Come é noto, la contribuzione degli Avvocati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense é parametrata essenzialmente sul reddito netto professionale dichiarato ai fini IRPEF (nei limiti del "tetto" pensionabile).

Tuttavia, molte sono le incertezze circa quale effettivamente sia la matrice "professionale" del reddito da prendere in considerazione.

Se, difatti, pochi dubbi potrebbero sorgere relativamente a redditi derivanti da prestazioni giudiziali o, di contro, del tutto estranee rispetto le attività tipiche dell'Avvocato, non poche perplessità si ingenerano laddove il reddito da considerare derivi da funzioni che, pur non essendo consuete, implichino comunque capacità o competenze di cui l'Avvocato é tipicamente dotato.

Questo é in caso dei proventi percepiti da Avvocati quali componenti di consigli di amministrazione di società di capitali.

Tali ricavi sono certamente redditi ma sono parimenti da dichiararsi alla Cassa Forense come redditi netti professionali dell'Avvocato?

Per rispondere a tali quesiti é indispensabile ripercorrere, sia pur brevemente, le considerazioni espresse, nel recente passato, dalla giurisprudenza sul punto.

La Corte Suprema ha difatti indicato (Cassazione 4684/12) che, al fine di stabilire se i redditi prodotti dall'attività libero professionale siano qualificabili come redditi professionali, il concetto di «esercizio della professione» debba essere interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell'evoluzione subita nel mondo contemporaneo rispetto agli anni cui risaliva la normativa di «sistema» dettata per le distinte libere professioni.

Tale evoluzione ha comportato la progressiva dilatazione dell'ambito tipico delle attività professionali inizialmente considerate, "con estensione di tutta una serie di competenze inizialmente escluse dal novero della produzione del reddito da considerare ai fini della contribuzione. Questo indirizzo condurrebbe ad includere tra le prestazioni professionali foriere di reddito contributivo, oltre all'espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi), anche l'esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un «nesso» con l'attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell'esercizio dell'attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipologicamente propria della sua professione" (così in Foro Italiano 2013, I, 1507).

In linea con tali orientamenti, è stato ritenuto che l'attività di consulenza ed assistenza legale, svolta dall'iscritto all'albo degli avvocati, sia pure in materia fiscale e tributaria, è qualificabile come attività professionale di Avvocato, ai sensi dell'ordinamento della professione di cui al r.d.l. 1578/33.

É stato anche affermato che la stessa attività di consulenza finanziaria, se svolta da Avvocato, debba reputarsi non estranea all'ambito delle prestazioni tipiche della professione forense, con la conseguenza che i relativi redditi e volumi di affari vanno assoggettati a contribuzione previdenziale.

Questo indirizzo "espansivo" ha, tuttavia, recentemente subito un opinabile arresto giurisprudenziale.

Con la recente pronunzia 11 marzo 2013 n. 5975 (in effetti vertente su difetto di allegazione di adeguati riscontri probatori contrari), la Corte Suprema ha escluso che siano ricompresi nell'ambito del rapporto assicurativo previdenziale i proventi percepiti da un Avvocato quale componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, confermando il verdetto della corte di merito fondato sul fatto che il professionista risultasse aver partecipato solo occasionalmente alle sedute del consiglio di amministrazione di cui era membro, senza recare un concreto apporto professionale (dal momento che le delibere assunte dall'organo collegiale riguardavano l'attività industriale della società).

Che dire?

Io resto sempre dell'avviso che, dal coinvolgimento diretto degli Avvocati nelle attività gestorie delle società, la collettività conseguirebbe un fattore di maggiore sensibilità al rispetto della legge.

Le imprese otterrebbero una più fruibile risorsa di indirizzo nella propria gestione.

Gli Avvocati fruirebbero di maggiori alternative lavorative al contenzioso ed una più accentuata apertura verso la formazione e la specializzazione.

La previdenza forense otterrebbe altresì un più nutrito gettito economico, foriero di stabilità dell'ente e di maggiore prospettiva pensionistica per gli Avvocati stessi, a dispetto delle mal sopportate preclusioni che la Legge 247/12 reitera.

 

Alessandro Graziani, Avvocato-Segretario AFG

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