Eccesso di potere

di Paolo Franceschetti

L'eccesso di potere è un vizio di legittimità dell’atto amministrativo che si manifesta nel cattivo uso del potere da parte della Pubblica amministrazione o nella deviazione del potere da quei principi generali stabiliti dal legislatore, come la correttezza, la buona fede o la diligenza.

1. Generalità

2. Nozione

3. Natura giuridica

4. L'evoluzione storica del vizio di eccesso di potere

5. Presupposti dell'eccesso di potere

6. Figure sintomatiche dell'eccesso di potere: generalità

   6.1. Segue: lo sviamento di potere

   6.2. L'irragionevolezza, l'illogicità e la contraddittorietà dell'atto

   6.3. Segue: figure secondarie di eccesso di potere

Bibliografia

1. Generalità

Quella dell'eccesso di potere è la figura più importante tra i vizi di legittimità. Lo dimostrano la casistica giurisprudenziale ed il posto che essa occupa nelle trattazioni dottrinali. Il motivo si può intuire prestando attenzione al nome stesso dell'istituto: l'eccesso di potere è un vizio relativo al potere esercitato dall'amministrazione. Ora, dal momento che la funzione di amministrare consiste essenzialmente nell'esercitare un potere, quello dell'eccesso di potere risulta essere, più che un vizio riferito all'atto in sé, un vizio riferito all'attività dell'amministrazione.

Si capisce, allora, perché questa figura riveste un ruolo essenziale nella storia del diritto amministrativo; perché è grazie all’introduzione di questo istituto che l'attività della Pubblica Amministrazione può essere controllata da parte del giudice.

Allo stesso tempo, però, si comprende anche perché questa figura sia incerta, nebulosa, dai contorni sfumati e, almeno per lo studente alle prime armi, neanche troppo semplice da capire; perché le altre figure di invalidità hanno dei contorni chiari e netti, mentre l'eccesso di potere è una figura la cui individuazione è stata effettuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tanto che qualcuno l'ha definita "un mistero" (PIRAS).

2. Nozione

L'eccesso di potere può definirsi come il cattivo uso del potere da parte della Pubblica amministrazione.

Altri lo hanno definito come la scorrettezza in una scelta discrezionale.

Altri ancora lo hanno definito il vizio dell'atto che viene adottato per un fine diverso da quello prefissato dalla norma attributiva del potere. (CARINGELLA-DELPINO-DEL GIUDICE)

Secondo BASSI, l'eccesso di potere è «l'uso del potere in modo non conforme al precetto legislativo».

Per VIRGA, invece, l'eccesso di potere non ha un definizione precisa. «Sotto lo schema dell'eccesso di potere si raggruppano tutte le violazioni di quei limiti interni alla discrezionalità amministrativa che, pur non essendo consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere esercitato». Tali limiti sono:

1) l'interesse pubblico;

2) la causa del potere esercitato;

3) i precetti di logica e imparzialità.

Secondo D'ALBERTI, invece, l'eccesso di potere ricorre quando la Pubblica amministrazione compie una deviazione da principi generali, come la correttezza, la buona fede, la diligenza.

Alcuni esempi:

- il Governo scioglie un Consiglio Comunale adducendo ripetute violazioni di legge, quando invece il reale motivo è di tipo politico;

- il Comune vieta ai venditori ambulanti di commerciare lungo una determinata via, sostenendo che il divieto ha lo scopo di impedire intralci alla circolazione; ma la strada in realtà è larghissima e il reale motivo è favorire i negozianti.

C'è quindi uno stretto collegamento tra il concetto di eccesso di potere e quello di discrezionalità, sì che l'uno non può essere inteso senza l'altro. La discrezionalità è la caratteristica fondamentale del potere esercitato dall'amministrazione e consiste in una scelta. L'eccesso di potere è un vizio che concerne l'uso di questo potere discrezionale, cioè concerne la correttezza della scelta.

«La figura va analizzata come quella attraverso la quale la giurisprudenza ha costruito la discrezionalità amministrativa: quanto si è detto a proposito della discrezionalità amministrativa può essere tradotto nel definire l'eccesso di potere come vizio degli atti amministrativi. Le regole dell'agire amministrativo che la giurisprudenza ha applicato in concreto al fine di stabilire se determinati atti, pur conformi alla legge, fossero viziati per eccesso di potere sono le regole che, tradotte in termini positivi, abbiamo indicate come proprie della discrezionalità, come posizione tipica dell'agire amministrativo.» (CERULLI-IRELLI)

3. Natura giuridica

La teoria del vizio del provvedimento. La legge inquadra l'eccesso di potere tra i vizi del provvedimento amministrativo e, precisamente, tra i vizi di legittimità.

