, dedicata agli stabiliti, pena l'illegittimità dell'eventuale provvedimento di diniego, il cui conseguente danno è risarcibile.
 
» Considerazioni personali «
Si è dimostrato che la Sentenza Cavallera ( C-311/06 ) di per sè, non è invocabile per denegare la richiesta d'iscrizione dell'Abogado in possesso di una "Laurea in Giurisprudenza" e di un "Certificato di Omologazione" della medesima al corrispondente titolo spagnolo di "Licenciado en Derecho" che, una volta iscritto all'albo Spagnolo, chieda l'iscrizione presso l'albo Italiano ai sensi della direttiva 98/5, ciò nella misura in cui il rilascio dell'omologazione in Spagna sia subordinata, almeno, all'acquisizione di una formazione nell'ambito del sistema d'istruzione Spagnolo.

Il dispositivo della sentenza Cavallera, infatti, non esige, in ogni caso, che la spendibilità del titolo professionale rilasciato da uno Stato Membro, per iscriversi presso l'autorità di un secondo Stato Membro, richieda che tale titolo attesti necessariamente anche un'esperienza professionale svolta nel primo Stato Membro, essendo sufficiente, che tale titolo professionale sia ottenuto in seguito al superamento di un esame che sanisca una formazione impartita nel sistema d'istruzione del primo Stato Membro.

Ciònonostante, il parere del C.N.F. n. 17/2009, che, di per sè, da una ineccepibile interpretazione delle statuizioni della Corte nel caso Cavallera, di fatto, per ignoranza o malafede, è impropriamente richiamato da parte di alcuni ordini territoriali per giustificare provvedimenti di diniego della domanda d'iscrizione all'albo ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. 96/2001 solo perchè il richiedente non ha esercitato la professione in Spagna per un "congruo" periodo, ciò benchè il rilascio del "Certificato di Omologazione" del titolo di "Laurea in giurisprudenza" dei richiedenti al corrispondente spagnolo di "Licenciado en Derecho" sancisca una formazione impartita in Spagna fondata sul superamento di esami integrativi.

Che tali provvedimenti di diniego attualmente emanati dai C.O.A. siano illegittimi se già prima era facilmente deducibile leggendo il dispositivo della Sentenza Cavallera ( C-311/06 ), ora risulta palese alla luce delle motivazioni della Sentenza Koller ( C-118/09 ) nella quale, contrariamente a quanto avvenne nel caso Cavallera, la Corte ha escluso che possa parlarsi di abuso del diritto comunitario allorchè il rilascio del "Certificato di omologa" al titolo Spagnolo di "Licenciado en Derecho" del titolo di "Laurea in Giurisprudenza" sia subordinato al superamento di "Esami integrativi" in diritto Spagnolo, risultando, come ( non ) emerge dalle motivazioni, irrilevante ai fini della decisione che il Sig. Koller abbia esercitato la professione in Spagna per ventuno giorni, fatto naturale ma, come si può intuitivamente comprendere, inidoneo a produrre effetti giuridici ( la circostanza è stata menzionata nel dispositivo della sentenza Koller unicamente per rispondere compiutamente alla domanda pregiudiziale formulata dal giudice austriaco ).


Autore: Luca Cortese

 

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