L'ISTITUTO DELLA ESDEBITAZIONE

 - Eufemia FERRARA

La Sezione II del Capo IX del Titolo II della legge fallimentare e precisamente agli articoli da 142 a 145 viene ex novo rubricata dal D. Lgs n. 5/2006 con il titolo "Della esdebitazione", che consiste nella liberazione del fallito persona fisica, seppur in presenza di alcune condizioni, dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali, non integralmente soddisfatti nella procedura.

 

L'istituto dell'esdebitazione è omologo a quello già conosciuto in altre legislazioni europee ed in quella dei Paesi di Common Law; infatti, già da tempo altri paesi, quali la Germania e gli Stati Uniti prevedono l'istituto della discharge (cancellazione dei debiti pregressi), in modo da consentire il fresh start, (possibilità di nuovo avvio).

 

In particolare l'istituto ha radici storiche molto remote nei paesi di Common Law, e precisamente sin dal 1705, che venne istituito che poteva intervenire per la liberazione di debiti del fallito che si era comportato conformemente alla legge, collaborando e consegnando tutti i beni.

 

La liberazione de debiti interveniva, in particolare quando la maggioranza dei bankrupty commissioners certificavano al Lord cancelliere che il debitore si era comportato in modo conforme a quanto disposto dalla legge, collaborando, rispondendo agli interrogatori e consegnando tutti i suoi beni, al fine di realizzarli in favore dei creditori.

 

Infatti, l'esdebitazione si otteneva attraverso la certificazione di conformità, rispetto alla quale i creditori non avevano possibilità di interloquire.

 

L'istituto si è poi evoluto e si applicava esclusivamente ai soli commercianti imponendo loro la raccolta del consenso dei creditori, mentre per i falliti non collaborativi vi era la pena di morte.

 

L'istituto si è poi sviluppato e potenziato negli Stati Uniti ove nel tempo la discharge veniva allargata anche ai debitori civili non commercianti e veniva concessa a meno che la maggioranza dei creditori non si opponesse esplicitamente presentando una dichiarazione scritta di dissenso.

 

La discharge è, dunque, un mezzo indispensabile affinché il debitore civile torni ad operare sul mercato e riprenda a produrre accrescendo il prodotto interno lordo e fornendo posti di lavoro ed utilità all'economia.

 

Poiché i principi etici e giuridici nei paesi anglosassoni sono diversi da quelli dei paesi di Civil Law e dell'Italia in particolare il recepimento all'interno del nostro ordinamento dell'istituto è avvenuto in modo non del tutto coerente.

 

Lo scopo dichiarato nella normativa sembra essere quello di voler incentivare il fallito alla collaborazione, a fornire informazioni, ad aiutare nella ricostruzione del dissesto e del patrimonio assoggettabile al fallimento e distribuibile in favore dei creditori, al fine di ottenere una procedura più efficiente e celere.

 

Per ottenere queste finalità il legislatore, che ha già sollevato il fallito, dopo la chiusura del fallimento da tutti gli effetti soggettivi e personali, ha ritenuto di doverlo premiare, consentendogli di ripartire immediatamente con un'attività economica organizzata rimettendosi sul mercato senza il peso delle pregresse passività.

 

Nella originaria normativa fallimentare del 1942 l'effetto esdebitatorio si poteva ottenere parzialmente solo con la proposta di concordato fallimentare, che una volta omologato, era vincolante per tutti i creditori anteriori alla procedura.

 

Ciò significava che il debitore rispondeva dei debiti concorsuali, dopo la chiusura della procedura fallimentare solo nella misura stabilita nella proposta concordataria.

 

Quindi, ante riforma, non vi era mai una totale liberazione del fallito, in quanto gli effetti erano limitati ai creditori chirografari, poiché eventuali creditori privilegiati mantenevano il diritto di integrale soddisfazione.

 

Differente è l'attuale esdebitazione ex artt. 142-145 LF rispetto a quella del concordato preventivo.