La dottrina tradizionale, infatti, specie quella passata, cercando di giustificare la scelta del legislatore, riteneva che l'eccesso di potere andasse inquadrato nei vizi del provvedimento. È vero - si diceva - che l'eccesso di potere ricorre quando l'amministrazione, nella sua attività, straripa dai limiti imposti dalla legge; tuttavia, tale straripamento va pur sempre desunto dall'esame dell'atto, ed è per questo che può parlarsi di un vizio del provvedimento.

A questo punto, però, la dottrina tradizionale incontrava un ostacolo difficilmente superabile, perché, se si accetta l'idea che il vizio sta nel provvedimento, occorre poi individuare quale sia l'elemento che risulta viziato, ed allora nascono difficoltà insormontabili: tale elemento viene ravvisato ora nella causa (ma abbiamo visto che parlare di causa del provvedimento è fuori luogo), ora nei motivi (che però, essendo riferiti alla volontà, sono pur sempre qualcosa di esterno al provvedimento); (D’AMELIO-AZZARA, ZANOBINI) altri parlano di un vizio della volontà. Insomma, il vizio viene sempre riferito a qualcosa di esterno, ricadendosi, alla fine, nella stessa contraddizione che si voleva evitare rigettando la teoria del vizio della funzione.

La teoria del vizio della funzione. La dottrina più recente, evidenziato l'errore di fondo della prospettiva tradizionale, ha accolto una teoria diversa: se il vizio è riferito al potere, allora non è riferito a un elemento interno del provvedimento, ma esterno ad esso. Più correttamente, allora, l'eccesso di potere sarebbe da qualificare come un vizio della funzione. (GIANNINI, D’ALBERTI, GALLI, GALATERIA-STIPO: «la vera essenza del vizio di eccesso di potere...» sta «in un vizio della funzione inteso come il potere nel suo farsi atto».)

Il motivo per cui il legislatore ha inquadrato l'eccesso di potere tra i vizi del provvedimento, quando invece esso risulta essere un vizio della funzione, è prevalentemente di carattere storico, perché all'epoca in cui fu emanata la legge sul Consiglio di Stato l'istituto doveva avere un'accezione molto più ristretta di quella che ha oggi. È stata la giurisprudenza del Consiglio di Stato, col supporto della dottrina, ad usare la nozione di eccesso di potere in un'accezione più ampia di quella che doveva avere, trovando in quest'istituto un mezzo - il più potente tra quelli a disposizione dei giudici - per controllare la funzione amministrativa e quindi per correggere l'operato dell'amministrazione in funzione del rispetto della legalità.

4. L'evoluzione storica del vizio di eccesso di potere

La figura dell'eccesso di potere compare per la prima volta nella L. 5992/1889 sul Consiglio di Stato.

Il legislatore del 1889, introducendo il vizio di eccesso di potere come vizio dell'atto, aveva in mente un'idea diversa da quella che è poi stata accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza. L'idea era, in realtà, che l'eccesso di potere dovesse essere un vizio dell'atto, e precisamente un vizio simile all'incompetenza assoluta e più o meno corrispondente alla carenza di potere (all'epoca si diceva straripamento); cioè un vizio particolarmente grave, ma pur sempre un vizio dell'atto, trattandosi di un vizio di competenza.

Il concetto di eccesso di potere, infatti, trae la sua origine storica nell'istituto dell'"éxcés de pouvoir", nato in Francia all'epoca della rivoluzione; espressione con cui si indicava il vizio di una sentenza con la quale si esercitavano funzioni amministrative; cioè una sentenza che avesse invaso il campo della Pubblica amministrazione, rompendo il muro che divideva i tre poteri dello Stato.

Applicato all'amministrazione, il vizio dell'eccesso di potere doveva ravvisarsi solo nei casi in cui l'amministrazione invadesse il campo di un altro potere dello Stato, oppure nel caso in cui esercitasse un'attribuzione che era riservata ad un'amministrazione diversa (ad esempio un prefetto che emette un provvedimento di competenza del sindaco). (CERULLI-IRELLI, BASSI)

Se la dottrina e la giurisprudenza si fossero adagiate su tale interpretazione, «la storia del diritto amministrativo italiano sarebbe risultata diversa, perché l'eccesso di potere avrebbe assunto un rilievo del tutto marginale, se non proprio inesistente in concreto, e l'illegittimità censurabile davanti al giudice amministrativo sarebbe rimasta limitata all'incompetenza e alla violazione di legge» (VILLATA).

