La famiglia è stata sempre considerata un territorio sicuro e protetto e in virtù di tale principio si è consolidata nel tempo la convinzione che fosse per eccellenza il luogo dove non occorrono quelle difese necessarie, al contrario, nella vita di relazione. La "Familia" è stata a lungo vista anche dall'immaginario comune il luogo degli affetti più spontanei, puri, incontaminati e intoccabili e per definizione tutelati e garantiti dagli stessi membri del nucleo familiare. Di fatto, un luogo di ap­prendimento di valori sociali, rifugio e protezione dell'individuo.

Da una parte la famiglia è per eccellenza il nucleo della socializzazione, il gruppo all'interno del quale si sviluppano le relazioni interpersonali che condizioneranno certi comportamenti nell'intero corso della vita. Dall'altro l'istituto familiare può diventare, in alcuni casi, terreno fertile di patologie e assolutamente inadeguato tanto da generare comportamenti violenti e alimentare insane situazioni sviluppando al suo interno una serie interminabile di disfunzioni non sempre manifeste e perciò pericolose.

In verità, nell'Italia del ventesimo secolo i valori che hanno dominato i rapporti etico-sociali, hanno per lungo tempo reso i rapporti endofamiliari, a parte le poche ipotesi di rilevanza penalistica, insensibili e non considerati dalla lex Aquilia.

In Italia, solo successivamente alla legge sul divorzio e immediatamente dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 e a seguito delle lotte femministe degli anni 70', si sono riveduti i ruoli della moglie e del marito all'interno del nucleo familiare, oltre alla libertà delle funzioni degli stessi all'interno della famiglia a prescindere dalla tutela della prole. Infatti, con la prima riforma ci si è occupati prevalentemente della coppia intesa individualmente e quindi di salvaguardare la posizione dell'uno o dell'altro con una visione diversa della donna, cercando di tutelare proprio la sua posizione in virtù di una diversa collocazione all'interno della famiglia. Ossia, l'ordinamento comincia a concedere spazio alle prerogative individuali che un tempo venivano sacrificate dalle incombenti potestà familiari. Con tale riforma, viene altresì abbandonata l'antica idea della moglie adultera e del marito a cui era concesso finanche di uccidere per tutelare la propria immagine di marito e di uomo (v. delitto d'onore, la detenzione dell'adultera), immagine che finisce in quel contesto storico, definitivamente, almeno sulla carta. Con tale riforma si passa, quindi, da una visione istituzionale della famiglia ad un crescente riconoscimento dei diritti individuali concedendo una protezione sempre più estesa al singolo familiare a scapito delle ragioni della famiglia in sé considerata. Tant'è che a seguire vi sono poi state la modifica della legge sul divorzio, le disposizioni in materia di violenza familiare fino alla legge sull'affido condiviso, dove l'attenzione si sposta sull'interesse primario del minore. Infatti la centralità della figura paterna e quindi la patria potestà e/o la potestà genitoriale si trasformerà negli anni in bi-genitorialità.

Le separazioni e i divorzi sono eventi sempre più frequenti e le famiglie subiscono laceranti e traumatiche destabilizzazioni e la ingovernabilità del conflitto di coppia è una condizione di particolare rischio per le denunce e comunque per fare emergere situazioni autentiche di abuso. Infatti molto spesso le persone si trovano sole senza sapere a chi rivolgersi se non ai Tribunali alimentando sempre più il conflitto già in atto, schiave di un meccanismo dal quale usciranno certamente distrutte e più rancorose e agguerrite di prima, danneggiando in assoluto i figli che diventano loro malgrado "soggetti contesi" e spettatori indifesi del dramma familiare. Inoltre le tante sentenze di affidamento frettolose e inopportune dettate spesso dalla superficialità e dal sovraccarico del ruolo di giudizi che non consentono ai giudici di valutare esaurientemente tutte le questioni che vanno a trattare, alimentano malesseri e disagi all'interno dei nuclei familiari ingestibili e che spesso esasperano coloro che le subiscono con evidenti e irreparabili conseguenze.

In Italia i dati sono allarmanti. Posto che la violenza fisica è la più facile da accertare con tutti i suoi risvolti penalistici il vero preoccupante e pericoloso problema è che solo il 7% dei casi viene denunciato dalle vittime.

Ciò che maggiormente preoccupa è la parte sommersa dei reati, cioè la differenza tra gli illeciti effettivamente commessi e quelli che emergono dai dati ufficiali, perché denunciati dalle vittime o evidenziati dalle for­ze dell'ordine o dai servizi (c.d. numero oscuro).

Nei reati di natura endofamiliare, questo accade di frequente a seconda delle singole situazioni in cui il contesto socio - culturale e le barriere psicologiche dei soggetti coinvolti, impediscono di denunciare la violenza subita o anche a causa del forte legame affettivo e/o della soggezione economica tra l'aggressore e la vittima che solitamente prova e patisce sentimenti ambivalenti nei con­fronti del proprio aggressore. In questi casi la man­cata denuncia è l'effetto della paura di perdere il legame affettivo o i mezzi di sostentamento per sé o per i figli.

Accade, anche che l'esistenza del legame affettivo impedisce che la violenza venga percepita come tale dalla vittima che con il tempo tende a considerarla come un fatto normale o, comunque, non antigiuridi­co, di talchè la vittima colpevolizza se stessa sino a considerare legittimo l'abuso subito, come può anche capitare che la stessa vittima non denunci l'abuso familiare per paura dell' opinione sociale e di tutto ciò che tale giudizio comporta (emarginazione, solitudine etc.), creando in tal modo un circolo vizioso che vizia in modo esponen­ziale la tracciabilità e la perseguibilità degli illeciti en­do familiari.

Di difficile tracciabilità sono anche i reati commessi sui minori non solo per la maggiore difficoltà che hanno gli stessi di de­nunciare il fatto illecito, ma anche di percepirlo come antigiuridico oltre alla difficoltà degli operatori di individuare e interpretare i segni della violenza.

Il dato allarmante, anche se faticosamente tale orientamento sta cambiando, è che nel nostro Paese a causa della scarsa fiducia nella giustizia e della "burocrazia processuale" le denuncie di violenze familiari non vengono presentate ritenendole, la vittima che le ha subite inutili e pericolose perché nelle more del processo, potrebbe essere ulteriormente esposta e alla mercè del proprio aguzzino, che impunito, potrebbe accanirsi ancor più nei confronti di chi ha osato denunciarlo.

Va da sé che, chi si occupa di questa materia deve prevedere anche di trovarsi di fronte ad una falsa denuncia e nel qual caso sarà necessario evitare un generico atteggiamento di dubbio ma valutare precise strategie diagnostiche affinché non si verifichino tali situazioni.

Scritto da avv. Lucilla Anastasio