 

La nuova esdebitazione è, per alcuni versi più svantaggiosa rispetto a quella del concordato preventivo, poiché quest'ultima non si è limitata alle sole persone fisiche, ma è stata estesa anche alle società con beneficio per i soci illimitatamente responsabili.

 

Per altri versi l'esdebitazione è vantaggiosa (in quanto più accessibile) rispetto a quella del concordato preventivo, perché il fallito può ottenerla (nei limiti delle condizioni necessarie) senza consenso dei creditori, diversamente rispetto al "debitore non fallito" che può aspirare alla liberazione dei propri debiti solo attraverso l'accordo con i creditori.

 

In particolare, il beneficio dell'esdebitazione è concesso al debitore persona fisica, previo rispetto di determinate condizioni imposte dall'art. 142 L.F..

 

Le suindicate condizioni che principalmente si dividono in condizioni positive e condizioni ostative alla concessione del beneficio di esdebitazione, sono legate alla condotta tenuta dal fallito sia in epoca pregressa alla dichiarazione di fallimento sia successivamente all'apertura di tale procedura.

 

Le condizioni cosiddette positive sono quelle che attengono la condotta collaborativa del fallito nei confronti degli organi della procedura verso i quali deve fornire tutte le informazioni richieste al fine di favorire l'efficienza e la celerità delle operazioni della stessa, comprese quelle come la liquidazione e la ricostruzione del patrimonio o di collaborare con il comitato dei creditori, di consegnare denaro, titoli e scritture contabili di supporto, nonché di collaborare alla redazione degli elenchi dei creditori e dei titolari di diritti reali immobiliari, e alla redazione del bilancio dell'ultimo esercizio.

 

Le condizioni cosiddette negative invece, che hanno la funzione di individuare le condotte che inibiscono la concessione dell'esdebitazione, si riferiscono a comportamenti in parte pregressi alla dichiarazione del fallimento.

 

In particolare si riferiscono alla circostanza che il debitore, ad esempio, non abbia distratto l'attivo, oppure che non abbia aggravato il dissesto rendendo così gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, ed anche alla circostanza che non abbia fatto ricorso abusivo al credito.

 

Si tratta, pertanto, di condotte che di fatto sono idonee ad integrare anche reati specifici, previsti dalla legge fallimentare, come la bancarotta fraudolenta o il ricorso abusivo al credito.

 

Gli stessi fatti, però, sono irrilevanti quando siano intervenute delle sentenze di condanna passate in giudicato per bancarotta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria il commercio ed altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa, a meno che non sia intervenuta la riabilitazione penale.

 

Restano ovviamente esclusi dal beneficio dell'esdebitazione fallimentare l'imprenditore soggetto ad amministrazione straordinaria, nonché il debitore civile e l'imprenditore al di sotto delle soglie quantitative ex art. 1 L.F., ove per tali ultimi soggetti il legislatore ha introdotto nell'ordinamento la procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento.

 

L'art. 142 L.F. statuisce, altresì, che l'esdebitazione non può essere concessa nell'ipotesi in cui non siano stati soddisfatti, neppur e in parte, i creditori concorsuali. La soluzione, circa la necessità di dover pagare o meno solo parzialmente tutti i creditori, è stata oggetto di intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza del 18 novembre 2011, n. 24215 che ha disposto che compete al giudice di merito valutare caso per caso la concedibilità o meno del beneficio dell'esdebitazione ovvero apprezzare "quando la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l'entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del beneficio sul quale è controversa.

 

Sulla scia di tale interpretazione della Suprema Corte si orientano, quindi oggi i giudici di merito, individuando il rispetto del requisito oggettivo di concessione del beneficio quale valutazione del rapporto tra gli importi concretamente distribuiti e l'entità dello stato passivo verificato.