Nelle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali che seguirono, invece, l'istituto venne completamente trasfigurato; e così l'espressione "eccesso di potere" diventa sinonimo di "uso scorretto del potere discrezionale". In tal modo, da vizio dell'atto, interno ad esso, la figura diviene un vizio della funzione; così questo istituto diventa uno dei capisaldi su cui si fonda la scienza del diritto amministrativo, perché diventa lo strumento per sindacare l'uso del potere discrezionale della Pubblica amministrazione.

In tutta l'evoluzione storica del diritto amministrativo, infatti, si registra sempre una costante, che è poi la chiave di lettura di tutta la materia: la lotta tra la posizione di supremazia dell'amministrazione, che ha sempre cercato di mantenere stabile la sua posizione, e la lotta della dottrina e, talvolta (anche se più raramente) della giurisprudenza, che hanno cercato di mitigare questa posizione di potere, magari facendo uso di strumenti non del tutto corretti e limpidi dal punto di vista tecnico-giuridico.

L'eccesso di potere è appunto uno di questi strumenti; anzi, può dirsi che di questa lotta è lo strumento per eccellenza.

5. Presupposti dell'eccesso di potere

Perché ricorra la figura dell'eccesso di potere occorrono i seguenti presupposti:

- deve trattarsi di un atto discrezionale e non vincolato; in pratica, l'eccesso di potere è ravvisabile solo se la Pubblica amministrazione agisce munita delle sue potestà discrezionali e non quando la sua attività è vincolata; il che è logico, perché, quando l'atto è vincolato, la P.A. non esercita alcun potere, ma deve limitarsi ad applicare meccanicamente la legge; di conseguenza, l'unico vizio rilevabile potrebbe essere quello della violazione di legge (VIRGA, CERULLI-IRELLI);

- l'atto deve essere conforme alla legge; ciò a prima vista può sembrare una contraddizione, ma non lo è; se dall'atto risulta la violazione di una norma, il vizio sarà quello della violazione di legge; al contrario, è proprio quando l'atto è conforme (apparentemente) alla legge che può ricorrere l'eccesso di potere, perché è in tal caso che deve verificarsi se la Pubblica amministrazione abbia usato correttamente le sue potestà discrezionali (CERULLI-IRELLI).

6. Figure sintomatiche dell'eccesso di potere: generalità

Se presenta qualche difficoltà, in linea teorica, capire cosa sia l'eccesso di potere, accertare nella pratica in quali casi ricorra questo vizio è ancora più difficile. Infatti, l'eccesso di potere non consiste nella violazione di una norma ben precisa, ma nella violazione di tutto quel complesso di norme da cui è possibile ricavare i limiti del potere dell'amministrazione, sì che «occorre un occhio clinico per riconoscerlo» (D’AMELIO-AZZARA).

«Sotto lo schema dell'eccesso di potere si raggruppano tutte le violazioni di quei limiti interni alla discrezionalità amministrativa, che, pur non essendo consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere esercitato». (VIRGA)

Si deve dunque stabilire:

a) se l'atto è conforme all'interesse pubblico;

b) se l'organo aveva il potere di emanare quel determinato atto;

c) se l'atto è esente da difetti logici ed è conforme ai precetti di imparzialità.

Per individuare il vizio dell'eccesso di potere la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato una serie di cosiddette "figure sintomatiche". Si tratta di indizi o sintomi, la cui presenza rivela in genere un cattivo uso del potere da parte dell'amministrazione. In pratica, il ragionamento seguito dalla giurisprudenza e dalla dottrina è il seguente: l'eccesso di potere non è un vizio che può risultare in modo evidente dall'esame dell'atto; se, però, si riesce a dimostrare che il ragionamento seguito dall'amministrazione è illogico, incoerente o irragionevole, allora vuol dire che c'è eccesso di potere.

Alcune di queste figure hanno raggiunto oggi un sufficiente grado di certezza e di elaborazione; altre presentano contorni più incerti. Di alcune è dubbio se vadano inquadrate nell'eccesso di potere. Altre sono ignorate o chiamate con nomi diversi dai vari autori. Si tratta, infatti, di figure non previste dal legislatore, che possono individuarsi nella casistica giurisprudenziale o nelle riflessioni dottrinali e che, di conseguenza, non devono considerarsi un numero chiuso, ma aperto a successive evoluzioni (CASSESE, CARDI-COGNETTI).

6.1. Segue: lo sviamento di potere

Lo sviamento di potere ricorre in due casi:

1) quando l'atto non persegue un interesse pubblico ma un interesse diverso (di un privato, del funzionario responsabile, ecc.);

2) quando l'amministrazione ha agito per perseguire un fine (pur sempre pubblico ma) diverso rispetto a quello stabilito dalla legge; ad esempio, se l'autorità sanitaria ordina l'abbattimento di alcuni capi di bestiame sul presupposto che possano portare infezioni, quando invece il motivo reale è che essi inquinano il suolo; qui il fine perseguito non è quello di tutelare la salute dei cittadini, ma un fine di tipo ambientalistico, pur sempre pubblico, ma estraneo ai fini tipici dell'ente sanitario (l'esempio è fatto da CERULLI-IRELLI).

Quella dello sviamento di potere è la forma più genuina dell'eccesso di potere: «una volta dimostrato che il fine di una determinata azione amministrativa non è quello di legge, ma altro e diverso, o addirittura illecito, evidentemente il potere discrezionale, come potere in principio vincolato nel fine, si appalesa illegittimo» (CERULLI-IRELLI).

Lo sviamento di potere è il più difficile da rilevare, tra le figure sintomatiche, perché si tratta di controllare il reale fine per cui il provvedimento è stato emesso; ma tale fine è sempre nascosto dietro ad altre apparenti motivazioni, che in genere è assai complicato smascherare.

6.2. L'irragionevolezza, l'illogicità e la contraddittorietà dell'atto

Quando le premesse dell'atto sono in palese contraddizione con le conclusioni o con le motivazioni, se ne deduce l'irragionevolezza o l'illogicità dell'atto stesso (o, meglio, della scelta effettuata dall'amministrazione nell'emanare l'atto).

Sappiamo, in relazione al principio di ragionevolezza, che questa figura, intesa come vizio del provvedimento, assume una grandissima importanza, perché in genere è grazie ad essa che il giudice riesce a sindacare le scelte discrezionali dell'amministrazione. In pratica, dal momento che spesso è impossibile per il giudice ripetere lo stesso iter logico che ha portato l'amministrazione ad emettere un certo provvedimento e poter giudicare se tale iter è scorretto, si cerca di dimostrare l'illogicità e l'irragionevolezza del provvedimento, e da ciò si presume l'inopportunità della scelta operata dall'amministrazione (BASSI).

La figura rappresenta quindi una specie di cavallo di Troia con cui si è cercato di penetrare quel fortino costituito dalla discrezionalità che circonda tutto l'operato della Pubblica Amministrazione.

Certo, la violazione del principio di ragionevolezza e logicità costituisce solo una presunzione dell'operato scorretto dell'amministrazione e non garantisce una certezza in tal senso; come è stato detto, esso è solo un sintomo dell'invalidità e, come avviene anche per le patologie mediche, la presenza del sintomo non dimostra con certezza la presenza della malattia, anche se poi la cura viene somministrata. Cioè, per capirci meglio, può capitare che un provvedimento sia annullato per illogicità o irragionevolezza, ma che in realtà esso fosse perfettamente legittimo e opportuno dal punto di vista sia teorico che pratico.

Applicando il principio di ragionevolezza sono state poi enucleate altre figure, che possono essere considerate delle sottocategorie di esso. Vediamole.

6.3. Segue: figure secondarie di eccesso di potere

- Travisamento ed erronea valutazione dei fatti; quando il provvedimento si basa sul presupposto di fatti palesemente erronei o falsi.

- Contraddittorietà tra più atti; ricorre quando l'amministrazione emette un atto che è incompatibile con uno emesso precedentemente (si può fare l'esempio di un impiegato licenziato per scarso rendimento quando poco tempo prima aveva ricevuto un encomio).

- Contraddittorietà tra più parti dello stesso provvedimento.

- Inosservanza di circolari; quando l'amministrazione si discosta dalla direttiva impartita in via generale dalla stessa autorità o da un'autorità superiore. In relazione alle circolari, non è vietato discostarsi da quanto disposto da una circolare, purché però tale fatto sia motivato adeguatamente.

- Disparità di trattamento; quando in presenza di situazioni identiche, o analoghe, l'amministrazione applica trattamenti diversi, o, viceversa, quando in presenza di situazioni diverse opera uguale trattamento. In considerazione del fatto che un provvedimento del genere viola il principio di uguaglianza posto dall'articolo 3 della Costituzione, qualcuno si è domandato se tale figura non debba farsi rientrare tra le violazioni di legge (BASSI).

- Ingiustizia manifesta. Si tratta di una figura un po' controversa, di cui la giurisprudenza ha fatto scarsa applicazione. Il provvedimento sarebbe viziato per ingiustizia manifesta «quando l'atto sia talmente iniquo da risolversi in un insanabile contrasto con i principi dell'equità e del diritto, ovvero, come pure si è detto, nella mancanza di causa dell'atto».

Curiosamente, c'è chi lamenta l'uso eccessivo dell'ingiustizia manifesta da parte della giurisprudenza (BASSI) e chi, al contrario dice che si tratta di una figura rarissima (CERULLI-IRELLI).

Una fattispecie di ingiustizia manifesta è stata ravvisata, ad esempio, nella dispensa dal servizio per scarso rendimento di un impiegato che aveva subito un grave infortunio in servizio: «è viziata da eccesso di potere, soprattutto per la manifesta sproporzione tra illecito commesso e sanzione inflitta, l'irrogazione di una sanzione disciplinare allorché sussistevano particolari circostanze discriminanti o almeno attenuanti che - qualora correttamente valutate dall'organo disciplinare - avrebbero probabilmente ispirato lo stesso ad una maggiore clemenza» (TAR Emilia Romagna, sentenza 19 luglio 1982, n. 182).

Attraverso la pronuncia di ingiustizia manifesta si viene a sindacare in modo molto profondo l'azione amministrativa; verificare se la scelta dell'amministrazione sia giusta o ingiusta, infatti, è un'operazione che si pone ai confini del giudizio di merito (VILLATA).

Da notare che anche la disparità di trattamento costituisce un caso di manifesta ingiustizia, tant'è che alcuni autori non distinguono le due figure (anche perché sul piano pratico la distinzione non produce alcun effetto).

Il giudizio di accertamento dell'eccesso di potere rimane nei limiti del giudizio di legittimità, in quanto chi lo compie non verifica la valutazione dei vari interessi fatta dall'autore dell'atto, ma verifica che essi esistano in fatto, che non vi siano omissioni o sostituzioni importanti, che vi sia una coerenza logica nella valutazione complessiva e che siano osservati i principi istituzionali della giustizia e dell'uguaglianza. Esso arriva al confine del giudizio di opportunità, ed in ciò sta la sua delicatezza, perché talora accade di superarlo. Tuttavia, costituisce lo strumento più sottile elaborato nel mondo contemporaneo per vincolare l'amministrazione pubblica al rispetto non formalistico del principio di legalità.

Del resto continuamente accade che la dottrina creda di poter individuare "nuove tendenze" nello sviluppo dell'eccesso di potere, emergenti dalla giurisprudenza. È difficile poter dire però quanto di siffatte riflessioni abbia una base reale, dato il punto a cui la nozione di eccesso di potere è ormai pervenuta; se essa infatti è vizio della funzione, riconoscibile dall'analisi degli atti, ma anche delle omissioni dell'intero procedimento, nonché da altri procedimenti (per esempio disparità di trattamento), essa si concreta in un controllo della razionalità del comportamento amministrativo, con il solo limite del divieto di procedere a valutazioni di opportunità. Ma se tale è divenuto nella prassi, l'eccesso di potere non può non avere un campo illimitato; in ciò la sua forza, ma anche la sua debolezza, in quanto, maneggiato da giudici impreparati o peggio, può dar luogo ad autentici dinieghi di giustizia (GIANNINI).

Bibliografia

· BASSI, Lezioni di diritto amministrativo, pag. 114;

· CARDI-COGNETTI, Digesto delle discipline pubblicistiche, voce: Eccesso di potere, pag. 352;

· CARINGELLA-DELPINO-DEL GIUDICE, Diritto amministrativo, pag. 515 e ss.;

· CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, pag. 342;

· CERULLI-IRELLI, Corso di diritto amministrativo, 1998, pag. 618;

· D'ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, pag. 143;

· D'AMELIO-AZARA, Novissimo Digesto Italiano, voce: Eccesso di potere, pag. 346;

· GALATERIA-STIPO, Manuale di diritto amministrativo, pag. 389:

· GALLI, Corso di diritto amministrativo, pag. 387;

· GIANNINI, Diritto amministrativo, II, 1993, pag. 318;

· PIRAS, Enciclopedia del diritto, voce: Invalidità (atto amministrativo), pag. 604;

· VILLATA, AA.VV., Diritto amministrativo, 1998, pag. 1475;

· VIRGA, Diritto amministrativo, II, pag. 124;

· ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, I, pag. 312 e 313.