 

Il contenuto del giudizio che il Tribunale deve esprimere per decidere se concedere il beneficio della esdebitazione o meno consiste in una valutazione dei comportamenti collaborativi del debitore, ed un riscontro della inesistenza di fatti o condotte ostative alla discharge.

 

Il tenore della norma non consente di ipotizzare la possibilità di svolgere attività istruttorie, sostanziandosi dunque, nei due pareri obbligatori, ma non vincolanti, che sia il curatore, sia il comitato dei creditori sono chiamati a rilasciare sulla esdebitazione.

 

L'art. 143 L.F. prevede che il Tribunale, tenuto conto dei comportamenti di cooperazione del debitore e verificate tutte le condizioni disposte dall'art. 142 L.F. sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del solo debitore fallito tornato in bonis i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.

 

Quindi è evidente che il giudizio del Tribunale deve formulare, oltre che sulla visione del fascicolo fallimentare, sul parere del curatore.

 

La funzione del secondo parere, quello dei creditori, è legata alla valutazione della prospettiva degli interessi della massa dei creditori, i quali, al fine di sostenere la propria contrarietà, potrebbero segnalare fatti di non collaborazione, elementi omessi ed occultati dal fallito ed ogni altra condotta utile ad essere vagliata da Tribunale.

 

I creditori possono quindi opporsi alla richiesta di esdebitazione solo per ragioni relative alla meritevolezza del debitore e non per non essere soddisfatti.

 

Il provvedimento nel quale si sostanzia la decisione è un decreto, secondo quanto stabilito dall'art. 143 ed esso, al fine di consentire il corretto esercizio del diritto di difesa e contraddittorio e deve essere quantomeno sommariamente ma sufficientemente motivato, ai sensi dell'art. 737 c.p.c..

 

La circostanza che il decreto di esdebitazione venga emesso dal Tribunale in composizione collegiale fa sì che esso, in applicazione dei principi del foro interno di cui all'art. 26 L.F., possa essere reclamato dai soggetti interessati dinanzi alla Corte d'Appello.

 

In questo senso anche i Supremi Ermellini, con la sentenza del 18 novembre 2011 n. 24215 hanno stabilito tale principio e che legittimati sono ovviamente coloro che sono controinteressati rispetto alla decisione assunta.

 

Il termine perentorio entro il quale può essere reclamato il decreto è di dieci giorni, decorrente dalla comunicazione del provvedimento del Tribunale.

 

Il collegio, che decide sull'eventuale reclamo, in camera di consiglio può assumere i mezzi di prova necessari e, nel caso in parola, potrebbe procedere ad una nuova audizione dei creditori o del curatore nonché del fallito o dell'assunzione di eventuali informazioni presso la pubblica amministrazione.

 

La decisione, con decreto motivato anch'essa e deve essere emessa entro trenta giorni dall'udienza e può consistere in una revoca o in una conferma del provvedimento emesso dal Tribunale.

 

Gli effetti della pronuncia di revoca si riverberano nei confronti di tutti i creditori e non solo rispetto al creditore reclamante.

 

Infine, la decisione emessa dalla Corte d'Appello può essere impugnata, per ragioni di legittimità, dinanzi alla Corte di Cassazione con ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost..

 

Ancora, è importante sottolineare, un ultimo punto, ossia che l'esdebitazione non può riguardare i debiti derivanti da obblighi di mantenimento o debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché quelli derivanti dalla irrogazione di sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario, che non siano accessorie a debiti estinti.

 

L'art. 144 L.F. tratta dell'esdebitazione relativa ai crediti concorsuali non concorrenti, disponendo il principio secondo il quale l'esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei titolari di crediti anteriori alla apertura della procedura che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo.

 

Tuttavia la norma contiene una precisa limitazione.

 

Con il D. Lgs n. 169 del 2007 si introduce una nuova regola ossia che l'esdebitazione opera per la sola eccedenza rispetto alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado, anziché (come previsto dalla norma del 2006) "rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso".